Non solo ruderi e brutture. Il centro di Vicenza “città bellissima” è oltraggiato perfino da aree vuote. Sembra impossibile, eppure ci sono tre parcheggi che avviliscono, con la solo loro presenza, altrettanti punti centralissimi della città: il Park Matteotti, il Parcheggio Canove e l’area di parcheggio (nemmeno ha un nome) del Teatro Eretenio.
Il primo (nella foto di copertina) occupa la parte sud dell’ex Piazza dell’Isola, ribattezzata in onore del martire del Fascismo Giacomo Matteotti. Il Canove prende il nome dalla antica contrada delle Canove Vecchie, incastonata alle spalle della Chiesa di Santa Corona. Il parcheggio senza nome, infine, campeggia di fianco a Palazzo Civena Trissino, laddove sorgeva il Teatro Eretenio.
Sono tutti, quindi, in pieno Centro Storico e sottraggono ad esso, insinuandosi fra i circostanti edifici di grande pregio e suggestione, il doveroso rispetto e la integrità estetica che questi siti meriterebbero.
Senza contare la loro assoluta inutilità: in nessuna città d’arte esistono ormai parcheggi altrettanto centrali e, in buona parte, a raso. Perché nessuno, né cittadino né turista, ha più la pretesa di lasciare il proprio automezzo a due passi da piazze e vie centrali.
A Vicenza, invece, fra righe blu e parcheggi, ancora si può intasare (e inquinare) la parte più nobile e antica della cinta urbana piazzando l’auto, per far compere o “vasche” o bere uno spritz, a non più di cinque minuti dalla propria meta.
I reggenti della città mai hanno progettato un sistema integrato di silos (marginali al centro) e trasporti (minibus, ovviamente, non quei barconi che viaggiano per le antiche strade, dissestandole). Se così invece avessero fatto, i vicentini magari avrebbero imparato a fare quattro passi in più e i “fores” avrebbero apprezzato, oltre alla grande bellezza della città, la moderna e civile fruizione della stessa.
Ma i suddetti reggitori non hanno fatto nulla o quasi per due motivi. Perché, da un lato, la Municipalizzata (e quindi il Comune) avrebbe perso i milioni di euro che ogni anno producono stalli a pagamento e park a sbarre e, dall’altro, loro stessi avrebbero perso i voti dei commercianti del Centro. I quali legittimamente difendono i propri interessi ma erroneamente ritengono di incrementare il lavoro solo facendo arrivare i clienti in auto davanti alla porta del negozio.
Il parcheggio-mostro più vistoso è quello che deturpa la seconda piazza più bella di Vicenza, quella racchiusa fra il maestoso Palazzo Chiericati, quello del Territorio e il Teatro Olimpico. Due su tre firmati dalla nostra archistar Andrea Palladio. In prossimità di cotanto contesto sta da decenni un esiguo quanto offensivo parcheggino, privo di alcuna utilità e del tutto estraneo e dissonante rispetto all’edificio del Museo Civico e al giardino che lo fronteggia. Ogni tanto pubblici amministratori in vena di annunci fanno sapere ai concittadini che quelle quattro auto, che lì trovano posto, finalmente se ne andranno. Ma, come vuole la buona usanza vicentina, poi nulla cambia.
Poco lontano, un’orrenda struttura metallica a due piani occupa la cosiddetta “busa”, cioè il piazzale retrostante e sottostante il complesso religioso di Santa Corona (chiesa e conventi domenicani), che sorge qualche metro più in alto perché lì la “contrada del Collo” precipita bruscamente verso la piarda del Bacchiglione. Sull’orlo dell’area, a ovest, correva la cinta delle mura altomedievali e una roggia (la roza del Collo), che le proteggeva.
Che fare in quella valletta ai piedi dell’abside di Santa Corona e della fronte posteriore dei conventi? Ovviamente un parcheggio. E siccome gli stalli erano anche qui pochini, una giunta ha avuto la bella pensata di raddoppiarli sovrapponendo alla piazzola un ponteggio metallico per guadagnare un piano superiore e aumentare gli incassi. Per chi proviene da corso Palladio e svolta in Canove Vecchie è un pugno nell’occhio. Chi ha piazzato quella cupa struttura in un’area che andava invece rispettata e valorizzata, dovrebbe essere messo nelle mani della Santa Inquisizione, che proprio lì sopra aveva la sua sede vicentina. Ai domenicani decidere se fosse meritevole del rogo.
C’era una volta il Teatro Eretenio, il più bello di Vicenza, il più elegante, quello con il programma artistico di maggiore qualità. Era un teatro privato, costruito fra il 1778 e il 1784 su progetto di Ottavio Bertotti Scamozzi, discendente dell’avo rinascimentale architetto Vincenzo.
La facciata era armoniosa e in continuità con quella del confinante palazzo Civena-Trissino. La sala principale contava su 1.250 posti distribuiti fra la platea e quattro ordini di palchi. L’acustica era nota per la sua perfezione.
Il 2 aprile 1944 le bombe lo rasero al suolo. Rimase in piedi solamente un breve tratto del muro esterno (ancora ben visibile). Le macerie, compresi i lacerti che avrebbero potuto essere riutilizzati, finirono a colmare la depressione del Campo de Nane, vicino allo Stadio Menti.
Restava il solito buco, un’area da riempire con qualcosa. Mai venne l’idea di ricostruire il teatro e, a dire il vero, nemmeno qualcos’altro. E così via al solito mini parcheggio, esiguo e comodo soprattutto per gli utenti della vicina casa di cura.
Ultimamente però l’area è tornata all’attenzione dei reggitori della città, che hanno sfoderato un’ideona: piazziamoci un parcheggio multipiano! Che avrebbe sicuramente forme neoclassiche e intonate al contesto e, con la sua mole, svetterebbe sugli edifici circostanti.
Aggiungiamo un altro orrore, dai…
Qui gli articoli della nuova rubrica “La Vicenza degli orrori”
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