Giorno della Memoria, razzismo e omofobia, Agorà. La Filosofia in Piazza: il caso dello scienziato Nicola Pende alla Fondazione San Carlo di Modena

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Manifesto della razza
Manifesto della razza

«Il ministro segretario del partito ha ricevuto, il 26 luglio XVI, un gruppo di studiosi fascisti, docenti nelle università italiane, che hanno, sotto l’egida del Ministero della Cultura Popolare, redatto o aderito, alle proposizioni che fissano le basi del razzismo fascista».

E, in effetti, tra i firmatari di quello che fu uno dei capolavori del regime fascista nel 1938, il Manifesto della razza, vi erano nomi di scienziati, tra cui Sabato Visco, Direttore dell’Istituto di Fisiologia Generale dell’Università di Roma e Direttore dell’Istituto Nazionale di Biologia presso il CNR, Arturo Donaggio, Direttore della Clinica Neuropsichiatrica dell’Università di Bologna e Presidente della Società Italiana di Psichiatria, Franco Savorgnan, Ordinario di Demografia all’Università di Roma e Presidente dell’Istituto di Statistica.

Anche se ormai questi nomi non ci dicono più nulla, ciò su cui dovremmo soffermarci è il ruolo che simili personaggi rivestirono in quegli anni. Essi erano docenti, Direttori e Presidenti di enti e strutture statali che generavano la scienza, quella esatta, quella alla quale anche oggi noi non possiamo non dare l’assenso. È chiaro, dunque, che se la scienza nel 1938 diceva che il razzismo è il risultato di una ricerca incontrovertibile, mio nonno, anche quando il fascismo, che invece era il risultato di un processo politico, è caduto, lui è rimasto razzista. Ecco, l’idea che la politica e la cultura possano cambiare, mentre la scienza rimane un’acquisizione certa è una grande illusione e la storia ce lo dimostra: la scienza non è che una variabile dipendente, talvolta serva della politica e della cultura.

Certo, accanto agli scienziati, tra i firmatari e i sostenitori, pare vi fossero anche personalità della politica liberale e della cultura ufficiale, tra cui esimi filosofi come Giovanni Gentile, che fu anche Ministro della Pubblica Istruzione, l’eclettico Julius Evola, lo storico delle religioni Raffaele Pettazzoni, il teologo cattolico Romolo Murri, Padre Agostino Gemelli, come anche Giorgio Bocca. La verità, però, è che, sebbene nelle biografie di questi personaggi vi fu un passato di adesione al fascismo e anche all’antisemitismo, non vi è alcun documento storico che ne attesti la veridicità e, in fondo, essi erano filosofi, giornalisti, storici: le loro parole non avevano lo stesso valore di verità degli scienziati.

E tra gli scienziati sostenitori del programma razzista, probabilmente non proprio firmatario, dal momento che il suo programma pare fosse molto più raffinato e specificamente italiano, vi era il prof. Nicola Pende, Presidente della sezione eugenetica del CNR e primo Rettore dell’Università Adriatica “Benito Mussolini” di Bari, con un curriculum di tutto rispetto nella storia della medicina italiana, a parte qualche macchiolina, al punto che fu candidato per tre volte al premio Nobel per la medicina. Dopo la caduta il fascismo, come molti altri personaggi collusi con il regime, prima fu dichiarato decaduto da tutti gli incarichi istituzionali, ma poi si scoprì che, in realtà, aveva aiutato molti ebrei a salvarsi dalle persecuzioni, per cui venne fuori che la sua posizione fosse totalmente estranea al razzismo antisemita. Per qualche motivo si diede credito alla sua difesa e così Pende fu presto riabilitato, reintegrato nella maggior parte delle sue attività scientifiche e nel 1956 il Presidente della Repubblica Giovanni Gronchi gli conferì la Medaglia d’oro ai benemeriti della sanità pubblica.

Ora, ammettiamo pure che il prof. Nicola Pende non abbia avuto nulla a che fare con il razzismo antisemita, tuttavia una cosa è certa, e su questo ci sono diversi documenti[1] e la testimonianza dello stesso protagonista, e cioè che accanto al suo programma scientifico di ortonegetica, finalizzato a generare soggetti sani, socialmente utili e migliori sotto il profilo della razza, vi era anche un programma educativo, più che altro militaresco, per far guarire dall’omosessualità, indubbiamente un vizio da estirpare dai comportamenti umani, secondo l’illustre scienziato.

Come altri studiosi e scienziati del periodo, Pende riteneva che l’omosessualità fosse una malattia da curare e così elaborò una sua versione della terapia di conversione, detta anche terapia riparativa o di riorientamento sessuale, ritenuta oggi una delle più grandi bufale della storia della scienza per il pregiudizio di poter guarire la “malattia” dell’omosessualità e, quindi, messa al bando in Italia e nel mondo dagli ordini degli psicologi.

La terapia scientifica di Pende prevedeva levatacce mattutine e lavori durissimi, così quando Marcello Caracciolo, Principe di Avellino e Torchiarolo, venne a conoscenza delle ricerche scientifiche del medico, decise di affidargli il figlio Franco Caracciolo, che mostrava atteggiamenti effemminati. Il programma scientifico di Pende non funzionò molto bene e pare che Caracciolo, nel frattempo affermatosi come attore in film di prestigio, tra cui di Fellini, avrebbe poi affermato che gli sarebbe piaciuto incontrare il medico per potergli dire: «Professor Pende, grazie per aver fatto di me una vera donna!»

Sarà interessante vedere domani online, in occasione della Giornata della Memoria, alle 10 l’azione teatrale del Processo al “Manifesto della razza”: il caso di Nicola Pende presso la Fondazione San Carlo di Modena sul sito www.fondazionesancarlo.it.

[1] Cfr. Andrea Pini, Quando eravamo froci, Il Saggiatore, Milano 2011.


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a cura di Michele Lucivero

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