Giorno della Memoria, Agorà. La Filosofia in Piazza: bisogna avere cura delle parole perché sono importanti

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Giorno della Memoria 2021
Giorno della Memoria 2021

Nel 1934 William E. Dodd è un tranquillo e rispettabile professore di storia dell’Università di Chicago. Di abitudini semplici, a suo agio in campagna, è un convinto democratico. Non è ricco, né politicamente influente. La sua (vera) storia, basata su lettere, documenti e testimonianze dell’epoca, è raccontata da Erik Larson, nel libro, che è appunto un testo di storia, ma che si legge come un romanzo, Il giardino delle bestie[1].

Il libro racconta quindi che, per una serie di ragioni, Dodd si ritrova catapultato nel cuore della Berlino nazista nel 1934, come ambasciatore degli Stati Uniti.

Quello che richiamo in questo articolo è un breve passaggio del testo, in cui l’autore riporta il disorientamento provato da Dodd dopo un po’ che era in Germania: un passaggio che mi sembra significativo oggi, nel Giorno della Memoria, e significativo di questi tempi, segnati da troppi fanatismi:

«La cosa che più gli pesava, comunque, era l’irrazionalità del mondo nel quale si trovava a vivere. In un certo senso, era prigioniero della sua stessa formazione. In quanto storico, era arrivato a concepire la realtà come il prodotto di forze storiche e delle decisioni di persone più o meno ragionevoli, e si aspettava che gli uomini che lo circondavano si comportassero in modo civile e coerente. Ma il governo nazista non era né civile né coerente, e la Germania procedeva barcollando attraverso una serie di passaggi, uno più inspiegabile dell’altro. Perfino il linguaggio usato da Hitler e dai vertici del partito era stranamente invertito di segno. Il termine “fanatico” si era trasformato in un tratto positivo del carattere. […] I giornali controllati dai nazisti segnalavano un’infinita sequela di “fanatici giuramenti”, “fanatiche dichiarazioni” e “fanatiche convinzioni”, sempre con un’accezione positiva. Göring veniva descritto come un Fanatischer Tierfreund, un “fanatico amante degli animali”»[2].

Ecco, le parole sono importanti, bisogna aver cura delle parole che usiamo, se vogliamo avere cura di noi stessi e avere cura anche degli altri. Le parole che usiamo dicono come pensiamo il mondo, dicono molto di come pensiamo a noi stessi: le parole che usiamo dicono molto di noi stessi.

Aver cura del linguaggio, delle parole, è un pensare le parole che diciamo affinché del loro significato si sia consapevoli e affinché tali parole siano fedeli al fenomeno di cui parlano e non lo occultino; affinché tali parole custodiscano la verità del reale; affinché tali parole esprimano il significato dell’esperienza, il nostro pensare e il nostro sentire; affinché il linguaggio consenta di intessere relazioni.

Come si fa ad avere cura delle parole? Esercitandosi su di esse, con la pratica filosofica del dialogo, meditando insieme le parole: e già questo stare insieme nello spirito dell’ascolto e dello scambio è un modo di dare un contributo per una società meno fanatica e più rispettosa dell’altro.

[1] E. Larson, Il giardino delle bestie, Neri Pozza Editore, Vicenza, 2012.

[2] Ivi, p. 180.


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a cura di Michele Lucivero

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