Processo BPVi, “Memento mori”: il cartello di Elisabetta Gatto e Goretta Rancan, le due “ring girl” stoiche vessillifere dei 117.998 soci assenti

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Goretta Rancan ed Elisabetta Gatto col cartello
Goretta Rancan ed Elisabetta Gatto col cartello "Memento mori"

Riprendono oggi le udienze del processo BPVi con l’udienza in cui l’avvocato Vittorio Manes del foro di Bologna pronuncerà la sua arringa in difesa di Massimiliano Pellegrini, uno dei sei imputati (a parte la BPVi in Lca responsabile amministrativo) per i quali l’accusa (pm Salvadori e Pipeschi) ha chiesto al collegio giudicante (De Stefano, Garbo, Amedoro) pene che variano dai 10 anni per Gianni Zonin, il dominus se non altro “immaginifico” della Banca Popolare di Vicenza, agli otto anni e due mesi proprio per il cliente di Manes.

Per una serie di cambiamenti tecnici di calendario e per qualche distorsione informativa oggi, pensando che toccasse alla prima della tre giorni dell’avv. Enrico Ambrosetti, difensore di Gianni Zonin, che, invece argomenterà le ragioni a favore del presidente ventennale della banca ora defunta, si sono presentati all’udienza alcuni dei legali delle queasi sempre assenti associazioni dei soci azzerati della BPVi e due “pasionarie” in rappresentanza, ci hanno detto, degli altri 117.998 soci assenti, se prendiamo per buono il numero arrotondato di 118.000 azionisti che si sono visti azzerare il proprio capitale alla fine del ventennio targato ex re del vino.

Goretta Rancan ed Elisabetta Gatto sono, quindi, arrivate oggi in aula pensando di mostrare un semplice cartello all’indirizzo del simbolo degli imputati, quel Gianni Zonin che si difende sostanzialmente con un generale e generico “io ero all’insaputa di tutto” pur percependo un compenso annuale che, per lo meno, avrebbe presupposto una sua maggiore “curiosità” su quanto avveniva per opera di dirigenti, lui accusa, fedifraghi ma, è un fatto, sempre da lui scelti e cambiati in base a sue valutazioni a cui il cda, in gran parte e stranamente assente in questo processo, sistematicamente si adeguava.

Ring girl

Quel cartello con le due “ring girl“, tanto per usare il termine che identifica le belle ragazze che tra una ripresa a l’altra girano nel ring (e il processo è un ring) per mostrare il numero della ripresa, l’udienza, che sta per iniziare) lo mostriamo in copertina sorretto da Goretta d Elisabetta che col loro “Memento mori” non si riferiscono al “discusso” generale del Sisde Mario Mori al centro di “fatti strani” ma ricordano la frase (“ricordati che sei un uomo e comunque morirai…“) che qualcuno del popolo dell’antica Roma tipicamente pronunciava al passaggio di un generale che sfilava nelle strade della città dopo un trionfo bellico raccogliendo gli onori che gli venivano tributati dalla folla ma che, da quel momento in poi, correva il rischio di essere sopraffatto dalla superbia e dalle manie di grandezza.

“Memento mori”, quindi, è il memo di Elisabetta e Goretta, sintetico ed efficace nel loro indirizzarsi a chi ha azzerato i loro risparmi e capitali con comportamenti non adeguati, che la corte dovrà giudicare, ma è anche un atto di accusa per avvocati e soci assenti a cui dovrebbero mostrare un altro cartello “Memento officiorum“.

Cioè ricordati dei doveri che hai di difendere i tuoi rappresentati, se sei un legale pagato per questo, e dei doveri che hai di reclamare per il maltolto, se sei un risparmiatore violentato.

Ma, se di avvocati ne abbiamo visti ben pochi nelle centinaia di udienze e quasi mai sono servite le dita delle due mani per elencarli, di “violentati” difficilmente abbiamo superato l’anulare di una mano per contarli.

Ma, d’altronde, intorno a loro, fin dall’inizio e fin dall’attivazione della poi inutile aula bunker di Mestre, è stato steso un potente anello, quello della dissuasione a partecipare.

Dissuasione così efficace che fa specie sentire oggi parlare da parte dei difensori degli imputati (pochissimi rispetto a quelli che dovevano essere chiamati in aula, in primis Banca d’Italia e poi altri vertici bancari come anche da richieste disattese della Guardia di Finanza) di “processo mediatico”, quando anche i giornalisti, salvo i pochi locali, ben poco hanno scritto del processo in base alla considerazione “commerciale” dei loro editori: “se in aula non ci sono gli interessati, chi volete che sia interessato a leggere le cronache delle udienze la cui stesura porterebbe costi redazionali ma non vantaggi in termini di copie vendute…?“.


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