Umiliazioni in Tv, mobbing nella vita reale: il pericoloso intreccio tra reality show e ambienti di lavoro tossici

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Cracco Bastianich reality show
Cracco Bastianich reality show

L’ultima edizione italiana del Grande Fratello VIP ha fatto il suo debutto su Canale 5 il 14 settembre del 2020 e sarebbe dovuta terminare il 2 dicembre, ma Mediaset ha deciso di prolungare la trasmissione fino al primo marzo del 2021 comunicandolo ai concorrenti nel corso di una puntata del programma. Alcuni hanno scelto di andarsene e altri sono arrivati, ma nella casa di Cinecittà c’è anche chi è entrato il primo giorno e rischia di rimanerci fino alla fine, per una permanenza complessiva di circa sei mesi. Già mentre si discuteva dell’ipotesi di allungare la durata della trasmissione, alcuni commentatori si sono interrogati sui contraccolpi psicologici che avrebbero subito i suoi partecipanti e in effetti si sono verificati casi di breakdown. Stiamo pur sempre parlando di persone che hanno scelto volontariamente di sottoporsi alla sorveglianza delle telecamere (con lo scopo di raggiungere la notorietà), ma rimane il dubbio che sia dalla parte dei partecipanti che da quella degli autori, si siano sottovalutati i possibili contraccolpi di questa decisione.

In tempi di crisi, la televisione generalista punta sull’intrattenimento di bassa qualità basato sull’istigazione al litigio e sull’esposizione voyeuristica della vita dei concorrenti. Senza grossi investimenti in prove, studi, corpi di ballo e ospiti, la riuscita o meno di un programma viene determinata dal casting: alla redazione e agli autori spetta infatti il compito di trovare le persone giuste per far scattare certe dinamiche, tenerle in piedi anche per lunghi periodi e alimentare discussioni. A chi scrive, in questo scenario, non resta che intessere trame e rapporti facendo leva sui punti di forza e debolezza di ognuno.

Da questo punto di vista, la RAI è facilitata dagli introiti del canone che le permettono di variare la propria offerta e produrre dei varietà che implicano tempi di scrittura e preparazione: è il caso di Ballando con le stelle, Tale e Quale Show, Il Cantante Mascherato e i vari speciali come Danza con me con l’étoile Roberto Bolle e La musica che gira intorno con Fiorella Mannoia. Mediaset vive invece di ricavi pubblicitari, per cui l’intrattenimento a basso costo è quasi d’obbligo per tenere in piedi il palinsesto. Il caso più eclatante riguarda Temptation Island, un format interamente basato sul racconto di rapporti di coppia disfunzionali e tossici. In alcuni casi le reazioni dei concorrenti sono state così forti da sfociare in veri e propri episodi di violenza psicologica. Questi eccessi avrebbero forse richiesto un intervento deciso da parte del conduttore e della produzione, sia per tutelare i concorrenti, sia per mettere in guardia il pubblico da casa rispetto alla potenziale pericolosità di certi comportamenti, ma così non è stato.

Temptation Island non è il solo programma in cui vanno in scena relazioni disfunzionali: anche Uomini & Donne, trasmissione record di ascolti del pomeriggio di Canale 5, si nutre di dinamiche tossiche sia tra gli stessi concorrenti, che tra concorrenti e opinionisti. Alcuni litigi tra Tina Cipollari e Gemma Galgani, storica partecipante del programma, si spingono fino a sfociare in frasi ingiuriose e aggressioni fisiche. Tra un’esterna e una storia a lieto fine, sono le risse verbali, la gelosia e le accuse reciproche la cifra di una trasmissione che sembra non conoscere crisi. E poiché la televisione commerciale non può prescindere dagli introiti pubblicitari, finché un programma funziona si va avanti, anche a scapito dei messaggi che arrivano a casa. Questo avviene anche quando gli ascolti sono in lieve flessione, poiché i canali televisivi non possono permettersi di investire in nuove produzioni, che per loro natura hanno bisogno di un tempo fisiologico per conquistare l’attenzione e l’affetto del pubblico. Per cui vengono riproposti e, in mancanza di idee, anche in questi casi si punta sull’innesco di litigi e polemiche. È il caso di Amici di Maria De Filippi, sempre su Canale 5, che balza agli onori della cronaca più per le esternazioni della professoressa Alessandra Celentano che per il talento dei concorrenti. Celentano è nota infatti per i suoi giudizi taglienti nei confronti degli allievi e in particolari delle ragazze, che apostrofa con commenti a volte davvero pesanti sul loro corpo.

Questo modo di fare televisione viene da lontano e non riguarda solo i canali Mediaset. I primi anni Duemila hanno visto proliferare la figura del “giudice” di talent il cui capostipite è stato Simon Cowell, l’ideatore di X-Factor e del format Got Talent. Cowell è diventato famoso per il suo intuito nello scovare talenti come i One Direction e Adele, ma anche per insultare i concorrenti. E la formula ha funzionato talmente bene da creare un vero e proprio personaggio da reality, quello del giudice cattivo. In quegli stessi anni sono andati in onda la prima edizione di The Apprentice condotta da Donald Trump ed Hell’s Kitchen, programma dello chef stellato Gordon Ramsay. Nel 2005 è poi arrivato Masterchef, sempre con Ramsay, format che è poi sbarcato nel 2011 su Sky Italia con i temibili Bruno Barbieri, Joe Bastianich e Carlo Cracco.

Tutti questi show hanno in comune la presenza di uomini autoritari che tiranneggiano sui concorrenti, li insultano, li umiliano e li espongono alla gogna del web. Forse questi programmi non avrebbero avuto così tanto successo se nello stesso periodo in cui sono andati in onda non fossero esplosi i social network: Facebook, Twitter e YouTube hanno fatto loro da cassa di risonanza facendo sì che i contenuti continuassero a circolare anche dopo la messa in onda, generando un flusso continuo di meme, gif, clip, video e innescando così un cortocircuito per cui, da quel momento in poi, la televisione ha dovuto tener conto della potenziale viralità dei propri contenuti. La reazione scomposta di un giudice o di un concorrente è pubblicità gratuita, per questo non solo questo tipo di comportamenti aggressivi e tossici viene tollerato, ma è incoraggiato, scritto e studiato, perché anche dalla risposta del web si misura il successo di una trasmissione televisiva. Gli autori sanno bene che più la posta in gioco è alta (montepremi, notorietà, follower) più i concorrenti saranno disposti a subire determinate dinamiche e a essere aizzati l’uno contro l’altro, in un gioco al massacro che peraltro ricalca quello che accade in determinati ambienti lavorativi molto competitivi come il mondo dello spettacolo, dell’alta cucina e della finanza.

Ma oggi qualcosa è cambiato e c’entra la diversa percezione che il pubblico ha ormai di uno show come The Apprentice, che ha contribuito ad aumentare a dismisura la popolarità di Donald Trump; c’è stato poi il #MeToo e il conseguente dibattito sulla violenza, anche verbale, nei confronti delle donne; e a questo si è aggiunta la richiesta sempre più pressante di vedere anche corpi non conformi, cast più inclusivi e in generale una maggior attenzione al linguaggio.

Nel nostro Paese, il caso più eclatante è avvenuto nel corso della conferenza stampa del Festival di Sanremo 2020, quando il direttore artistico e conduttore Amadeus disse che il motivo per cui aveva scelto come co-conduttrice la modella Francesca Sofia Novello stava nella “[sua] capacità di stare dietro un grande uomo stando un passo indietro”. Novello è fidanzata con il pilota Valentino Rossi e l’idea che la principale qualità di una donna risieda nella sua capacità di essere sottomessa al compagno più potente di lei creò un moto d’indignazione che costrinse Amadeus a chiarire pubblicamente la sua posizione. L’espressione “stare un passo indietro” diventò poi un refrain che accompagnò il conduttore per tutta la durata del Festival ma ebbe anche un contraccolpo positivo per tutte e tutti: nell’edizione 2020 della kermesse più seguita della televisione italiana venne dedicato molto spazio al tema della violenza contro le donne.

L’industria dello spettacolo è quella più esposta a critiche e osservazioni non solo per la sua popolarità, ma anche perché è in grado di influenzare i gusti e la sensibilità di un altissimo numero di persone. Se la televisione sta cambiando è anche perché oggi le generaliste devono fare i conti con i colossi dello streaming come Netflix e Amazon i quali, rivolgendosi a un pubblico mondiale e anche molto giovane, includono nella loro offerta contenuti che tengono conto di questa nuova sensibilità. È del tutto evidente che ciò avviene anche perché sia Netflix che Amazon possono permettersi di investire, mentre le reti generaliste sono in crisi di risorse e di idee, ma c’è dell’altro: il pubblico generalista è abituato a un certo tipo di intrattenimento e qualsiasi cambiamento rischierebbe di allontanare i telespettatori, con conseguenze devastanti in termini di introiti pubblicitari e collaborazioni con gli sponsor.

Da qualche tempo Mediaset sta investendo su serie tv come Made in Italy, Il Processo e Il silenzio dell’acqua con risultati mediocri in termini di ascolti, mentre reggono programmi come Grande Fratello e Temptation Island. In Rai, invece, la fiction fa grandissimi ascolti mentre show come Il Cantante Mascherato e Ballando con le stelle stentano a decollare. Questo avviene perché le reti televisive, con gli anni, fidelizzano gli spettatori attorno a idee, programmi e volti, per cui è il pubblico stesso, a sua volta, ad aspettarsi dalle reti un certo tipo di intrattenimento, scoraggiando così qualsiasi tentativo di innovare.

Oltre ai gusti degli spettatori e le difficoltà economiche delle reti generaliste, ci sono i concorrenti noti e meno noti, che decidono volontariamente di sottoporsi programmi che mettono a dura prova la loro tenuta psicologica. Sono lontani i tempi in cui partecipare a un reality o a un talent era una scommessa, oggi chi lo fa è perfettamente consapevole delle conseguenze e dei rischi che corre. Nel 2020 ricorreva il ventennale della prima edizione del Grande Fratello, quella con Pietro Taricone, Marina La Rosa e Rocco Casalino, nomi rimasti nell’immaginario collettivo perché si sono esposti senza sovrastrutture all’occhio delle telecamere, inconsapevoli del successo o meno della trasmissione. Oggi i concorrenti dei reality sono sempre meno isolati e spesso i conduttori riportano loro dati d’ascolto e risultati in termini di gradimento del pubblico. Lo fanno per innescare liti, intrighi e gelosie che sono il sale di trasmissioni ideate col presupposto che chi vi partecipava veniva isolato dal mondo. In questo modo si tradisce completamente l’idea di base dei reality, nati come una sorta di esperimento sociale per la televisione. In Italia resiste forse solo Il Collegio su Rai Due, ma non bisogna dimenticare che si tratta di un programma che ha avuto bisogno di un tempo fisiologico per farsi conoscere al grande pubblico e che in questo momento solo la Rai, tra le generaliste, può permettersi di investire tempo e denaro in nuove idee.

Oggi la televisione ci sta raccontando un mondo in grande cambiamento: basti pensare che il concetto stesso di televisione ingloba codici e linguaggi diversissimi e spesso contraddittori tra loro. Accanto a fenomeni culturali e sociali che si riflettono nella produzione di contenuti sempre più inclusivi, resiste una televisione rabbiosa fatta per soddisfare i gusti del pubblico generalista, ormai assuefatto a racconti livorosi e a giudici spietati. Questi due mondi per ora non dialogano ma coesistono, sarà il tempo a dirci quale dei due è destinato a soccombere.

Maria Cafagna su The Vision