Relazione #2 di 3 a Commissione banche, Mazzaro: Figli e figliastri di Bankitalia, Barbagallo “su” Trinca e Zonin, Mutui J.P. Morgan, I 2 processi

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Renzo Mazzaro presenta
Renzo Mazzaro presenta "Banche, Banchieri e Sbancati

Sono state richiesti e presentati entro lo scorso 12 gennaio tre “contributi” ai giornalisti Marino Smiderle, (GdV), Renzo Mazzaro (testate locali del gruppo Repubblica) e Giovanni Coviello (direttore di ViPiù), che vi scrive, in concomitanza con le audizioni sui crac di Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca fissate, su sollecitazione in primis del deputato vicentino di Forza Italia Pierantonio Zanettin, dall’on. Carla Ruocco, presidente della Commissione di inchiesta sul sistema bancario e finanziario.

Il procuratore reggente di Treviso, Massimo De Bortoli ha aperto, non senza polemiche, lo scorso 26 gennaio 2021,  la mini serie, suscettibile di “estensioni” con l’audizione di Vincenzo Consoli ed altri, mentre l’autorità di pari grado di Vicenza, la dr.ssa Orietta Canova, inizialmente convocata per il 2 febbraio, ha ceduto l’incombenza al neo procuratore capo di Vicenza Lino Bruno che, quindi, verrà audito con l’assistenza dei pm vicentini Salvadori e Pipeschi il 9 marzo).

Per informare i nostri lettori attuali e quelli che sempre di più ci seguono per saperne di più, soprattutto sulle banche e sulla finanza, senza veli e censure continuiamo a pubblicare i tre contributi arrivati in commissione (e cortesemente giratici dalla sua segreteria) a supporto delle conoscenze dei suoi 40 membri non commentandoli in sede di presentazione “cronachista” se non con una domanda fatta al collega Smiderle, il cui contributo abbiamo pubblicato per primo e che negli anni che precedettero il crac vicentino, era un fiero assertore della “superiorità” su Veneto Banca della BPVi, di cui era stato un solerte dipendente.

Il commento, di certo tristemente ironico, è desumibile dal nostro titolo sul suo contributo «Relazione #1 di 3 per Commissione banche – Ruocco, scrive Smiderle: ex Popolari venete crollate perché società “a responsabilità limitata”…» con chiara allusione al fatto che le due ex Popolari erano sì Società cooperative, come permette il collega del GdV, ma “per azioni” e non a “responsabilità limitata”…

Ecco, quindi, il “rapporto” alla Commissione Ruocco del collega Renzo Mazzaro, che cita l’audio fondamentale e quasi da tutti ignorato (censurato?) che abbiamo pubblicato sull’incontro in Banca d’Italia tra Barbagallo, Zonin e Trinca e che noto non solo per i suoi ponderosi articoli ma anche per i suoi libri, tra cui “Banche, banchieri e sbancati” proprio sul tema delle banche venete.

Ben altro spessore?

Leggete e decidete voi


Padova, 12 gennaio 2021

Relazione per la commissione parlamentare d’inchiesta sul sistema bancario e finanziario

Renzo Mazzaro

ABSTRACT

Popolare di Vicenza e Veneto Banca, due banche gemelle si direbbe, accomunate in un destino unico. Non è così. Il disastro ha avuto modalità diverse: la differenza è emersa lentamente ma progressivamente nei mesi successivi al default, con riscontri che hanno trasformato l’opinione di pochi in un dato di fatto che aspetta ancora spiegazioni.

  1. Figli e figliastri di Banca d’Italia

Il diverso trattamento riservato alle due banche dalla Vigilanza, riscontrato anche dalle testimonianze ascoltate al processo di Vicenza, ha prodotto la tesi del complotto contro il Veneto, anzi contro Veneto Banca prima di tutto, da sacrificare per salvare la Popolare di Vicenza. Tesi che sconta l’handicap di coincidere con l’autodifesa di Vincenzo Consoli, ma trova fondamento indiretto anche in un’ammissione del governatore Ignazio Visco alla commissione Casini. Il doppio ruolo di Banca d’Italia, insieme controllore e regista del sistema, è diventato causa di scontro nel processo di Vicenza tra i pm e il giudice Lorenzo Miazzi, al momento della costituzione di parte civile di Banca d’Italia. Miazzi si è poi dimesso.

  1. Le pressioni di Barbagallo su Trinca e Zonin

Una registrazione che imbarazza Banca d’Italia, emersa nel 2019, dimostra la volontà precisa dell’istituto di indirizzare Veneto Banca verso la fusione con la Popolare di Vicenza in un ruolo subordinato. Scelta legittima peraltro ma negata, decisamente e ripetutamente, dallo stesso Barbagallo, protagonista delle pressioni, e dal governatore Visco nelle audizioni in commissione parlamentare d’inchiesta.

  1. L’affare mutui ipotecari con J.P. Morgan

Proposto nel 2015 a Veneto Banca da Gennaro Stabile ma smascherato come truffa dall’avvocato Massimo Malvestio, spedito a trattare da Consoli. Stabile è il dg del fondo lussemburghese Optimum Asset Management che nello stesso periodo sottoscrive 600 milioni di euro di azioni Bpvi, in realtà finanziate dalla banca, in una triangolazione con Malta. Stabile ricompare nella vicenda della Popolare di Bari e viene arrestato il 29 settembre 2020 per dinamiche analoghe a quelle contestate nel processo di Vicenza, dove di lì a poco avrebbe dovuto testimoniare a favore di Zonin. Si chiude dopo cinque anni un cerchio di complicità, o quanto meno di corresponsabilità, noto già dal 2015?

  1. I processi di Vicenza e Treviso.

Stesse imputazioni ma andamento completamente diverso nei processi in corso a Vicenza e a Treviso, per aggiotaggio, ostacolo alla vigilanza e falso in prospetto. Tutti dicono che servirebbe un processo per bancarotta, ma siamo ancora molto lontani. Per di più sono scomparse le truffe, perché le denunce erano troppe! Cassate per eccesso di domanda di giustizia?


Per l’opinione pubblica il crac delle Popolari Venete accomuna in un unico destino Veneto Banca e Banca Popolare di Vicenza. Una semplificazione che non deriva solo dalla contemporanea messa in liquidazione coatta dei due istituti, dopo un commissariamento gestito da tecnici intercambiabili, a seguito di contestazioni del tutto simili da parte della Vigilanza, con pressioni malcelate da Banca d’Italia ad una fusione che gli uni pretendevano (Vicenza) e gli altri rifiutavano (Montebelluna), mentre la magistratura perseguiva entrambe le dirigenze per gli stessi reati, anche se in tempi e con modalità differenti. La comunanza esisteva anche prima del dramma. Quando erano in salute le due Popolari avevano risparmiatori che spesso erano soci sia dell’una che dell’altra banca, avevano dirigenti in sella da decenni, completamente autoreferenziali, che si guardavano in cagnesco ma governavano la banca allo stesso modo: credito concesso a totale discrezione, valore delle azioni usato come leva per mantenere e accrescere il consenso dei soci, unica politica perseguita l’espansionismo in una autocelebrazione continua dei livelli raggiunti, con cui azzerare ogni vocecritica.

Due banche unite in vita e in morte, si direbbe. Invece la corsa verso il disastro ha avuto cause diverse. La differenza è emersa lentamente ma progressivamente nei mesi successivi al default, con riscontri che hanno trasformato l’opinione di pochi in dati di fatto che aspettano ancora spiegazioni. In mancanza delle quali rimane acquisito un disegno che aveva il suo fulcro in Banca d’Italia e puntava a salvare la Popolare di Vicenza usando Veneto Banca; fallita l’operazione per l’intervento della Bce, l’ingranaggio fagocitò entrambe, infliggendo al Veneto un trattamento che è stato risparmiato ad altre regioni in condizioni analoghe

 

  1. Figli e figliastri di Banca d’Italia

La base di partenza è il diverso comportamento della Vigilanza nei confronti delle due banche: la Popolare di Vicenza blandita e “coperta” nei risultati negativi delle ispezioni, Veneto Banca smascherata e punita oltre le risultanze delle medesime ispezioni. La tesi del complotto. Tesi che coincide con l’autodifesa dell’ex amministratore delegato Vincenzo Consoli, appiattendo sulla strategia processuale di quest’ultimo l’analisi che la classe dirigente regionale, attraverso ben due commissioni d’inchiesta, ha condotto sulle cause del disastro. E offrendo una via di fuga a responsabilità diverse: i politici veneti, ma anche buona parte degli intellettuali e il mondo dei giornali, erano seduti in prima fila nelle annuali assemblee dei soci a sostenere la favola della banca del territorio, o la versione traditrice della musina, la banca salvadanaio dove i risparmi erano al sicuro.

Questo non toglie i diversi e ingiustificati comportamenti della Vigilanza, indirettamente ammessi dallo stesso governatore di Banca d’Italia Ignazio Visco in audizione alla commissione parlamentare d’inchiesta il 19 dicembre il 2017.

«Potevamo noi nel 2013 essere un pochino più svegli?», si chiese Visco in quella circostanza. «Forse», si è riposto. «Se devo dire, ho due rimpianti. Uno è la questione delle sofferenze, non aver spinto con forza le banche ad avere tutti i documenti giusti per le sofferenze che avevano; l’altro è, effettivamente, Vicenza, perché noi nelle discussioni del direttorio, nelle valutazioni sulla base delle carte, l’abbiamo sempre considerata fino ad allora una banca non straordinaria, c’erano altre Popolari migliori, ma in quell’ambito sicuramente in grado di fare acquisizioni di banche più piccole».

Nelle parole di Visco la condizione di “essere svegli” si presenta come una specie optional della funzione di vigilanza. Spingendo questo concetto va a finire che si può vigilare anche sonnecchiando: ne verrebbe un problema di bassa resa professionale, pare di capire, non di assunzione di responsabilità, che infatti Visco si guarda bene dall’addossare all’istituto. Si spiega allora perché a fare acquisizioni di banche disastrate in giro per la penisola, con un mandato in bianco di Banca d’Italia, sia andato un istituto più disastrato di quelli di salvare. Anche le «valutazioni sulla base delle carte» che il governatore cita a sostegno dell’occhio di riguardo riservato alla Bpvi, quadrano poco, anzi per niente. Proprio le carte avrebbero dovuto suggerirgli il contrario: lo dimostrano le prove raccolte dai pm, confermate da testimoni al processo in corso a Vicenza e ammesse dagli stessi imputati «Ho dimostrato in aula, citando fatti, circostanze, mail, che la banca sapeva delle baciate», mi dice per esempio un avvocato di parte civile, Renato Bertelle, che mi permetto di citare, «e che le risultanze erano note agli ispettori. Sapevano tutto, avevano gli stessi poteri dell’alta dirigenza. Claudio Ambrosini, un dirigente della banca, aveva detto all’ispettore Sansone: guardate che i grandi soci della banca hanno avuto i finanziamenti, trovatevi e parlate. Il pm in aula ha tentato di declassarlo come teste, ritenendolo inattendibile, invece aveva detto la verità quando ha risposto in merito al suo comportamento. E’ stato solo un po’ incerto perché a suo tempo non aveva detto tutto al direttore generale Samuele Sorato. Il giorno dopo che lui aveva parlato con Sansone, Sorato l’ha chiamato e gli ha dato della spia: cosa vai a raccontare, cose di questo genere. Io ho chiesto inutilmente il confronto con Sansone che aveva reso una testimonianza non credibile, ma il tribunale non l’ha ammesso».

L’ispettore Gennaro Sansone è stato ascoltato nell’udienza del 21 gennaio 2020, ma su questa e altre contraddizioni irrisolte va ricordato che le parti civili avevano contro la pubblica accusa: i pm Luigi Salvadori e Gianni Pipeschi nella fase istruttoria avevano già deciso di non procedere nei confronti degli ispettori di Banca d’Italia, pur avendoli interrogati a lungo.

Il corto circuito, insito nel ruolo dell’istituto, è una delle anomalie di fondo di questo processo: Banca d’Italia è insieme controllore e regista del sistema. Come controllore denuncia gli ostacoli posti alla sua funzione di vigilanza arrivando a costituirsi parte offesa nei processi, ma come regista del sistema ne doveva essere a conoscenza e non può evitare che le si chieda di rispondere. Questo vorrebbe la logica. Se non avviene, la ricostruzione risulta amputata di una linea di indagine necessaria.

Questa anomalia era già emersa nella prima fase del processo di Vicenza, quando la presidenza del collegio giudicante era affidata a Lorenzo Miazzi. Nella fase di costituzione delle parti offese, gli avvocati dei risparmiatori si opponevano alla costituzione di Banca d’Italia, per il ruolo bifronte giocato dall’istituto nella vicenda. Il giudice Miazzi respinse le eccezioni e ammise Banca d’Italia, ma nell’ordinanza rilevò l’ambiguità criticandola. Questo fu causa non ultima dello scontro che il giudice ebbe con l’accusa e che, sommato ad altri screzi, lo portò alle dimissioni, giustificate poi con una sua incompatibilità. Incompatibilità che invece era stata discussa in precedenza, su sua richiesta, prima dell’avvio del processo, con il presidente del tribunale Alberto Rizzo e gli altri capisezione e considerata da tutti ininfluente. Fu una lettera inviata a giugno 2019 dal capo della procura Antonino Cappelleri a Rizzo e a Miazzi, in cui si contestava la gestione del processo, a mettere a nudo lo scontro con il giudice. Rizzo si schierò con Cappelleri e Miazzi si trovò isolato. Su questi retroscena, rimasti piuttosto in ombra, rinvio per economia di sforzo alle risultanze che ho raccolto nel libro “Banche, banchieri e sbancati”, ed. Laterza (capitolo 7 “I controllori mancati”, pag. 212-238 e capitolo 9 “I processi”, pag. 280- 305)

  1. Le pressioni di Barbagallo su Trinca e Zonin 

A inizio 2019 il giornale on line “VicenzaPiù” è venuto in possesso di una registrazione risalente al 19 febbraio 2014 effettuata nella sede di Banca d’Italia a Roma: il capo della vigilanza Carmelo Barbagallo sta dialogando con il presidente della Popolare di Vicenza Gianni Zonin e il suo omologo di Veneto Banca Flavio Trinca e fa pressione su quest’ultimo perché Veneto Banca avvii in tempi brevissimi la fusione con la Popolare di Vicenza. Fusione che in realtà si presenta come un assorbimento, anche se Barbagallo sfuma su questo aspetto, rinviando i dettagli ad accordi successivi, purché l’operazione parta. “Vicenza Più” ha messo a disposizione sia la trascrizione della conversazione (con omissis dove le parole non giungono bene) sia il file audio (che con il tono delle voci consente di cogliere meglio il senso), materiali ai quali rinvio. Ma ne riporto lo stesso le parti salienti, perché il retroscena che emerge è devastante.

Trinca è contestato da Zonin che lo rampogna perché ha dichiarato pubblicamente che

«l’operazione con la Popolare di Vicenza è sbagliata sotto il profilo industriale e incoerente con l’interesse dei soci, di tutti i colleghi e del territorio»: un comportamento aberrante, secondo Zonin, perché un banchiere se è contrario lo deve far sapere per canali riservati. Trinca sostiene invece di aver dato un giudizio professionale in replica a quanto andavano dichiarando i dirigenti di Bpvi sui giornali. Zonin contrattacca negando qualsiasi dichiarazione, erano tutte ricostruzioni fantasiose: «I giornalisti servono per fare confusione, devono vendere i giornali», dice, «ma quando uno fa dichiarazioni virgolettate e le fa scorrette, deve assumersi le sue responsabilità». Trinca ribatte ponendo la questione nodale: «Si era detto che la fusione doveva essere alla pari, alla pari che cosa vuol dire? Alla pari vuol dire, a parte la governance, che la dichiarano i soci e non noi, consiglieri o presidenti, e la parità va cercata sulla base delle situazioni effettive». Poi riporta a Zonin una frase al veleno: «Il tuo direttore generale (Samuele Sorato, ndr) mi ha chiamato in disparte e mi ha detto: non ti preoccupare che non che ti facciamo azioni di responsabilità. Questo ha detto il tuo direttore generale! A me e anche all’amministratore delegato (Vincenzo Consoli, ndr)». Zonin è perentorio: «Io ho fatto una sola dichiarazione, che sono favorevole a una eventuale fusione con Veneto Banca a precise condizioni e lei sa quali sono». Ma quali siano non lo dice.

Mentre i due si azzuffano verbalmente, Barbagallo tace. Un silenzio che suona come accordo con Zonin. Parla solo per respingere la resistenza di Trinca che vuole attendere i risultati dell’Aqr prima di avviare la trattiva con Vicenza. Per Barbagallo è un errore aspettare, bisogna arrivare alla fusione entro novembre 2014 perché la vigilanza passerà alla Bce, fatto che presenta come una minaccia.

Per questo insiste rivolto più a Trinca che a Zonin: «Voi vi assomigliate su aspetti fondamentali, banche non quotate, con valori molti simili, siete sullo stesso territorio, di dimensioni piuttosto simili, eccetera. Noi non è che abbiamo tirato fuori come cilindro dal cappello la soluzione Vicenza, perché chissà ci eravamo innamorati: è semplicemente per le considerazioni che ho detto, vi assomigliate così tanto ed è così difficile combinare le vostre aziende con altre, perché le altre son quotate, perché hanno valori molto più bassi, perché sono in una situazione diversa, perché alcune sono Spa… Non è che c’è una preferenza, semplicemente era ed è un matrimonio che sembra abbastanza ovvio e logico… Aspettare novembre significa per noi non avere più il governo di questa cosa: ricordo che dal 4 di novembre non saremo più noi a decidere, le cose cambieranno drasticamente. A Francoforte si sta procedendo con passi velocissimi, con una grandissima determinazione, questo ve lo posso testimoniare, ho partecipato alle prime due riunioni del Supervisory board… L’atteggiamento nei confronti dei paesi percepiti deboli non fa presagire nulla di buono… assistiamo a una governance europea che ha certe caratteristiche, il blocco tedesco- francese… Fermo restando che noi sapevamo, e continuiamo ovviamente a saperlo, che dal punto di vista personale ci sono delle difficoltà, però l’invito era e rimane questo, anche se  nessuno deve fare le cose per forza. L’invito era ed è quello di verificare quali siano i presupposti tecnici (per la fusione, ndr), anzitutto: l’occasione che si pone per le persone, per il territorio, per il paese in questo momento non credo si porrà più così. Perché non coglierla lavorando passo passo e quindi cominciando con appunto una valutazione dei fondamentali… Dopo di che si vedranno i problemi uno alla volta e magari li affrontiamo, diciamo, in un triangolo, nel senso che noi saremo presenti, se riterrete, a fare queste valutazioni insieme… Se partiamo dalla governance non andiamo da nessuna parte. Prima gli interessi dei soci da una parte e dall’altra, dopo si vede se è possibile un accordo sulla governance. Se non è possibile si vedrà. Questo era il percorso che io vedevo, dopodiché mi pare di capire che lei (riferendosi a Trinca, ndr) porrà questo tema in consiglio di amministrazione?». «Come no», risponde Trinca.

L’insistenza di Barbagallo non consente dubbi: era volontà precisa di Banca d’Italia indirizzare Veneto Banca verso la fusione con la Popolare di Vicenza. Scelta legittima, da regista del sistema. Perché allora viene negata, decisamente e ripetutamente, dallo stesso Barbagallo e dal governatore Visco, nelle audizioni in commissione parlamentare d’inchiesta? Sulla vicenda c’è un verbale che Banca d’Italia ha consegnato ai commissari durante le audizioni (fonte “Vicenza Più”) ma che sarebbe stato secretato. Se è così, perché? Non se ne vede il motivo. Se è per tutelare Banca d’Italia, andrebbe ricordato che un conto è l’istituzione da salvaguardare, altro conto chi la rappresenta temporaneamente, che non può essere esente da critiche. Una distinzione elementare, che in passato ha funzionato, basta ricordare la vicenda Fazio.

  1. L’affare mutui ipotecari con P.Morgan 

In una intercettazione del 1° aprile 2015 (fonte procura di Roma) l’allora direttore generale di Veneto Banca Vincenzo Consoli se la prendeva con l’imprenditore Alessandro Vardanega, all’epoca vicepresidente, perché faceva ostruzionismo sull’operazione mutui ipotecari vitalizi, negoziata con J.P. Morgan. Consoli ci credeva moltissimo. Si era convinto di aver trovato la quadratura del cerchio, acquistando dalla finanziaria americana un pacchetto di mutui, valore 205,5 milioni di euro, pagati anche con azioni VB al massimo della quotazione (39,50 euro). In banca, a parte Vardanega, gli davano ragione tutti: dal collegio sindacale ai consulenti di Kpmg, allo studio legale Chiomenti che aveva steso il contratto.

L’operazione, maturata con presidente il professor Francesco Favotto, consentì a 1500 risparmiatori di sbarazzarsi delle azioni VB che ormai non valevano niente, rifilandole al colosso americano. I nomi dei 1500 risparmiatori sono rimasti sconosciuti. Ma perché J,P. Morgan, che vendeva il pacchetto di mutui a Veneto Banca, accettava in pagamento azioni VB diventate totalmente invendibili? Se lo chiese subito l’avvocato Massimo Malvestio, che venne interpellato dalla banca per un parere, su ordine di Consoli. La sua conclusione fu tranchant: era una truffa. Le azioni VB passavano di mano aiutate da denaro contante pagato sottobanco: Malvestio ne era sicuro e rifiutò di avallare l’operazione, parlando di «iniziativa pazzesca» che avrebbe portato «il nuovo consiglio di amministrazione in galera molto prima del vecchio», quello presieduto da Flavio Trinca e costretto alle dimissioni dal pressing di Banca d’Italia l’anno prima.

In questi termini si esprimeva in una telefonata intercettata dalla GdF di Mestre il 4 giugno 2015 con Massimo Lembo, dirigente della compliance di Veneto Banca (ufficio che si occupa della correttezza delle procedure) che lo interpellava. La telefonata dura 27 minuti ed è piuttosto criptica, perché i due dànno per scontati i particolari dell’operazione.

Due anni dopo mi capitò di intervistare l’avvocato Malvestio e cercai di farmi spiegare il meccanismo di quella che lui considerava una truffa. «Il pacchetto di mutui che J.P. Morgan doveva vendere», mi disse, «funzionava così: il cliente mette l’ipoteca sulla casa, riceve i soldi e non rimborsa niente. Pagano i suoi eredi. Quando pagano? Quando muore il secondo coniuge, se sono in due ad aver chiesto il mutuo. Per cui di fatto è una scommessa sulla durata della vita umana: se due coniugi muoiono presto, J.P. Morgan guadagna, se muoiono tardi J.P. Morgan non prende mai i soldi. Questo contratto secondo me era nullo perché la scommessa sulla durata della vita è un’attività riservata alle imprese autorizzate».

«Ma questa è una minuzia amministrativa», continuava Malvestio, «la cosa di spessore è un’altra. Secondo voi J.P. Morgan andava a proporre a Veneto Banca 60 milioni di mutui e si portava a casa 60 milioni di azioni VB totalmente invendibili, se non aveva già avuto tutti i soldi, cash, anzi molti di più, per addossarsi questo rischio? Quando me l’hanno detto non ho voluto neanche vedere le tavole, ho capito subito che era una truffa. Ad aggravare il quadro c’erano i tempi di esecuzione: un anno dalla morte dei due assicurati, c’era scritto. Io non ho mai visto in Italia l’eredità, l’accettazione, le procedure di esecuzione e la vendita, tutto in un anno.

Dove siamo, a Indianapolis? C’erano amenità di questo genere. Credo di aver risposto in malo modo a Lembo: spero che andiate tutti in galera, devo avergli detto. Stavano comprando mutui ad un prezzo gonfiato di 60 milioni perché J.P. Morgan si portasse a casa 60 milioni di azioni. Non parliamo di quando tutti le volevano, parliamo di quando tutti sapevano che erano invendibili: arriva J.P. Morgan e se ne porta a casa 60 milioni? Gli hanno dato i soldi cash e le azioni sopra, non c’è dubbio. Con il parere del collegio sindacale, della Kpmg e di un primarissimo studio legale. (lo studio Chiomenti, di cui è socio l’avvocato Manfredi Vianini Tolomei citato nella telefonata, ndr). La beffa è che da questo impianto la procura di Roma ha tirato fuori solo un’imputazione per l’opzione di riacquisto delle azioni: figurarsi quando mai verrà esercitata. Che poi è un’opzione attiva, non incide sul patrimonio di vigilanza, per cui verranno trionfalmente assolti».

Dopo l’intemerata di Malvestio i mutui vitalizi furono ridotti da Veneto Banca nel giro successivo a 25 milioni. Il progetto era di Renato Merlo responsabile banche estere e del condirettore Mosè Fagiani, entrambi poi indagati con Consoli per ostacolo alla vigilanza e false comunicazioni.

Ma c’è di più: nella telefonata con Lembo, Malvestio riferiva un fatto più grave: un’operazione da 400 milioni di euro messa in piedi dalla Popolare di Vicenza che finanziava una società lussemburghese, la Optimum Asset Management, perché sottoscrivesse azioni Bpvi, intestandole a fondi amministrati da una consociata nell’isola di Malta. Succede tutto nel 2014. La Popolare di Vicenza si era ritrovata con un buco di 760 milioni e doveva varare d’urgenza un aumento di capitale da 600 milioni. Come li trova? Strizzando i correntisti, che vengono minacciati di revoca dei fidi se non comprano azioni Bpvi. E giocando di sponda con soggetti terzi, in questo caso il gruppo Optimum, che ricicla 400 milioni della stessa banca. E’ un cortocircuito illegale, la cosa non passa sotto silenzio, intervengono la Bce e poi la Consob. Ci sono contraccolpi a Malta, in Italia il presidente Zonin scarica tutto sull’amministratore delegato Samuele Sorato, che viene licenziato (con una buonuscita di 4,5 milioni di euro).

Nella telefonata intercettata dalla GdF, Malvestio aggiungeva altri particolari. Diceva che la stessa operazione erano venuti a proporla a Veneto Banca e Consoli aveva mandato lui in avanscoperta. «Sono andato io a trattarla e al “signorino” ho detto: guarda, non ti do neanche il biglietto da visita perché ti arrestano di sicuro e non vorrei che te lo trovassero in tasca… Io ho rinunciato a capire: a Vicenza non sono ancora andati tutti in galera, con quello che è venuto fuori. Hanno fatto l’operazione che noi abbiamo rifiutato. Quando gli ho chiesto se erano a posto con la testa, mi hanno detto che avevano l’appoggio della Vigilanza … e credo che sia vero, perché sono operazioni di tale dimensione, di tale maldestra criminale stupidità che tu non puoi farle se non sei d’accordo con chi ti controlla».

Successivamente, parlandone con me nell’intervista del 2017, Malvestio espresse un sospetto pesante: «Credo che quel rifiuto di Veneto Banca sia stato l’origine dei guai con il dottor Barbagallo. Quelli me l’avevano detto abbastanza chiaro che era tutto ok. L’ha fatto anche la Popolare di Bari, a cui Barbagallo, contro il mondo, ha dato la Tercas, la Cassa di risparmio di Teramo, con 250 milioni di dote. E naturalmente neanche a Bari Barbagallo si era accorto di nulla. Potrei pensare al millantato credito, se non se ne fossero veramente accorti. Ti potrebbe venire il dubbio, ma non è che puoi passare con il rosso: se lo fai deliberatamente vuol dire che sei d’accordo che il vigile guardi da un’altra parte».

All’epoca dell’intervista con me, Malvestio non mi disse chi era il «signorino» al quale non voleva dare il biglietto da visita perché non voleva che glielo trovassero addosso quando l’avrebbero arrestato. Me l’ha fatto sapere con un sms a rimarcare che aveva ragione il 29 settembre 2020, quando questo personaggio è stato effettivamente arrestato: si tratta di Girolamo Stabile, messo agli arresti dal gip Luigi Labriola in un’inchiesta sul dissesto della Popolare di Bari, per dinamiche analoghe a quelle contestate nel processo di Vicenza. Stabile era il direttore generale di Optimum Asset Management che fece l’operazione con la Popolare di Vicenza nel 2014. La difesa di Zonin lo voleva portare come testimone al processo lo scorso ottobre, ma l’arresto ha cambiato le cose.

Con cinque anni di ritardo sulla previsione di Malvestio si è chiuso un cerchio di complicità, o quanto meno di corresponsabilità, che risultavano chiare almeno ad un operatore dell’epoca. Gli altri, in particolare i controllori, dove guardavano?

Allego una sintesi della telefonata tra Lembo e Malvestio, pubblicata assieme all’intervista a quest’ultimo il 1° giugno 2017 sui quotidiani veneti Mattino di Padova, Nuova Venezia, Tribuna di Treviso e Corriere delle Alpi.

4 giugno 2015, ore 11,25. Massimo Lembo, dirigente di Veneto Banca, chiama l’avvocato Malvestio (sintesi della telefonata)

L. Ti va bene adesso o ti richiamo?
M. Quello che non va bene è questa roba qui, è una follia. Demenziale.

L. Credo che il punto sia dimostrare che certe operazioni anche con il nuovo consiglio non vengono neanche prese in considerazione.

M. Guarda che il nuovo consiglio finisce in galera molto prima del vecchio. Molto prima. L. Tu dici?

M. Non ho ombra di dubbio. Penso anche che quel contratto non sia valido. Non è un contratto di mutuo, è una scommessa sulla durata della vita umana.

L. Anche se in realtà ha la forma tecnica del mutuo.

M. Se i mutuatari vivono quarant’anni, tu vai fuori con tutto, non prendi più i soldi. La trovo l’opera di un pazzo scatenato a piede libero. Se rubavano i soldi dalla cassa era più onesto.

L. Poi c’è questo consulente esterno, ex Vigilanza, che l’ha proposta. Un certo Cavallo. M. Mamma mia, sempre quello…

L. Lo conosci? Credo sia stato Fagiani a contattarlo, lui conosce la nostra banca dalla fine degli anni 90. Ha fatto un’ispezione e poi a qualche titolo, quando è andato in pensione, gli è rimasto questo legame. Gli hanno dato anche altri incarichi.

M. Lo so, lo so. Ma è un soggetto pericoloso, gli basta prendere i soldi, tu puoi buttarti anche dal 15° piano. Guarda che è imbarazzante essere coinvolti. Che vada Vianini Tolomei a spiegare come si fa a difenderlo, visto che ha fatto il contratto.

L. Io ho provato a mettere insieme dei pezzi, adesso me lo rileggerò bene tutto.

M. Hanno dato per assunto il recupero dei soldi in 12 mesi: ma chi ti ha detto che gli eredi hanno i soldi per recuperare?

L. Non sappiamo neanche chi siano.

M. Sono tutte esecuzioni, sai benissimo quanto ci mette un’esecuzione. Con gli eredi, le notifiche da fare, neanche la cominci in 12 mesi. Poi devi considerare un tasso reale dell’1%, mi dici cosa viene fuori? 47 anni è la durata massima prevista, fai conto che sia anche 25 anni, fai l’1% l’anno composto, arrivi con il valore di mercato. Chi ti dice che gli eredi vogliano comprare al valore di mercato?

L. Nessuno, rischi di diventare un’immobiliare.

M. Un’immobiliare di roba sconosciuta, persa nei 4 angoli dell’Italia, una follia. Solo Fagiani e Merlo potevano concepire una roba del genere.

L. Io ho l’impressione che sia stata una iniziativa di Fagiani cui Merlo ha dato corda, per motivi che mi sfuggono.

M. E’ una porcata. Cosa vuoi che ti dica di scrivere…

L. Però bisogna farlo.

M. Dì a Merlo a Fagiani che lo facciano.

L. Loro dicono di aver sempre riferito al numero 1.

M. Mi dicono che anche il collegio sindacale ha fatto un’indagine. Che cavolo ha trovato, per curiosità?

L. Non lo so, è tutta roba secretata, soprattutto il collegio sindacale.

M. Anche la consulenza della Kpmg: secondo me dovrebbero imputarli per concorso. Ho parlato a Vincenzo, lui argomentava, perché a differenza degli altri due non è un cretino. Ma quelle robe falle alla luce del sole. E’ come se avessimo comprato dei mutui mal garantiti a 25 anni a un tasso del 3%, dove vuoi andare?

L. Eh sì.

M. Io lo imputerei anche a J.P. Morgan, perché è talmente marcia…Uno come J.P. Morgan le azioni della banca le ha avute gratis, hai capito? J.P. Morgan ha guadagnato 60 milioni di euro e in più, vabbè, regalami queste azioni della banca.

L. Di fatto sì, perché il prezzo…

M. Dicono che non hanno capito perché gli regalavano le azioni della banca. Ma a chi la raccontano? Se entravano in banca con il passamontagna era una cosa più dignitosa.

L. Tu però hai fatto due chiacchiere con il Capo, quindi più o meno…

M. Dovevamo vederci… 60 milioni di danno è già inaccettabile, ma questi sono molti di più, non so se lo sappia neanche lui. Hanno preso Kpmg, si sono fatti fare le consulenze, poi mi hanno detto che in Cda hanno avuto un dibattito su questa roba…

L. Però poi l’hanno fatta.

M. Vardanega sembra che avesse sollevato dei problemi. La Rossello, ah operazione eccezionale, che fortuna che abbiamo avuto ad averla trovata…

L. Cosa vuoi che ti dica, anche il collegio sindacale ha fatto delle osservazioni che però non hanno avuta la minima conseguenza sulla decisione finale. Il fatto è che lui deve fare una verbalizzazione dell’intervento. Il tema è quale sia il ruolo del direttore generale in questa operazione.

M. Ah guarda, meno c’entra meglio è. Vanno tutti in galera, questo giro. Che se lo facciano spiegare dallo studio Chiomenti che gli ha scritto il contratto. Io mi sarei rifiutato.

L. Sì lo capisco. L’importante è che quando riferirò al Capo, so che tu con lui hai già fatto queste considerazioni, quindi non cascherà dal pero.

M. Io purtroppo ho il difetto che parlo chiaro, motivo per cui tante volte mi hanno revocato gli incarichi. Dopo di che alla Banca del Garda com’è andata? Alla Meridiana com’è andata? Ogni volta sembro il Grillo Parlante, poi le cose succedono e allora era meglio aver ascoltato il Grillo Parlante. L’unico risultato è che hanno goduto per 3 anni, poi è arrivata la martellata.

L. Tra l’altro il documento che lui firma poi finisce da qualche parte.

M. Io ho rinunciato a capire. A Vicenza non sono ancora tutti in galera, con quello che è venuto fuori: mi raccontano cose pazzesche di quello che hanno fatto, eppure Zonin è là, mi dicono che la Bce lo riceve con tutti gli onori.

L. Però il presunto ruolo di banca aggregante oggi è stato messo in discussione. M. Presto verrà fuori una roba devastante.

L. Ho sentito, una serie di impegni al riacquisto, sembrerebbe.

M. No, no, molto peggio. Un’operazione che avevano proposto anche a Veneto Banca, dicendo di avere l’appoggio della Vigilanza. Sono andato io a trattarla e ho detto al signorino: non ti do neanche il biglietto da visita, perché ti arresteranno e non vorrei che te lo trovassero in tasca…

L. Bella questa!

M. Veneto Banca è Maria Goretti in confronto. Quando gli ho chiesto se erano a posto con la testa, mi hanno risposto che avevano l’appoggio della Vigilanza e credo che sia vero, perché queste operazioni sono di tale maldestra criminale stupidità che non puoi farle se non sei d’accordo con chi ti controlla.

I processi di Vicenza e di Treviso 

Guardando a quello che accade a Vicenza e a Treviso, c’è da chiedersi quale strategia guidi i processi contro i dirigenti delle due Popolari Venete. La procura di Treviso non ha ritenuto di procedere al sequestro cautelativo dei beni degli inquisiti, con motivazioni ribadite dal procuratore capo Antonino Cappelleri alla commissione Casini nell’autunno 2017. Peccato che il Gip di Vicenza Roberto Venditti, l’anno dopo, le abbia autorizzate su richiesta delle parti civili, purtroppo fuori tempo massimo: l’ufficiale giudiziario ha trovato solo casseforti vuote e quadri senza valore. Per Veneto Banca la procura di Roma aveva già disposto molto prima il sequestro cautelativo dei beni di Consoli, che si è trovato dunque ad essere l’unico discriminato. Finché la procura di Treviso, ereditando l’inchiesta romana e sfalciando capi di imputazione e imputati, non ne ha disposto il dissequestro. Così tutto è tornato in parità.

L’unico processo avviato seriamente resta quello di Vicenza, dove la procura ha portato alla sbarra l’ex presidente Zonin e un componente del Cda (sollevando dalle responsabilità tutti gli altri) più una troika di alti dirigenti. Due anni di durata, oltre un centinaio di udienze, uno sforzo enorme della magistratura arrivato ormai alle fasi finali. Ma le imputazioni sono ostacolo alla vigilanza, aggiotaggio e falso in prospetto, che si prescrivono in tempi brevi e che tutti ritengono preliminari al processo vero: quello per bancarotta, che inverte l’onere della prova ed estenderebbe la responsabilità anche a chi ha avuto finanziamenti senza merito creditizio.

Il processo per bancarotta era la strada indicata anche dal giudice Lorenzo Miazzi negli incontri preliminari con la procura, prima dell’avvio del processo. Miazzi non si capacitava della strategia adottata dai pm e il fatto di rimarcarlo non ha giovato ai rapporti interni, anzi ha contribuito ad avviare quella spirale di ostilità che lo ha portato alle dimissioni.

Ma il giudice aveva ragione. La procura di Vicenza ha finito per aprirla, l’indagine per bancarotta, benché solo nell’estate del 2019. Servirà un secondo processo. Vero è che mancava un passaggio preliminare, la dichiarazione di stato d’insolvenza, cosa che i commissari di Bpvi e Vb non avevano chiesto prima di arrivare alla liquidazione coatta amministrativa. Non a caso la Lca è stata impugnata e ora il contenzioso è in Cassazione.

Anche la procura di Treviso ha aperto un procedimento per bancarotta ma anche qui in seconda battuta, come troncone separato del processo principale, che contesta gli stessi reati perseguiti a Vicenza, in una situazione molto più caotica. L’inchiesta su Veneto Banca era nata a Treviso, è stata trasferita a Roma, poi rispedita a Treviso per difetto di competenza con processo già avviato, a Treviso è ripartita da zero, con il pm Massimo De Bortoli che ha sfalciato le imputazioni della procura di Roma e ridotto il numero degli imputati ai minimi termini: uno! A giudizio è stato rinviato solo Vicenzo Consoli. Il processo è appena iniziato, siamo alla seconda udienza. Il tribunale ha accolto la costituzione di Banca d’Italia e Consob. Come sia riuscito Consoli a fare tutto da solo, lo dirà il dibattimento. Forse. Ci credono poco anche gli avvocati di parte civile. «De Bortoli ha sfoltito tutto quello che poteva appesantire il dibattimento per non rischiare la prescrizione», prova a giustificarlo l’avvocato Sergio Calvetti. «Ha trovato responsabilità che fanno capo a Consoli e ha preferito andare sul sicuro, piuttosto che disperdersi su tanti fronti». Ma neanche Calvetti, che pure ha migliaia di assistiti, si è costituito. «Risultati economici da lì non ne escono», dice. Lui punta sulla società di revisione Price Water House Cooper, contro la quale sta preparando una citazione che presenterà a Roma. Perché a Roma? «Perché lì è pendente un procedimento penale, ma anche perché a Treviso dopo 5 anni siamo appena arrivati al primo processo, con Consoli imputato unico, poi c’è la bancarotta, figurarsi…».

In questo groviglio di istanze e procedimenti, si sono completamente perse le denunce per truffa. Erano un numero impressionante, 9.000 a Vicenza, oltre 4.000 a Treviso. Suggerite ai risparmiatori con grande battage da molti avvocati, ma accantonate dalle procure costrette a comprimere il numero dei soggetti da portare alla sbarra. Prese singolarmente le truffe avrebbero centuplicato il lavoro di indagine, per non parlare di quello di notifica e per tacere della prescrizione, che sarebbe arrivata inevitabile. Tutto vero. Ma si può considerare non processabile un reato per eccesso di domanda di giustizia?

Padova, 12 gennaio 2021                                     Renzo Mazzaro


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