Una premessa è d’obbligo: noi non siamo affatto ispirati da posizioni antieuropeiste, come lo erano un tempo molti grillini e alcuni Salvini, anche se da qualche giorno non lo sono più; e non siamo nemmeno animati da quel sentimento così provinciale e meschino, quale può essere, ad esempio, quello di rivendicare una sorta di difesa delle proprie radici, giacché a noi, più che le radici, sono sempre piaciuti i rizomi e i tuberi, comprese le patate…quelle americane (absit injuria verbis).
Il punto è un altro, è che la pubblicazione il 3 febbraio da parte della Commissione europea del Piano di lotta contro il cancro, che negli intenti vuole essere «un impegno politico per invertire la tendenza per quanto riguarda questa malattia e un altro passo avanti verso un’Unione europea della salute forte, più sicura, meglio preparata e più resiliente» ha dei risvolti a dir poco imbarazzanti per alcuni nostri settori economici, per non dire propriamente incomprensibili a livello culturale.
Sembrerebbe, infatti, che tra le priorità del piano di azione di questo Beating Cancer Plan, dopo la lotta al fumo di sigarette, ci sia al secondo posto in ordine di priorità una battaglia ferrea contro l’uso nocivo di alcool e di alcuni alimenti grassi, per cui si è paventata l’ipotesi di appiccicare accanto alle etichette dei nostri ottimi e pregiati vini nonchè dei nostri squisiti prosciutti, proprio come le sigarette, un tetro ammonimento con la scritta “Nuoce gravemente alla salute”.
Già così la cosa desta non poche perplessità, anche perché è vero che l’eccesso dei cibi grassi fa male alla salute, ma è pur vero che finora ci avevano tempestato di informazioni scientifiche sul fatto che un bicchiere di vino al giorno avesse ottime proprietà. Avevamo anche imparato, col tempo, a valorizzare quella di cui finora gli scienziati, e non solo quelli italiani, ma anche qualcuno più in alto all’UNESCO, aveva tessuto le lodi e le doti, dichiarandola “patrimonio orale e immateriale dell’umanità” nel 2010, vale a dire la Dieta mediterranea, un coacervo di tradizioni interculturali, con proficue influenze arabe, romane, greche, il tutto al servizio del gusto e del sapore.
Ora, lasciamo stare le polemiche sul fatto che queste misure per la prevenzione del cancro, tutte sacrosante, per carità, mettano solo al terzo posto la riduzione dell’inquinamento ambientale, sul quale dovrebbero investire i grandi colossi industriali, invece di continuare a dividere i profitti, e farci respirare, gratis e senza che si possa scegliere, la merda a Taranto come ad Augusta, oppure farci bere l’acqua al veleno nella provincia di Vicenza come in quelle di Caserta e Napoli.
La questione è un’altra: ci sembra, infatti, che ci sia un vero e proprio cortocircuito tra l’impegno profondo, la dedizione in alcuni casi centenaria, la passione smodata e l’alta professionalità con la quale alcuni produttori e artigiani italiani cercano di rendere unici alcuni prodotti, ad esempio, attraverso la faticosa conquista di etichettature di valore, riconosciute a livello mondiale, come le nostre DOCG, DOC, IGT, IGP, e poi catalogare quegli stessi prodotti come “dannosi per la salute” da parte delle stesse istituzioni europee.
Ci confonde, tuttavia, ancora di più il fatto che solo al quarto ed ultimo posto tra gli obiettivi del Beating Cancer Plan l’Unione europea abbia inserito la necessità di «migliorare le conoscenze e l’alfabetizzazione sanitaria per promuovere stili di vita più sani» e poi non vi sia alcun riferimento al potenziamento della sanità pubblica per effettuare screening, esami diagnostici, cure adeguate gratuite per tutte le cittadine e tutti i cittadini di ogni parte dell’Europa, evitando viaggi della speranza al nord o in Germania per i poveri ammalati di cancro.
Al di là dell’indispensabile e immediato potenziamento delle strutture sanitarie pubbliche e della necessità di rivedere le regole che consentono agli enti privati di lucrare sulla salute delle persone, il problema, e noi lo diciamo ormai da diverso tempo anche in questa rubrica, sta nell’educazione, nel bere come nel mangiare; nell’educazione alla scelta consapevole, come nell’educazione alla moderazione, giacché il discrimine che passa da il bere in maniera smodata e l’ingozzarsi, da una parte, e il degustare un buon vino e assaporare una squisita soppressa, dall’altra, si gioca sulla conoscenza dei nostri prodotti e sull’educazione allo stare al mondo.
Certo, non è che dobbiamo diventare tutti sommelier, food blogger o, al limite, filosofi, ma bere e mangiare bene sono esperienze estetiche, antropologiche, culturali e sociali non di poco conto…Prosit!
Qui troverai tutti i contributi a Agorà, la Filosofia in Piazza
a cura di Michele Lucivero
Qui la pagina Facebook Agorà. Filosofia in piazza e Oikonomia. Dall’etica alla città