Asiago, prende il Covid in ospedale e muore: parenti presentano esposto

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Asiago
ospedale di Asiago

Giancarlo Pilati abitava a Gallio (VI) e aveva 53 anni è rimasto contagiato di Covid al nosocomio di Asiago dove si era recato per mettersi qualche punto, il 14 gennaio, e il 9 febbraio è deceduto, come riporta il responsabile della sede di Treviso, Diego Tiso, dello Studio3A-Valore S.p.A., società specializzata a livello nazionale nel risarcimento danni e nella tutela dei diritti dei cittadini, che purtroppo sta già seguendo numerosi casi sul genere e che come primo passo ha richiesto tutta la documentazione clinica per vagliarla attentamente. E si è deciso di procedere anche con un esposto interessando della vicenda la Procura della Repubblica di Vicenza.

I suoi familiari, dopo essersi rivolti a Studio3A, lunedì primo marzo 2021 hanno presentato un esposto ai carabinieri della stazione di Asiago chiedendo all’autorità giudiziaria di verificare se sussistano responsabilità da parte dei sanitari che hanno seguito il loro caro, non tanto per le cure prestategli quanto per le misure di prevenzione adottate onde evitare il diffondersi del virus.

“Pilati, il 14 gennaio 2021, ha la sventura di dover accedere all’ospedale, quello di Asiago – spiegano gli avvocati – nel momento meno opportuno per via della pandemia: a causa di una banale caduta occorsagli mentre si trova a casa in camera da letto, si è procurato una brutta ferita lacero contusa in un punto delicato, appena sotto l’occhio destro, e necessita dell’apposizione di alcuni punti di sutura. Potrebbe cavarsela in un paio d’ore al Pronto Soccorso, ma il cinquantatreenne soffre praticamente da sempre di problemi di saturazione sanguigna molto bassa e quindi i medici preferiscono ricoverarlo per qualche giorno nel reparto di Medicina”.

“Giancarlo entra da “negativo” al nosocomio: facendo parte della coop sociale asiaghese San Matteo, ogni dieci giorni viene sottoposto a tamponi, risultati sempre negativi, come i ben cinque test che gli saranno effettuati durante la degenza fino al 21 gennaio. Il paziente sta bene, tanto che quel giorno i suoi congiunti vengono avvisati che il loro caro verrà dimesso nel pomeriggio dell’indomani, 22 gennaio, e che sarà accompagnato a casa direttamente in ambulanza”.

“Ma alle 14.30 di quel 22 gennaio, anziché vedere arrivare l’autolettiga, i familiari della vittima vengono nuovamente contattati dall’ospedale, più precisamente da una dottoressa che li informa di un “dubbio” sull’esito dell’ultimo tampone rapido effettuato su Pilati, spiegando che l’indomani lo avrebbero sottoposto per scrupolo al controllo sierologico. E il 23 gennaio arriva la mazzata: l’esito questa volta è positivo, il paziente è rimasto contagiato e il coronavirus non può che averlo contratto in ospedale, non essendo ovviamente mai uscito né avendo ricevuto visite” proseguono gli avvocati.

“Viene trasferito nel reparto Covid dell’ospedale, ma le sue condizioni peggiorano sempre più, tanto da doverlo condurre all’ospedale Santorso di Vicenza in terapia intensiva: i medici gli mettono il “casco”, poi sono costretti a intubarlo, ma i polmoni non rispondono e alla fine anche il suo fisico cede. Il 9 febbraio si arrende. Quando poi viene riconsegnata loro la borsa con gli effetti personali del loro familiare, l’anziana madre e il fratello trovano una tessera sanitaria che non è sua: chiamano l’ospedale, da dove li invitano a riporre subito il documento – raccontano ancora gli avvocati – dentro una busta in quanto appartenente a un paziente positivo che avrebbe potuto a sua volta infettare anche loro”.