La politica attuale e il regime dei pascià

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Antonio Gramsci
Antonio Gramsci

Volevo scrivere un articolo sulla crisi della politica attuale italiana, sulla incomprensibile schizofrenia moralistica dell’antipolitica che guadagna voti, conquista il potere e poi si rivela collusa con gli stessi affaristi e faccendieri che avevano prestato il fianco alle vecchie amministrazioni, con il risultato di trascinare capra e cavoli nella melma giudiziaria, dalla quale certamente non ci si salva con facilità. Volevo scrivere un articolo sulla crisi della politica attuale italiana e criticare la cattiva abitudine di alcuni ministri di parlare troppo e a vanvera oppure di politici, quelli che si riciclano in continuazione, che in campagna elettorale promettono al popolo il cielo e poi una volta al governo sostengono le banche e gli industriali, ma poi, come al solito, mi vengono in mente vecchie letture, letture di quando gli ideali, le bandiere e i simboli politici venivano manifestati con fierezza e non bisognava vergognarsi di essere di parte. Così vado a riprendere un articolo scritto nel 28 luglio 1918 e mi accorgo che, in fondo, sono passati quasi cento anni e l’impressione che se ne ricava non è poi tanto diversa da quella contemporanea e allora maturo l’idea che, forse, è meglio che la mia pretesa originalità sulla crisi della politica attuale italiana lasci il passo alla penna di Antonio Gramsci, rimandando al lettore l’entusiasmante gioco di sostituire qualche nome, insieme a qualche parola d’ordine, e attualizzate una crisi che, a quanto pare, è atavica e strutturale, consustanziale al sistema politico italiano.

«L’Italia è il paese dove si è sempre verificato questo fenomeno curioso: gli uomini politici, arrivando al potere, hanno immediatamente rinnegato le idee e i programmi d’azione propugnati da semplici cittadini. Quando l’on. Orlando proibisce il congresso del Partito socialista, egli continua questa tradizione gloriosa. Infatti l’on. Orlando è un santone del liberalismo, e nei libri, nelle definizioni contenute nei libri essere liberali significa: governare col metodo della libertà, essere persuasi che gli avvenimenti si verificano solo quando sono necessari ed è perfettamente inutile avversarli, che le idee e i programmi d’azione trionfano solo quando corrispondono a bisogni e sono lo svolgimento di premesse solidamente affermatesi, pertanto irriducibili e incoercibili, essere persuasi che il metodo della libertà è il solo utile perché evita i conflitti morbosi della compagine sociale. Ma l’on. Orlando diventa presidente del Consiglio e il suo liberalismo un errore di gioventù. Così l’on. Nitti. Il finanziere F. S. Nitti è sempre stato un liberista: deputato d’opposizione ha pronunziato vigorosi discorsi di critica costruiti su idee larghissime di libertà economica, sulla teoria che lo stato non deve mai immischiarsi nell’attività privata commerciale, non deve farsi distributore di ricchezze, non deve farsi promotore di consorzi e monopoli. Diventato ministro, l’on. Nitti propugna il cartello delle banche, fa da levatrice alla nascita di elefantiaci bambinelli industriali, che vivono solo in quanto abbondantemente sfamati dall’erario nazionale. Così Giolitti, così Crispi, così tutta la tradizione gloriosa del nostro paese. Perché questo fenomeno? È solo dovuto alla mancanza di carattere e di energia morale dei singoli? Anche a ciò, indubbiamente. Ma esiste anche un perché politico: i ministri non sono mandati e sorretti al potere da partiti responsabili delle deviazioni individuali di fronte agli elettori, alla nazione. In Italia non esistono partiti di governo organizzati nazionalmente, e ciò significa che in Italia non esiste una borghesia nazionale che abbia interessi uguali e diffusi: esistono consorterie, cricche, clientele locali che esplicano un’attività conservatrice non nell’interesse generale borghese, ma di interessi particolari di clientele locali affaristiche. I ministri, se vogliono governare, o meglio se vogliono rimanere per un certo tempo al potere, bisogna s’adattino a queste condizioni: essi non sono responsabili dinanzi a un partito che voglia difendere il suo prestigio e quindi li controlli e li obblighi a dimettersi se deviano; non hanno responsabilità di sorta, rispondono del loro operato a forze occulte, insindacabili, che tengono poco al prestigio e tengono invece molto ai privilegi parassitari. Il regime italiano non è parlamentare, ma, come è stato ben definito, regime dei pascià, con molte ipocrisie e molti discorsi democratici»

Michele Lucivero, con l’anacronistico sostegno di Antonio Gramsci