Il “j’accuse” al sistema di Giovanni Schiavon per Veneto Banca e Popolari: memoria per Commissione d’inchiesta su Sistema bancario e finanziario

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Giovanni Schiavon audito dalla Commissione parlamentare di indagine sul sistema bancario e finanziario
Giovanni Schiavon audito dalla Commissione parlamentare di indagine sul sistema bancario e finanziario

Prima della sua audizione di ieri presso la Commissione di inchiesta sul sistema Bancario. Finanziario (cfr. "«Popolari venete e Veneto Banca, magistrato Schiavon in Commissione Banche: 'C’è stato accordo tra procure su imputato unico Consoli'. Spunta anche il «presidente Coviello»") Giovanni Schiavon, magistrato, ex presidente del Tribunale di Treviso ed ex vice presidente per alcuni mesi di Veneto Banca, ha reso disponibile il 30 marzo ai membri della Commissione Banche presieduta da Carla Ruocco una memoria sulle molte le cose che non quadrano sulla vicenda di Veneto Banca e della Banca Popolare di Vicenza, dalla vigilanza di Bankitalia alla crisi innescata dalla riforma delle Popolari.

Ne pubblichiamo di seguito il testo ufficiale ora agli atti con degli OMISSIS, per altro di non difficile comprensione anche in base a quanto più volte scritto su questo mezzo.

Memoria di Giovanni Schiavon per la Commissione Parlamentare d’inchiesta sul Sistema bancario e finanziario

Precisazione e premessa

In questa memoria intendo riferirmi alle vicende di Veneto Banca, che maggiormente conosco, anche per avervi svolto (nel periodo dal maggio, all’agosto 2016) le funzioni di vicepresidente. Non conosco specificatamente quelle relative alla Popolare di Vicenza, per la quale le mie uniche fonti di informazione sono costituite dalle notizie assunte attraverso i media o acquisite in relazione all’attività di Veneto Banca.

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Intendo offrire a codesta Commissione Parlamentare un sintetico contributo  per una ragionevole ricostruzione delle vicende di Veneto Banca, al fine di evidenziare le vere responsabilità sottese alla sua eliminazione, che ha comportato la totale perdita di valore delle azioni possedute da migliaia di soci, azzerando i loro risparmi. Il fallimento delle due ex banche popolari venete è stato uno degli eventi finanziari più gravi del dopoguerra italiano che – a mio parere e come ho sempre dichiarato in tutte le sedi -  è stato il frutto, pur non voluto (ma accettato come possibile risultato finale), di una errata politica bancaria dei grandi decisori (Bankitalia e  BCE in primis), i quali hanno eteroguidato e quasi commissariato gli Istituti per soddisfare esigenze di sistema nel momento della grande crisi economica, imponendo loro decisioni che, poi, si sono rivelate non solo incapaci di superarla, ma anche produttive di gravi conseguenze, forse non previste ; e si sono, poi, impegnati nell’accreditare l’idea della responsabilità unica dei consigli di amministrazione, addirittura, infine, rivendicando per sé un improbabile ruolo di parti civili (come ha fatto Banca d’Italia) nei processi penali che ne sono scaturiti.  E’ significativa la considerazione che il default bancario ha investito contemporaneamente diverse banche – non solo quelle venete – e sia derivato, per tutte, dalla sciagurata decisione della Commissione Antitrust Europea e dall’inadeguatezza dei rimedi concretamente attuati per porvi, con urgenza, rimedio.  Infatti, coerentemente alla rigorosa linea di politica economica  adottata dall’Europea, la Commissione Antitrust (in allora presieduta da Margarethe Westager) era pervenuta ad una decisione che ha finito per creare una serie di disastri: contro la generale aspettativa, in virtù di precedenti analoghi casi, quella Commissione ha negato, proprio in Italia, l’intervento del FITD a sostegno di TERCAS (Cassa di risparmio di Teramo), che era in difficoltà. L’inaspettato rifiuto è stato motivato con l’affermazione che un tale salvataggio sarebbe stato un aiuto dello Stato , come tale vietato dalla normativa europea; ma tale grave decisione è stata poi dichiarata illegittima sia dal Tribunale UE, sia  dalla Corte di Giustizia UE che, anche recentissimamente, nel marzo c.a., hanno, invece, negato che nell’intervento di sostegno del FITD (che è un soggetto privato, in quanto consorzio di Banche) potesse ravvisarsi un aiuto di Stato. Quindi, la decisione della Commissione corrispondeva ad un grave errore di diritto. Ma, nel frattempo, la stessa decisione, pur se riferita ad un caso specifico di istituto bancario (TERCAS), ha comportato un tale improvviso scompiglio nell’intero sistema bancario, da avere, poi, anche impedito il preventivo intervento del FITD a sostegno di altre banche italiane in crisi (Banca Etruria, Banca Marche, Carichieti, Cariferrara,  che avrebbero così evitato la loro sottoposizione alla procedura di liquidazione coatta amministrativa). Inoltre, il diffuso disorientamento conseguito all’improvviso cambiamento di decisione sull’operatività del Fondo, in tema di salvataggi, ha significativamente creato gravi perdite sul mercato per l’intero comparto bancario. E, per di più, è stato una delle cause che, proprio perché è stato impedito l’intervento preventivo del FIDT nelle incipienti crisi delle due banche popolari venete, hanno significativamente contribuito al loro default, dopo la verifica dell’inutilità  anche dello sforzo del Fondo Atlante, costituito ad hoc.

In tale contesto, generato dal miope, maldestro e ostile atteggiamento europeo, si è, poi, anche  inserita la riforma italiana delle banche popolari del gennaio 2015, che le ha forzatamente avviate all’immediata trasformazione in società per azioni ed alla quotazione in borsa  nel momento più disastroso e di massima incertezza del mercato. Una tale riforma (attuata con un provvedimento normativo di urgenza, dopo oltre 130 anni di vigenza del modello delle banche popolari ed approvato, in sede di conversione, con il voto di fiducia al Senato),  è criticabile, anche a prescindere dal suo contenuto, soprattutto per la sua scellerata tempistica applicativa. E tutto questo ha fatto pensare a molti che la fine dei due Istituti veneti (VB, in particolare) sia stato il coerente e logico risultato delle tante opacità delle manovre di sistema, riconducibili alla politica europea e generate dall’illegittima decisione della sua Commissione Antitrust sopra  menzionata.

Quello commesso dall’Europa è stato, dunque, un errore di diritto talmente grave ed evidente da far sospettare che fosse l’espressione  di una deliberata  scelta europea di cambiare decisione sull’estensione applicativa del FITD  proprio per imporre agli Stati membri un programmato maggior rigore comportamentale e dare ingresso a qualche prova generale di bail in, per cominciare ad attuare l’annunciata (dall’Europa) progressiva riduzione del numero delle banche (programma anche astrattamente condivisibile se non fosse cominciato con lo strumento delle procedure concorsuali, che ha finito per comportare il totale assorbimento dei risparmi dei soci che avevano creduto di trovare, nell’acquisto delle azioni delle banche popolari, una rassicurante forma di “risparmio”, cioè di tutela del loro salvadanaio).

Certo è che l’improvviso revirement della Commissione Vestager sui salvataggi bancari a mezzo FITD, nel pieno della crisi economica mondiale, ha dato inizio al disastro ed ha disorientato la stessa politica di Bankitalia e di BCE. Le quattro piccole banche, dopo qualche vano tentativo di aggregazione ad altre, sono state avviate alla procedura di liquidazione coatta amministrativa (non essendo mancata, anche qui, la diffusa abitudine di attribuire agli amministratori l’intera responsabilità per il default degli Istituti.). Invece, per le due popolari venete, si è pensato ad una fusione, con BPVi nel ruolo di Istituto aggregante, perché considerato di più elevato standing (del tutto erroneamente, come dimostrerà l’esercizio europeo cd Comprehensive Assessment, CA, i cui risultati ufficiali sono stati pubblicati il 24 ottobre 20014).

In questa prospettiva, è stata effettuata a Montebelluna una lunghissima (apparentemente unica) ispezione da parte di Bankitalia, iniziata nel gennaio 2013 e ultimata nel novembre successivo, svolta sostanzialmente in due fasi, da parte dello stesso team ispettivo. La prima fase, conclusasi nel luglio 2013, ha avuto esito solo parzialmente negativo; ma in quella successiva, avviata senza soluzione di continuità rispetto alla prima, è stato espresso (pur  da parte dello stesso team ispettivo) un parere sorprendentemente negativo, del tutto incoerente rispetto al verbale consegnato al 23 luglio 2013). E questo induce a pensare che la seconda fase ispettiva avesse avuto, verosimilmente, la funzione di spingere il board di Veneto Banca ad abbandonare la sua manifesta resistenza alla fusione con Popolare di Vicenza.  Fatto sta che, da allora, è iniziato un atteggiamento di evidente ostilità di Bankitalia nei confronti degli amministratori dell’Istituto trevigiano: in primis, di Vincenzo Consoli.

Infatti, è cominciato un vero e proprio attacco a tale banca, a 360°. C’è, allora, il forte sospetto che il secondo segmento dell’ispezione del 2013 possa essere stato un atto di forza diretto ad indebolire il CDA di Veneto Banca. Pare averlo ammesso anche il Capo della Vigilanza, Carmelo Barbagallo, a pag. 36 del verbale della commissione parlamentare di inchiesta sulle banche del 19 dicembre 2017, laddove ha dichiarato: “il tema non è quello relativo alla tenuta patrimoniale, alle sofferenze ecc., ma quello del conflitto di interesse al C.D.A.)” (Ma si è poi accertato che queste supposte operazioni in conflitto di interesse altro non erano che normali affidamenti fatti a consiglieri di amministrazione, nel pieno rispetto dei dettami dell’art. 136 del TUB; ed erano, dunque, operazioni del tutto fisiologiche (anche Zonin era affidato in BPVi, ma ciò non ha mai destato scalpore e neppure sollecitato la curiosità ispettiva di Banca d’Italia).

Quello che qui sorprende (a testimonianza dell’incipiente e improvvisa ostilità di Bankitalia, verso Veneto Banca, probabilmente, come ho detto, dovuta al suo rifiuto di consegnarsi a Popolare di Vicenza, destinata a svolgere, nel progetto di Bankitalia, un ruolo aggregante) non è tanto, in sé, il contenuto del giudizio finale espresso dagli ispettori, quanto la repentinità, davvero inspiegabile, del suo mutamento: si pensi che la seconda visita ispettiva è terminata soltanto 17 giorni dopo la consegna del primo rapporto (che era favorevole, secondo il lessico tecnico); il medesimo gruppo ispettivo, in pochissimo tempo, ha rivisitato lo stesso soggetto appena ispezionato, stravolgendo il proprio recentissimo giudizio.

Dunque, all’esito di questa seconda ispezione del 2013, Banca d’Italia ha preteso  una prima punizione: la cacciata dell’intera governance di VB nell’occasione dell’assemblea prevista per l’approvazione del bilancio del 2013. Un atto di forza grave, del tutto inconsueto e suscettibile di infragilire  ulteriormente la reputazione dell’Istituto, in una situazione già resa precaria dalla profonda recessione dell’economia e che avrebbe inevitabilmente ostacolato qualsiasi piano di rilancio della banca.  Per di più,  questa grave decisione di Bankitalia sarebbe stata, l’anno successivo, smentita dagli accertamenti europei di revisione della qualità degli attivi (Asset Quality Review, A.Q.R ) e di stress test (S.T.).

Contestualmente, si è affiancata l’oscura manovra delle Procure della Repubblica di Roma e di Treviso:  la prima ha richiesto alla seconda la trasmissione a sé di tutti gli atti relativi a Veneto Banca. Una richiesta irragionevole, in base ai criteri di competenza previsti dal codice di procedura penale… Ma l’Ufficio giudiziario di Treviso ha sempre supinamente obbedito, senza neppure  porsi un problema di competenza che, solo dopo circa 3 anni, è stato risolto dalla sentenza del GIP di Roma (in data 27 marzo 2018 n. 594/18), che l’ha indicata a Treviso; e, dunque, tutti gli atti sono stati restituiti alla Procura di tale città. Si impone, allora, una prima seria riflessione: non è dato di capire come, anche di recente, proprio in sede di sua audizione presso codesta Commissione, il Reggente della Procura trevigiana dott. Massimo De Bortoli abbia lamentato, proprio lui, che il processo penale contro Consoli si stia avviando, inesorabilmente, verso la prescrizione; la quale, però, sarà, anzitutto, il primo grave effetto delle vacanze romane del carteggio penale, per inspiegabile scelta proprio del Procuratore di Treviso, che forse – ripeto -  il problema della competenza non se l’era neppure posto. Tant’è che un’analoga richiesta, da parte della Procura di Roma (di essere destinataria della cognizione dei procedimenti penali a carico di amministratori), non c’è mai stata per nessuna delle altre banche “fallite”, pur se numerose.  Solo per Veneto Banca si è avvertita l’esigenza di concentrare le indagini a Roma… E ciò non è avvenuto neppure per la Popolare di Vicenza,  nonostante l’identità dell’impianto accusatorio e l’evidente contestualità delle (intrecciate) vicende!!! Perché mai questo diverso e inspiegabile trattamento? Sembra, davvero, che la Procura di Roma volesse, a tutti i costi, trattare direttamente e con il suo diretto controllo, solo la vicenda di Veneto Banca (che – guarda caso - si era ribellata al progetto di fusione pensato da Bankitalia) …

A tale riguardo, per sottolineare ancora, l’opacità dell’operato delle due Procure (di Treviso e di Roma), segnalo a codesta Commissione un fatto, apparentemente marginale, ma che ritengo essere un’ulteriore evidente espressione dell’esistenza di decisioni già adottate, a monte, da un’ oscura unica regia …  In un pomeriggio della primavera del 2016, quando svolgevo  le funzioni di vicepresidente di Veneto Banca (per meno di quattro mesi) ho avuto una dura discussione, nella sede di Veneto Banca, con ……….OMISSIS ….., consulente del PM romano, pur se ispettore di Bankitalia,  nominato, appunto con tali funzioni, a Roma (esattamente dal PM dott.ssa Loy ): di lui e dei suoi comportamenti parlerò in seguito. Nel corso di una discussione ero stato pesantemente offeso dal ……….OMISSIS ….. e, il giorno successivo, avevo presentato nei suoi confronti, una denuncia-querela per una serie di reati che ritenevo (e ritengo) avesse commesso, anche nel corso della sua ispezione a danno di altri soggetti, banca compresa. Ho presentato la mia denuncia alla Procura della Repubblica di Treviso, ma il capo di tale ufficio (dr. Michele Dalla Costa, ora in quiescenza) l’ha immediatamente trasmessa (non è dato di capire in virtù di quale parametro di competenza) alla Procura di Roma; essa è stata assegnata proprio al PM Sabina Calabretta (cioè al magistrato che, essendo subentrata alla dott.sa Loy, interloquiva con il …….OMISSIS ….. ed era destinatario della sua relazione), fra i tanti che compongono quell’Ufficio.  Ebbene, lo stesso P.M., pur avendo dovuto restituire tutto il carteggio riguardante Veneto Banca a Treviso, dopo la pronuncia di incompetenza del GIP romano, ha, inspiegabilmente, trattenuto, per sua presunta competenza, solo la mia denuncia, per la quale ha, poi, chiesto l’immediata archiviazione!! Mi sembra evidente il connotato di ostilità di tale decisione, spiegabile, forse, con il fatto che proprio io avevo cercato di evidenziare, secondo il mio profondo convincimento, sempre e in tutte le sedi, le colpe gravi di Bankitalia nella disastrosa vicenda delle banche italiane e, in particolare, delle due ex popolari venete, non solo per aver omesso un adeguato controllo, ma, anche e soprattutto, per essere stata evidente ispiratrice di opache manovre che hanno contribuito allo sfascio di queste stesse banche. In questa prospettiva era chiaro che la mia denuncia era stata considerata come uno sgradito attacco alla stessa Istituzione di cui il …….OMISSIS ….. faceva parte: cioè Bankitalia…

In definitiva, sono convinto che il default di Veneto Banca sia stato, soprattutto, il frutto di ripetute sciagurate decisioni delle Istituzioni e delle Autorità di vigilanza nazionali ed europee, che hanno, in vario modo, contribuito a minare la continuità operativa della banca, attraverso alcune significative dannose iniziative, quali (a titolo di esempio): 1) la gravissima ripercussione sul sistema, causata dalla sciagurata (e illegittima) decisione della Commissione Antitrust europea di proibire l’intervento del FITD nei salvataggi bancari;  2) l’improvvisa pretesa di ricapitalizzazione per taluni Istituti vigilati, soprattutto per l’entrata in vigore dei nuovi vincoli europei, stabiliti da BCE; 3) il maldestro tentativo di Bankitalia di obbligare Veneto Banca a fondersi in Popolare di Vicenza (erroneamente ritenuta di più elevato standing, come accertato nell’autunno del 2014, dagli stress test europei, che hanno evidenziato l’irragionevole ostilità di Bankitalia verso l’Istituto trevigiano e verso il suo amministratore delegato, Vincenzo Consoli, iniziata proprio a seguito del rifiuto alla fusione); 4) la legge di riforma delle banche popolari del gennaio 2015, che ha obbligato le popolari con un attivo superiore ad 8 miliardi a trasformarsi immediatamente in società per azioni, per poi quotarsi in borsa, nel momento più difficile del mercato; 5) la sorprendente remissività della Procura di Treviso nel trasmettere sistematicamente tutti gli atti a quella romana, in virtù di una semplice richiesta e in spregio ai criteri di competenza stabiliti dal codice; 6) la spettacolarizzazione della maxi perquisizione  ordinata dalla Procura romana (guarda caso) ed eseguita, a mercati aperti, il 17 febbraio 2015, con conseguente devastante impatto reputazionale su Veneto Banca e grave sua perdita di liquidità (la perquisizione ha impegnato oltre 100 agenti della Guardia di Finanza ed ha avuto un altissimo impatto mediatico negativo: appena due mesi dopo la comunicazione, da parte dell’autorità europee, che la stessa VB aveva, invece, brillantemente superato gli stress test !); 7) il fallito tentativo, a fine maggio 2016, di collocamento in Borsa dell’aumento di capitale (apertamente osteggiato dal direttore generale di allora, Cristiano Carrus, che, in piena operazione di ricerca di capitale sul mercato, si ostinava ad affermare pubblicamente che VB era uno zombie, un morto in cammino, così denigrandola e minando quel che restava della sua credibilità [i]; 8) l’intervento affrettato del Fondo Atlante, nel giugno 2016, dopo che era venuto meno (a seguito della illegittima decisione della Commissione Vestager) l’intervento di sostegno del FITD.

A questo punto, non può mancare un cenno al problema delle cosiddette azioni finanziate (cioè alle c.d. operazioni baciate) che, secondo Banca d’Italia, sarebbe stato una delle più gravi anomalie addebitabili alla governance di Veneto Banca; il riferimento è – come è noto- all’acquisto di quote azionarie della banca, da parte dei soci, mediante utilizzo di finanziamenti concessi dalla banca medesima.

Ma, a tale riguardo, è assodato che il loro calcolo, per come eseguito dagli ispettori, è stato il frutto di una  carenza metodologica e di alcuni altri errori rilevabili nell’elenco delle azioni finanziate medesime. In questa sede non ritengo utile, anche per esigenze di spazio, dilungarmi oltre sull’argomento, riservandomi, semmai e se richiesto, di scrivere uno specifico supplemento di memoria proprio al fine di evidenziare la sussistenza e l’entità degli errori commessi dagli ispettori.

Infine, è opportuno fare anche un cenno   al (grave) operato di …….OMISSIS ….. (ispettore di Bankitalia) al quale la Procura di Roma aveva conferito l’incarico di suo consulente di parte [ii]

L’intento di colpire specificatamente Consoli mi è stato confidato proprio dal …….OMISSIS ….., nell’occasione in cui ho avuto, con lui, un colloquio in banca; egli  aveva cercato di convincermi ad indurre l’Associazione dei risparmiatori allora da me presieduta a votare, nell’assemblea del 5 maggio 2016, la lista espressa dal  consiglio di amministrazione in carica: richiesta che, ovviamente ho rifiutato. Ma mi sono chiesto in virtù di quale potere il …….OMISSIS ….. mi avesse fatto una simile proposta, promettendomi una sua disponibilità a favorire l’attribuzione anche a me di non meglio precisati incarichi all’interno della banca, essendo egli, a suo dire, in buoni rapporti con i funzionari di BCE (…….OMISSIS ….. ).

In estrema sintesi, della quale – se eccessiva – mi scuso, il mio convincimento è questo:

  • la difficoltà delle banche venete è cominciata alla fine del 2007, a seguito della crisi mondiale, iniziata negli Stati Uniti e, poi, dilagata in Europa;
  • è seguita una grave depressione del mercato immobiliare e, quindi, è precipitato il valore di mercato delle garanzie offerte alle banche, a fronte delle concessioni di credito dei crediti pregressi, pur se originariamente adeguate;
  • è cominciata allora a crescere la patologia dei c.d. crediti deteriorati e, in una situazione di progressiva difficoltà dei mercati, è intervenuta la dissennata decisione della Commissione Antitrust europea, che ha (illegittimamente) negato l’intervento economico a sostegno di TERCAS, così creando un generale squilibrio e disorientamento per tutte le banche in crisi;
  • questa anomalia ha indotto i decisori del sistema bancario a richiedere continui ed assillanti aumenti di capitale e rafforzamenti dei requisiti prudenziali per assorbire il decadimento  della qualità degli attivi;
  • contestualmente, sempre a causa della crisi, è significativamente aumentata la domanda di accesso al credito bancario e, dunque, la pressione sugli intermediari da parte di imprese, soprattutto venete, tradizionalmente sottocapitalizzate e dipendenti dai finanziamenti esterni (del resto, sempre sollecitati dalla politica, che temeva l’asfissia finanziaria a danno degli imprenditori);
  • è intervenuta, poi, la riforma delle banche popolari del gennaio 2015, la cui dissennata tempistica applicativa ha letteralmente squassato il sistema;
  • già le pressioni della vigilanza di Bankitalia per indurre VB a fondersi in BPVi (benché questa fosse più debole della prima, come accertato negli stress test europei del 2014) aveva comportato un ingiustificato accanimento, da parte di Bankitalia, sul CdA di VB e, in particolare, su Vincenzo Consoli, del quale si è pretesa, in tutti i modi, la testa, al fine di additarlo all’opinione pubblica quale unico (o principale) autore di un disastro che, invece, a mio avviso, è stato il naturale e prevedibile epilogo di una dissennata e miope politica bancaria, riconducibile unicamente ai regolatori.

Giovanni Schiavon

 

[i]  Ho subito segnalato questo grave comportamento alla Procura di Treviso e a CONSOB, senza ricevere risposta alcuna. Avevo segnalato che a tutti era stato praticamente impedito di partecipare all’aumento di capitale, tanto che agli sportelli era stato impartito l’ordine di far sottoscrivere una dichiarazione che doveva esprimere la volontà dell’aspirante sottoscrittore di procedere, nonostante la stessa banca lo avesse sconsigliato di farlo. Perché, allora, quel manager bancario non ha, come si suol dire, portato i libri in Tribunale, se davvero pensava che la banca fosse uno zombie?

[ii]  L’incarico ex art. 359 c.p.p. a …….OMISSIS …., nel procedimento penale n. 60908/14 R.H.R. mod. 21, relativo alle vicende di Veneto Banca riferire al PM in merito ad operazioni di finanziamento ai soci per l’acquisto di azioni, con specifico riferimento alla “compatibilità nell’ambito della consistenza del patrimonio di vigilanza dei prestiti subordinati”, nonché alle “eventuali comunicazioni non rispondenti al vero inviate a Banca d’Italia e a CONSOB in merito alla consistenza del patrimonio di Vigilanza e, più in generale, ai dati di bilancio che connotano l’assetto economico e finanziario”.

Il quesito formulato al C.T. conteneva, poi, la seguente frase finale, stereotipa  e di rito: “quant’altro utile ai fini di giudizio”.

E’, dunque, chiaro che quel quesito, molto specifico, non autorizzava il CT (consulente del Pubblico Ministero, che è una parte nel processo penale), ad interpretare il proprio ruolo come riferito a tutte, indistintamente, le vicende della banca ed a tutti, indistintamente, coloro che vi operavano. Per di più, l’incarico al C.T. era limitato al periodo “dall’anno 2010 ad oggi” (cioè al 23 febbraio 2015).Nulla di più, anche perché la frase residuale finale non aveva alcun autonomo sostanziale significato, e che comunque, andrebbe, pur sempre,  riferito al tema delle attribuzionidi credito ai soci.

Nonostante ciò, il consulente del P.M. ha voluto essere il braccio armato della Procura ed ha interpretato il proprio incarico come una sorta di autorizzazione a mettere sotto la sua lente d’ingrandimento indagatoria tutte le persone che, nel passato o nel presente, hanno avuto a che fare con Veneto Banca (compresi quelli – come il sottoscritto – che si sono occupati della banca ben dopo il 2015) e per qualsiasi vicenda, pur successiva al 2015. Il suo malcelato obiettivo era quello di portare  a Roma la testa di Consoli ( cioè del soggetto che, nell’ottica di Bankitalia e secondo il tradizionale metodo dello scaricabarile, avrebbe dovuto essere il principale responsabile di quella che è stata definita “una tempesta perfetta”) E, così, l’ispettore …….OMISSIS …. non ha mancato di interpretare il ruolo dell’indagatore pure su fatti di gossip, su dispendiosi viaggi di piacere, su squallidi aspetti personali della vita quotidiana della banca: circostanze, tutte, frutto di una fertile fantasia sensazionalistica… E di questa grave anomalia  di fondo è significativo esempio anche la mail datata 6 maggio 2016 (ore 16,20) con la quale il …….OMISSIS …. –il giorno successivo dell’insediamento del nuovo CdA, seguito all’assemblea dei soci chiamati al voto – ha perentoriamente intimato ai vertici amministrativi della banca di mantenere il “segreto istruttorio” sulla sua indagine in corso, avvertendoli che il contenuto  della sua attività (fosse essa “di reportistica già formalizzata, di provvedimenti, documenti, appunti, ovvero di ciò di cui siete a conoscenza per aver collaborato o perché collaborate con me” non avrebbe potuto essere “messo a disposizione se non dalle Persone legalmente autorizzate”; in caso di dubbio, gli operatori avrebbero dovuto chiedere autorizzazione solo a lui !!

Treviso  30 marzo 2021

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