Il problema, a questo punto, non è tanto la salvezza che, in un modo o nell’altro, dovrebbe essere centrata. Il problema è, invece, tecnico ed è capire i perché della vistosa flessione del Lane in questo finale di campionato. Da un mese e mezzo la squadra gioca male e se, in un primo momento (in coincidenza con le vittorie consecutive su Pescara e Cittadella), questo aspetto era stato emarginato dalle prospettive di un accesso alla zona play off, poi la sequenza dei tre stop con Ascoli, Reggina e Lecce ha messo in evidenza lo scarso livello del gioco. Anche la vittoria sull’Entella non ha cancellato la sensazione che qualcosa non funzioni e la brutta sconfitta interna con il Brescia ha riacceso i dubbi.
In generale la squadra allenata da Mimmo Di Carlo quest’anno si è fatta apprezzare solo poco e saltuariamente per la qualità del gioco: all’inizio del campionato con il 4-4-2 fortemente improntato sugli esterni (alti e bassi) e, da gennaio, con la innovazione del 4-3-1-2, che ovviava con i tre mediani e il trequartista alla manifesta inferiorità del reparto centrale nei confronti dei corrispondenti degli avversari.
Il primo modulo era diventato meno efficace in coincidenza con contagi e infortuni, il secondo – oltre che per un continuo ricovero in infermeria di giocatori tutti lungodegenti – per un calo di rendimento dei centrocampisti e per la sterilità degli attaccanti. Meggiorini a parte, ovvio.
Una costante negativa, invece, è stata la difesa, raramente immune da errori anche grossolani che, più di una volta, hanno condizionato l’andamento delle partite.
Tutti questi fattori hanno portato a una mancanza di identità della squadra nel corso del campionato, lacuna accentuata e, talvolta, perfino provocata dal sistematico ricorso al turn over da parte dell’allenatore, a tal punto che certe volte non se ne capiva né la motivazione né l’opportunità. E che, in più di una occasione, non ha dato i risultati che Di Carlo si aspettava.
Il filo conduttore, la trama che avrebbe dovuto dare un connotato comune a gioco e giocatori sarebbe stata l’agonismo, a immagine e somiglianza di quello che Mimmo era stato quand’era l’eccezionale mediano del Vicenza di Guidolin (tanto da entrare in odore di Nazionale) e del suo predicato di tecnico concreto e senza fronzoli.
La grinta, il mai mollare Di Carlo li ha invocati e suggeriti ai suoi uomini per tutto il campionato, ma non sempre e non da tutti l’appello è stato recepito e quindi si sono visti in campo solo occasionalmente.
Vedasi nella partita contro il Brescia: il Vicenza è crollato dopo l’uno-due a una decina di minuti dalla fine del primo tempo (mica a fine gara!), è ritornato in campo tutt’altro che grintoso e bramoso di rimonta, si è fatto uccellare per la terza volta, dopo di che è uscito di scena. E meno male che le ultime quattro partite del campionato avrebbero dovuto essere altrettante finali di Champions…
Questo brutto finale di stagione rischia di complicare la costruzione della prossima. Una chiusura in crescita avrebbe permesso di valutare con più obbiettività ed equilibrio i singoli e il loro futuro a Vicenza, oggi invece il sentimento della tifoseria propende verso la sfiducia e il desiderio di cambiamento. È messo in discussione perfino l’allenatore, a cui evidentemente il fatto di essere stato una bandiera del calcio biancorosso non basta per meritare l’aprioristico gradimento del pubblico. Sarebbe ingiusto non riconoscere a Di Carlo l’ottima gestione dell’emergenza Covid, il momento più difficile del suo biennio sulla panchina del Vicenza, ma su altri punti i dubbi non sono del tutto immeritati.
La tifoseria esprime qualche riserva anche su molti giocatori. Ne sembrano immuni soltanto Giacomelli che, pur con molti alti e bassi, ha giocato il suo miglior campionato a Vicenza, e Meggiorini, per i suoi gol di alta qualità. Gli altri oscillano fra uno sgradimento esplicito (Jallow e Longo in particolare) e l’interrogativo se la loro qualità sia a livello della categoria.
Ora, bisogna capire quali siano i piani della società per la prossima stagione, che, negli intenti, dovrebbe essere quella di avvio per la rincorsa alla promozione in Serie A. Sempre che sia ancora così, però. C’è stata una recente dichiarazione del presidente Stefano Rosso, rilasciata al quotidiano Tuttosport, molto significativa: «… la pandemia ha dato uno scossone non da poco. Non si può pensare di pianificare perdite ogni stagione. Il tempo dei Paperon dei Paperoni che acquistano le società di calcio per giocarci è finito. Bisogna individuare dei progetti che rendano i club in grado di camminare sulle proprie gambe». Chiaro? Chiarissimo e indubbiamente condivisibile. Se sarà coerente con questa linea, la società non farà grossi investimenti per rinforzare la squadra. Perché i ricavi sono destinati a essere contenuti anche in futuro: dal mercato non ci si può aspettare molto sia per la situazione contrattuale di molti giocatori sia perché l’unico tesserato che può avere richieste (Mancini) non è in vendita; biglietti e abbonamenti sono un’incognita e comunque non danno risorse tali da essere determinanti nel budget; lo stadio è vecchio e obsoleto e non è fonte di ricavi; qualche soldo in più dovrebbe arrivare dal riparto dei diritti televisivi grazie al nuovo concessionario Sky ma, anche per questa voce, non sono previsti miracoli.
La riduzione del costo del lavoro, ovvero un abbassamento degli ingaggi, servirebbe a diminuire i costi ma non sarebbe certo un’attrattiva per giocatori di rango, ammesso che si voglia portarne a Vicenza.
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