Qualche volta gli orrori li tengono nascosti. E così è anche peggio perché non c’è speranza che siano cancellati. Occhio non vede cuore non duole, come dice il proverbio. È il caso dell’ex (un altro!) scuola media «Leonardo da Vinci» (poi intitolata a Antonio Giuriolo), alloggiata per decenni in un edificio inopinatamente e irresponsabilmente piazzato sul retro di Palazzo Cordellina, uno dei più eleganti di Vicenza, che sta giusto a metà del lato nord di una delle vie più belle, la contrada Riale.
Smascheriamo subito il colpevole: è il Comune di Vicenza. Negli anni Cinquanta dello scorso secolo, i reggitori della città decidono di creare in pieno Centro Storico quello che oggi si chiamerebbe un «polo scolastico». Non tanto perché raggruppava più istituti, anzi ce ne stava uno solo, ma perché era di dimensioni tali da poterne accorpare una pluralità.
La riforma Bottai del 1940 ha creato le «scuole medie» unificando i primi trienni del ginnasio, dell’istituto tecnico e delle magistrali in un unico corso scolastico (che, nel 1963, diventa Scuola media unificata). Solo le medie danno accesso alle Superiori, l’alternativa è «l’Avviamento» cioè la scuola professionale. Nel contesto storico di allora, in cui si abbinano la crescita demografica e la richiesta di istruzione, la città ha bisogno di una media inferiore di grande capienza in grado, quindi, di accogliere studenti di tutta la parte settentrionale della città. L’altro polo, quello di Piarda Fanton, è deputato a reclutare i giovani dell’altra metà urbana.
La localizzazione del nuovo complesso scolastico è individuata in un’ampia area centralissima e inutilizzata che si apre alle spalle di Palazzo Cordellina. È Carlo Cordellina, avvocato e giureconsulto della Serenissima, a commissionare il progetto nel 1774 all’architetto Ottone Calderari, fedele seguace del palladianesimo al punto di riprodurre le forme neoclassiche del maestro due secoli dopo la sua morte pur in un contesto urbanistico ben diverso da quello del Cinquecento.
Calderari presenta al committente una proposta grandiosa: un complesso che occupa due isolati in profondità (dalla contrada Riale alla cortina di case prospicienti Pedemuro San Biagio) e, in larghezza, si spinge a ovest fino a contrà Cornoleo per prospettarsi al di là della stradicciola, approfittando di uno spiazzo non edificato, addirittura su piazza San Lorenzo.
Come progetta di riempire tutto questo spazio il Calderari? Con l’edificio della residenza padronale su contrada Riale, collegato con un cortile contornato da un duplice loggiato a un fabbricato intermedio che funge da foresteria e, alle spalle di questo, a un’altra ampia corte che prelude ai servizi, compresa una scuderia per venticinque cavalli.
I lavori partono con l’abbattimento di due preesistenti edifici e di una chiesa dei Gesuiti ma, quasi subito, Cordellina si rende conto che la realizzazione del tutto avrebbe un costo insostenibile perfino per lui, che pure è ricchissimo tanto da essere proprietario anche della omonima villa di Montecchio Maggiore. L’avvocato blocca quindi l’ingegnere e gli impone di stralciare la sola parte del palazzo principale. Né più né meno di quello che era toccato due secoli prima allo stesso Palladio, che non era riuscito a concludere praticamente nessuno dei suoi palazzi cittadini perché i nobili committenti gli tagliavano i fondi. Quanto accaduto al maestro non era stato evidentemente sufficiente all’allievo per progettare in modo meno fastoso e più adeguato al borsellino del committente.
Per finire la costruzione del Palazzo servono quindici anni e solo nel 1791 Cordellina riesce a prenderne possesso, anche se solo per pochi anni perché muore quasi centenario nel 1800. Proprietario del palazzo (che, nel frattempo ha ospitato più volte Napoleone Bonaparte) diventa nel 1829 il Collegio Convitto Comunale e, un secolo dopo (1926) il Comune stesso.
Durante la Seconda Guerra Mondiale Palazzo Cordellina è bombardato e subisce danni cospicui, cosicchè nel 1947 è necessario avviare un importante restauro. Dev’essere stato in occasione di questo che le mire degli amministratori comunali cadono sull’area retrostante per costruirvi il nuovo imponente edificio scolastico. E così, alla fine degli Anni Cinquanta, si compie il delitto (estetico): la edificazione di un enorme fabbricato pluripiano a tre corpi, la cui fronte principale è brutalmente dirimpetto al loggiato posteriore del palazzo padronale e i cui altri due rami si sviluppano sulla superficie di quello che avrebbe dovuto essere il cortile di servizio nel progetto del Calderari. Successivamente sul lato orientale è aggiunta una palestra a due piani.
L’estetica della scuola, ça va sans dire, è di una banale bruttezza che va anche oltre il limite del minimo accettabile. Il contrasto con la grandiosa eleganza della facciata del retro di Palazzo Cordellina è avvilente. Il visitatore che esce dall’atrio dell’edificio storico si trova improvvisamente davanti una corte asfaltata e una facciata finestrata in stile architettura pubblico-funzionale che provocano in lui incredulità. Ma che c’entra qui sta roba? Siamo in pieno centro della seconda città più bella del Veneto, davanti al miglior palazzo del Settecento vicentino e ci hanno piazzato questo rudere? Sì, perché se non bastasse, la vecchia scuola media è stata abbandonata più di vent’anni fa ed è, tanto per cambiare, in abbandono.
Qui gli articoli della rubrica “La Vicenza degli orrori”
Sei arrivato fin qui?
Se sei qui è chiaro che apprezzi il nostro giornalismo, che, però, richiede tempo e denaro. I ricavi della pubblicità non sono sufficienti per la stampa indipendente ma puoi aiutarci a continuare il nostro lavoro per darti moltissime notizie gratis e solo alcune a pagamento. Se vuoi continuare a leggere in futuro i nostri articoli e ad accedere per un anno a tutti i contenuti PREMIUM, al nostro archivio web e cartaceo, alle Newsletter online e a molte iniziative in esclusiva per te puoi farlo al prezzo di un caffè, una birra o una pizza al mese.
Clicca qui e diventa Partner, Amico o Sostenitore
Grazie, il direttore