Di Gianluca Di Feo, da la Repubblica. La caccia adesso è diventata immateriale. Combattere la mafia vuol dire perquisire un cloud o sequestrare bitcoin, battendo la competenza dei tecnici assoldati dai criminali e seguendo i canoni di legge senza scorciatoie, pur muovendosi nello spazio digitale infinito.
Criptovalute e cloud
E se molti associano ancora l’immagine dei carabinieri del Ros a quella delle fiction, con militari che pedinano latitanti nelle campagne o irrompono nelle regge dei narcos, la quotidianità delle indagini è già entrata nel mondo cibernetico: «Dobbiamo sempre riuscire ad anticipare le loro mosse, selezionando le tecnologie e le professionalità che servono », spiega il generale Pasquale Angelosanto, comandante del Raggruppamento operativo speciale.
L’Arma festeggia proprio oggi (per chi legge il 5 giugno, ndr) 207 anni, con un’anima fedele alla tradizione e una mentalità che guarda all’innovazione. Lo si legge nella carriera di Angelosanto, che dopo una lunga attività sul campo contro mafie e terroristi tra Sicilia, Campania, Calabria e nella Capitale ha diretto prima il Racis, la centrale delle investigazioni scientifiche, e poi il Reparto telematica del Comando generale. Una doppia esperienza in cui si specchiano i due fronti dell’azione del Ros. «È così dall’inizio: quando Carlo Alberto dalla Chiesa nel 1974 prese in mano le unità anticrimine, chiese subito gli strumenti più moderni — sottolinea Angelosanto — . Nel 2015 è stato creato il Reparto Indagini Telematiche — R.I.Tel. — che è il polo di riferimento per tutta l’Arma nella lotta al cybercrime . Si tratta non solo di individuare gli sviluppi tecnologici delle minacce ma anche capire come si evolvono».
È un reparto simile a una startup, con 50 donne e uomini, tra cui tanti laureati in ingegneria, fisica, matematica e informatica. Dove specializzazione e aggiornamento sono imperativi e che per questo è stato diviso in tre aree di intervento. Anzitutto c’è la Digital forensics : si tratta di “congelare” smartphone, computer, server, cloud usati per l’attività criminale. «Bisogna sequestrare i contenuti con un rigore scientifico e giuridico perché va tutelata l’integrità e l’inalterabilità dei dati ». La seconda fase è quella della Internet investigation : si entra in quei dispositivi per recuperare le tracce di un reato, ad esempio chat che sono state cancellate. Infine ci sono i professionisti della Malware e network analysis . Il campo più complesso, che dalla conoscenza delle architetture delle reti telefoniche e telematiche cerca di ottenere elementi come la posizione di un sospettato. «La sfida è saper discriminare, in questa sconfinata quantità di dati, le sole informazioni rilevanti », precisa Angelosanto. Anche i boss hanno fatto scuola di informatica. «Le indagini stanno evidenziando come la criminalità organizzata, di qualsiasi matrice, abbia orientato le attività finanziarie verso il Fintech e in particolare verso le criptovalute — continua Angelosanto — . Lo fanno per eludere i controlli e muovere capitali in maniera istantanea in qualsiasi parte del mondo». Di criptovalute ne esistono oltre quattromila. «I boss le utilizzano per i pagamenti, con una garanzia di anonimato e una semplicità di uso che li rende alla portata di tutti. Quando invece vogliono investire devono rivolgersi a professionisti per spostare grandi importi in sicurezza». Software diabolici fanno arrivare i bitcoin a destinazione scambiandoli prima attraverso centinaia di intermediari fittizi, in modo da rendere difficile seguire la pista del denaro. Anche gli investigatori però si evolvono. E sanno fare rete: c’è uno scambio di notizie tra le polizie di tutto il mondo, che serve a mettere in guardia sulle innovazioni criminali e il modo di sconfiggerle: «Il Ros ha relazioni di fiducia e professionalità consolidate che diventano decisive anche in questa nuova dimensione — conclude Angelosanto — . Fare squadra è parte del codice genetico dell’Arma e i carabinieri del Ros portano avanti questo valore anche nel cyberspazio ».
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