Un sistema malato: governo del cambiamento o della farsa?

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Abbiamo assistito in questi ultimi tre mesi a una tragica farsa nella quale le “difficoltà” e le “manovre” affrontate per costituire un governo hanno dell’incredibile. Dopo una campagna elettorale che ha visto ognuno contro chiunque con toni a dir poco accesi che facilmente hanno superato la soglia dell’insulto, era difficile prevedere quello che abbiamo vissuto. C’è stata l’esaltazione della famigerata “politica dei due forni” secondo la quale si possono fare accordi di governo con chiunque, indifferentemente dalle posizioni dell’interlocutore del momento antitetiche alle proprie. Ma questa capacità, ci hanno detto, è una caratteristica della politica. Sarà.

Quindi abbiamo visto estenuanti riunioni per arrivare a un contratto che sarebbe stato controfirmato dai “capi-partito”. Un contratto tra “aziende” che avrebbero ripianato eventuali dissidi futuri in un “comitato di conciliazione” ristretto. Al chiuso di quelle stanze che gli stessi firmatari del contratto avversavano fino a qualche ora prima. Così è stata sancita la trasformazione del governo del nostro paese in un affare tra privati. Un contratto che doveva certificare il “governo del cambiamento”. Una parola, “cambiamento”, comune a tutti, o quasi, i governi che si sono succeduti dagli anni ’90 del secolo scorso a oggi. Una “grande novità” non c’è dubbio.

Abbiamo ascoltato le parole del presidente della Repubblica che poneva il veto nei confronti di un futuro ministro motivandolo con il fatto che la UE non avrebbe gradito quella persona in quella posizione. Immediata è stata l’alzata di scudi contro una giustificazione decisamente imbarazzante. Così il presidente incaricato ha rinunciato a formare il governo e si è ventilata l’ipotesi di un governo tecnico (del presidente) per “traghettare” il paese durante il periodo estivo verso nuove elezioni e, intanto, fare qualcosa. C’è stata, da parte di uno dei futuri firmatari del “contratto”, la minaccia di mettere sotto accusa del capo dello stato per alto tradimento. Minaccia rientrata nel giro di qualche ora con distinguo e precisazioni. Non era più all’ordine del giorno. E poi strepiti, urla, eccessi verbali, dichiarazioni sopra le righe, dita puntate contro l’avversario del momento. Si è parlato di “colpo di stato”. Le dichiarazioni si sono succedute a ritmo incalzante. Qualcuno ha chiesto di rivotare a fine luglio … altri, no, meglio a inizio settembre … ma … forse. Comunque, tutti decisi, “bisogna votare perché il popolo è sovrano”. Nel mentre veniva conferito (con riserva) l’incarico di formare il governo al “grande tecnico”, persona famosa per i tagli alla spesa. Intanto lo spread andava su, ma poi è calato. Da Berlino un commissario UE ci ha fatto sapere che i mercati avrebbero insegnato agli italiani come e chi si doveva votare. Ma è bastato aspettare qualche ora e, puntuale, è arrivata la smentita. Un turbinio di si … ma … forse.

In questo caos, il capo del partito che, solo qualche giorno prima, aveva chiesto la messa sotto accusa del presidente della Repubblica, è andato a colloquio dallo stesso esprimendogli piena fiducia e facendo capire che si poteva ritentare la strada del governo politico già proposto e bocciato apportando qualche modifica. Il capo dell’altro partito potenzialmente “di governo” prima ha chiuso la porta dichiarando che non avrebbe fatto nessun passo indietro né di lato. Passate poche ore ha cambiato idea e ha riaperto la porta. Così, il tentativo di formare il governo tecnico è rimasto congelato in attesa del nuovo “governo politico” frutto del “contratto” tra i capi dei due partiti vincitori delle elezioni di tre mesi prima. Gli stessi partiti che avevano promesso più chiarezza ed efficienza, meno tasse e più soldi per tutti. E così si è arrivati, finalmente, alla proposta del nuovo governo con la spartizione di poltrone e sgabelli secondo criteri di appartenenza o vicinanza a questo o quel partito. Un governo “politico” con 18 ministri e un “tecnico” come presidente. Nulla di veramente nuovo. Alcuni importanti ministri, infatti, hanno partecipato a governi del passato, quelli considerati in maniera del tutto negativa dai “nuovi” governanti.

Certo, il ministro inviso alla UE, quello che aveva “costretto” il presidente della Repubblica a mettere il veto, quello stesso che veniva definito intoccabile dal capo di uno dei partiti del cambiamento, non è più al suo posto. È stato spostato a un altro ministero.

Abbiamo assistito alle stesse manovre fatte da qualsiasi altro governo. Soltanto in maniera più caotica e mettendoci più tempo.

Il nuovo presidente del consiglio è un “professore” che si è autodefinito “avvocato del popolo”, uno che ha “gonfiato” il suo curriculum vitae. Ma questo è il cambiamento che ci viene proposto e dobbiamo esserne contenti.

Tutto sarà diverso, promettono. Ci saranno meno tasse per i più ricchi, magari aumentando l’IVA (come da affermazioni del nuovo ministro dell’economia) si favoriranno le imprese, ci sarà il reddito di cittadinanza, la legge Fornero forse verrà rivista, si ribadisce la fedeltà alle alleanze internazionali e ai trattati, si batteranno i pugni sul tavolo dell’Europa ma non troppo per non disturbare, si sospenderanno le grandi opere ma forse no, si manderanno a casa loro centinaia di migliaia di immigrati, in nome della sicurezza si darà libertà di sparare sempre e comunque per legittima difesa, si promettono diritti per tutti ma si intravedono nuove privatizzazioni nella sanità e nell’istruzione. Si faranno cose che costeranno centinaia di miliardi di euro anche se le coperture non sono state individuate … in pratica si è promesso di tutto, di più e a chiunque come fa ogni governo che nasce.

Applausi a tutti. Al presidente della Repubblica, al “grande tecnico” incaricato con riserva che, quando ha rinunciato all’incarico, sorrideva forse per lo “scampato pericolo” di doversi assumere un compito certamente ingrato. Applausi al sedicente “avvocato del popolo” (che non ha perso tempo a farsi fotografare ieri sera in una pizzeria vicino casa, dove, ci avvisano solerti organi di informazione “ha ordinato un piatto di straccetti di manzo con la rucola”) e applausi anche al nuovo governo del “cambiamento”.

Intanto la vita normale continua. Sono continuate normalmente le chiusure per fallimento di fabbriche storiche come la Melegatti. Sono proseguiti normalmente i licenziamenti, la crescente precarietà di chi vive del proprio lavoro e l’invecchiamento di chi non riesce ad andare in pensione.

Tutto normale. Lavoratrici e lavoratori hanno continuato a morire nei luoghi di lavoro. Sono ormai 296 da inizio anno, 71 nel mese di maggio, quasi 200 da quando abbiamo votato il 4 marzo scorso. Non c’è nessun segno di miglioramento, anzi. Le “morti bianche”, veri e propri omicidi in nome del profitto, sono in netta crescita rispetto agli anni scorsi.

I politicanti, gli stessi che si sono resi protagonisti della tragica farsa di queste ultime (e troppe) settimane, dicono poco o niente al riguardo. Al massimo si dichiarano “addolorati”, affermano che “non si può andare avanti così”, dicono che quella dei morti sul lavoro è un’emergenza che bisogna affrontare … come e con quali risorse non è dato sapere.

Ma quello che nasce oggi è il “governo del cambiamento” un governo “politico” presieduto da un “avvocato del popolo” che diminuirà le tasse, darà il reddito di cittadinanza, farà qualche condono per fare cassa, espellerà tanti immigrati, ci farà sentire “più sicuri a casa nostra”. Ma nei luoghi di lavoro, no. Là si continueranno a svolgere lavori senza protezioni né garanzie. Perché, nell’insicurezza e nella precarietà, infortunarsi e morire resteranno condizioni normali. Il nuovo governo “giallo-verde” (come viene definito) non interferirà con le imprese che hanno l’esigenza di essere competitive e abbattere i costi. Ne siamo certi perché chi vive del proprio lavoro diventa facilmente un esubero, uno scarto da accantonare. Ne siamo praticamente certi perché anche il governo del “cambiamento” sa che lorpadroni comandano e che è a loro che devono rispondere. Non c’è “avvocato del popolo” che tenga. È la legge del mercato.

NB: volutamente non è stato fatto nessun nome dei protagonisti di questa tragica farsa che ha portato alla definizione del governo. Alcuni protagonisti si possono elencare alla rinfusa, seguendo l’indicazione di una celebre gag di Totò e Peppino: Conte, Salvini, Renzi, Di Battista, Tria, Savona, Di Maio, Mattarella, Giorgetti, Martina, Meloni …

 

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Giorgio Langella
Giorgio Langella è nato il 12 dicembre 1954 a Vicenza. Figlio e nipote di partigiani, ha vissuto l'infanzia tra Cosenza, Catanzaro e Trieste. Nel 1968 il padre Antonio, funzionario di banca, fu trasferito a Lima e lì trascorse l'adolescenza con la famiglia. Nell'ottobre del 1968 un colpo di stato instaurò un governo militare, rivoluzionario e progressista presieduto dal generale Juan Velasco Alvarado. La nazionalizzazione dei pozzi petroliferi (che erano sfruttati da aziende nordamericane), la legge di riforma agraria, la legge di riforma dell'industria, così come il devastante terremoto del maggio 1970, furono tappe fondamentali nella sua formazione umana, ideale e politica. Tornato in Italia, a Padova negli anni della contestazione si iscrisse alla sezione Portello del PCI seguendo una logica evoluzione delle proprie convinzioni ideali. È stato eletto nel consiglio provinciale di Vicenza nel 2002 con la lista del PdCI. È laureato in ingegneria elettronica e lavora nel settore informatico. Sposato e padre di due figlie oggi vive a Creazzo (Vicenza). Ha scritto per Vicenza Papers, la collana di VicenzaPiù, "Marlane Marzotto. Un silenzio soffocante" e ha curato "Quirino Traforti. Il partigiano dei lavoratori". Ha mantenuto i suoi ideali e la passione politica ed è ancora "ostinatamente e coerentemente un militante del PCI" di cui è segretario regionale del Veneto oltre che una cultore della musica e del bello.