Daniela Mapelli, Rettrice UniPadova, e Trotula de Ruggiero. “Agorà. La Filosofia in Piazza”: dal Rinascimento, epoca non inclusiva per la donna, ad oggi

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Trotula e Daniela Mapelli, Rettrice UniPadova
Trotula e Daniela Mapelli, Rettrice UniPadova

La nomina, per la prima volta in 800 anni di storia, di una donna, la professoressa Daniela Mapelli, affermata psicologa di fama internazionale, a Rettrice dell’Università di Padova, costituisce un fatto di una novità epocale che merita la giusta attenzione. La nomina di Daniela Mapelli, tuttavia, non è un unicum nella storia della direzione delle istituzioni accademiche italiane, infatti già in passato abbiamo avuto modo di parlare dell’affermazione di Trotula de Ruggiero come medico di fama internazionale alla direzione della Schola Medica salernitana. Tutto ciò, però, accadeva nel pieno del Medioevo, quando la filosofa e scienziata si guadagnò una popolarità che venne notevolmente ridimensionata nei secoli successivi.

Il Seicento, infatti, come è noto, è il secolo di Galileo Galilei e della Rivoluzione scientifica, che apre a nuovo atteggiamento non più solo teorico, ma fortemente orientato all’innovazione tecnologica. Si dà così l’avvio alla modernità e le molte scoperte della fine del secolo XVIII segnano l’inizio della Rivoluzione industriale. L’Illuminismo, con la sua estrema fiducia nella ragione umana, impose nel vecchio e nel nuovo mondo l’idea della centralità e della forza della ragione.

Certo, si potrebbe dire che tale centralità ha un cuore antico, che la definizione di uomo misura di tutte le cose è di Protagora, un filosofo vissuto in Grecia nel V secolo a. C., e che questa visione del mondo fu poi riproposta dall’Umanesimo nell’arte, nella filosofia, nella letteratura. Inoltre, con l’età moderna l’idea di trascendenza si è via via indebolita, lasciando l’uomo solo al centro dell’universo…l’uomo, ma incredibilmente non la donna! Nel momento in cui è così forte l’ardore di conquistarsi il paradiso in terra, Eva ne viene esclusa, o quantomeno viene messa all’angolo.

Anche la fama di Trotula de Ruggiero ne pagò lo scotto, infatti la scienziata venne dimenticata o trasformata in maschio, ritenendo i moderni studiosi che non potesse essere una femmina l’autrice di testi scientifici così importanti.

Nella magnifica civiltà umanistico-rinascimentale ci troviamo di fronte alla totale esclusione dell’altra metà del cielo. Le donne, ispiratrici di tanta poesia, arte, letteratura vengono ora cancellate dai libri di storia. In realtà, c’erano donne poeta, pittrici, architette, scienziate; c’erano, ma semplicemente venivano ignorate. Solo in anni molto recenti, e grazie ai movimenti femministi, si è alzato il velo sulle grandi figure che, seppure a fatica, hanno lasciato il segno con le loro opere, artistiche o scientifiche che fossero.

La rivoluzione scientifica del Seicento ha dato frutti straordinari in ambito scientifico-razionale, ma ha rappresentato un evidente regresso su altri piani, e di ciò hanno pagato scotto in particolare le donne. Il Seicento è, infatti, anche il secolo della caccia alle streghe, e quella sapienza femminile, che il barbaro medioevo riconosceva alle donne, negli anni della rivoluzione scientifica viene considerata “diabolica” in senso proprio, al punto che migliaia di donne finirono sul rogo perché “colpevoli” di conoscere le virtù delle erbe o per il loro anticonformismo.

Di questa temperie ne fece le spese anche Trotula, dal momento che la sapienza dei suoi scritti non fu giudicata ascrivibile a una donna, come accadde nel XVI secolo con Hans Kaspar Wolf[1]. In pieno Umanesimo si cominciava a giudicare inaccettabile che una donna fosse giunta a livelli di conoscenza così alti e a godere di così gran fama, anche se ancora per tutto il secolo i suoi scritti continuarono ad essere utilizzati come testi classici nelle scuole di medicina più prestigiose.

Più imbarazzante è scoprire che a negarne l’esistenza o l’appartenenza al genere femminile, attribuendo i lavori di Trotula a degli scienziati di sesso maschile, con lo straordinario argomento che erano troppo buoni per essere stati scritti da una donna, siano stati storici novecenteschi come  Konrad Hiesermann nel 1921, Charles Singer e Henry E. Sigerist nel 1924[2].

Giustizia è stata fatta al nome e all’opera di Trotula a partire da un medico e studioso della medicina campana, Salvatore de Renzi[3], rivoluzionario napoletano seguace di Guglielmo Pepe nei moti del 1820, la cui autorevolezza fu riconosciuta, un secolo dopo la pubblicazione della sua Storia documentata della scuola medica di Salerno, nientemeno che dallo storico tedesco Paul Oskar Kristeller. Fu quest’ultimo a rivalutare la grandezza di Trotula e ad ammettere che l’unico motivo per cui il suo nome è stato oscurato durante tutti quegli anni è riconducibile al fatto che non si accettava che ci fosse una donna scienziata del XI secolo!

De Renzi poté disporre di un codice del XII secolo scoperto a Breslavia, dal quale risulta incontrovertibilmente l’esistenza di Trotula e la sua importanza all’interno della Schola salernitana. Con de Renzi, tuttavia, siamo nell’Ottocento e la fama di Trotula resta confinata nei manuali di storia della medicina, da cui da due secoli le donne che avevano esercitato la professione medica erano state espulse, ma ormai la strada del riconoscimento era stata riaperta.

Nel 1900 una donna medico polacca, Mélanie Lipinska, pubblica un libro sulla storia delle donne medico nell’antichità, in cui parla delle mulieres salernitanae, tra cui spicca Trotula. Nei decenni successivi si allarga di qua e di là dell’Atlantico il numero degli studiosi che riconoscono il ruolo avuto da Trotula nel campo della medicina. Ma la fama della prima donna medico d’Europa cresce soprattutto a partire dalla seconda metà del secolo scorso ed è legata ai movimenti femministi sorti tra gli anni ‘60 e ‘70, che ebbero come conseguenza, tra l’altro, un grande aumento delle donne che si iscrivevano ai corsi di laurea in medicina.

Rinnovando le congratulazioni alla Rettrice Daniela Mapelli per il suo impegnativo lavoro alla direzione di una delle più antiche e importanti università italiane, vogliamo ricordare che l’invito rivolto alle donne di “riappropriarsi del proprio corpo” favorì lo sviluppo di una medicina specifica per le donne: la nascita di cattedre di Medicina di genere[4] in alcune università ne è uno degli esiti principali e, speriamo, non l’ultimo in questa direzione!

[1] P. Greco, Trotula. La prima donna medico d’Europa, L’asino d’oro, Roma 2020, p. 105.

[2] Ivi, p. 106.

[3] Ivi, pp. 187-190.

[4] In Italia la prima di queste cattedre, favorita dalla riforma sanitaria della ministra della sanità Rosy Bindi, è stata fondata a Padova nel 2012.


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a cura di Michele Lucivero

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