Dopo la rubrica (di successo) “La Vicenza degli Orrori” (qui tutte le sue puntate concluse domenica scorsa, ndr), da oggi il suo curatore Gianni Poggi vira e parte, sempre a sua firma, una nuova “storia”, quella della Vicenza bella ma meno conosciuta, perché le sue bellezze, che, superano i suoi “orrori” non si limitano ai suoi siti più conosciuti, come la Basilica Palladiana, il Teatro Olimpico, Palazzo Chiericati, la Rotonda, Palazzo Thiene…
Tutte bellezze, meno note, ma non per questo meno degne di attenzione da parte dei residenti e dei turisti la cui descrizione (e scoperta) col titolo “Non solo Palladio” riaffidiamo ogni domenica a Gianni Poggi, che oggi inizia con la Badia di Sant’Agostino. Leggete e, soprattutto, se volete, segnalateci angoli belli ma nascosti della nostra città a direttore@vipiu.it.
Grazie
Il direttore
Non solo Palladio: la Badia di Sant’Agostino, uno scenario umbro fra i colli vicentini
Non solo Palladio (qui tutte le puntate, ndr). Vicenza è città bellissima (come la definisce il titolo di un catalogo di mappe e vedute urbane dal ’500 all’800) senz’altro e in primis grazie alle meraviglie che le ha lasciato la sua archistar tanto da farla diventare Patrimonio dell’Umanità. Ma non solo. Questa città è, infatti, anche paesaggi, scorci, fiumi, chiese antiche, palazzi gotici. E anche posti dimenticati o nascosti dalla nuova città, che nei secoli si è aggiunta e sedimentata loro addosso.
È questo il caso della Badia di Sant’Agostino. Una piccola comunità religiosa che ha vissuto e operato per secoli e secoli in una chiesetta e in un monastero a poca distanza dalle mura cittadine e in quello che doveva essere uno dei siti più belli del contado.
Il complesso sorge fra il Retrone e le pendici dei Colli Berici, in mezzo alle campagne lungo una strada che, un tempo, uscendo da Porta Lupia, portava ad Altavilla e da lì a Lonigo. Oggi si chiama viale Sant’Agostino perché l’antica abbazia ha dato il nome a tutta la vastissima area.
Per immaginare quelle che dovevano essere la bellezza e la suggestione del posto, rileggiamo un breve racconto di Emanuele Zuccato, scrittore poeta e commediografo vicentino della prima metà del secolo scorso, che così descrive il viaggio verso la abbazia: «Un viandante … si avviò tutto solo per una visita alla vecchia Badia di S. Agostino. Percorse il primo tratto di strada diritta ed assolata, costeggiata prima dalle costruzioni dell’Arsenale ferroviario, poi da campi, orti e piccole case disseminate d’intorno come un gregge disperso. Arrivato al ponte sul Retrone, che scorre lento ed uguale – fluido nastro azzurro – nel mezzo della valletta, sostò reverente dinanzi al sacello della Madonna delle rondini … Mormorando commosso un’Ave, attraversò il ponte sostando ancora ad ammirare la maliosa valletta che gli si schiudeva davanti, bella come un’egloga di Virgilio. Vedeva più lontano i colli di Creazzo, Sovizzo e poi quelli del maggior Montecchio. … Percorso ancora un breve tratto, il viandante arrivò alla trecentesca Badia di S. Agostino, meta del suo viaggio. La vecchia chiesa, di sobria architettura romano-lombarda, con davanti un doppio filare di giovani cipressi, gli apparve come un paesaggio trapiantato miracolosamente da un ubertoso colle umbro e assaporò tutta la francescana poesia da essa emanata» (da “Vicenza di ieri” Consonni 1964).
La descrizione risale agli Anni Venti o Trenta, quindi meno di un secolo fa. Colpisce quanto poteva spaziare l’occhio rispetto ad oggi e quindi la “maliosa“ visione di insieme che la Badia riceveva dal contesto. Doveva essere davvero magica quella valletta nella sua isolata collocazione e, per contrasto, tanto più affascinante il piccolo edificio della chiesa. Non aveva certo bisogno delle invenzioni e delle forzature postconciliari per suscitare sacralità e partecipazione.
Chi non conosce l’abbazia ci vada come il viandante di Zuccato, a piedi, partendo dalla città. Ma non lungo il viale percorso dal viandante, perchè sarebbe costretto a vedere la orrenda Zona Industriale e il viadotto dell’Autostrada.
Segua piuttosto un percorso che si sviluppa nella natura, lungo la strada di Gogna fino all’autostrada. Poi, inevitabilmente, fiancheggi questa verso ponente arrivando a pochi passi dall’abbazia. Subito dopo si troverà, sulla sinistra, il breve viale che porta alla chiesa. E, il viandante, ignori che, subito a sud, incombono i capannoni dell’altra Zona Industriale, quella che il Comune di Arcugnano ha pensato bene di piazzare in continuità con quella del capoluogo, chiudendo così a tenaglia la Badia.
Anche se soffocato da autostrada e fabbricati industriali, il complesso religioso riesce a tener le distanze e a crearsi una bolla attorno che fa dimenticare i rumori dei motori e il cemento armato. Si percepisce un isolamento ideale, un distanziamento invero simile a quello che ispirano analoghi edifici dell’Appennino del Centro Italia (aveva ragione Zuccato!).
La chiesa è tanto semplice e modesta all’esterno quanto poco adorna all’interno dell’unica navata. Sulla facciata a capanna si apre un rosone centrale, sul lato sinistro la torre campanaria, su quello destro il chiostro.
Dentro, ci sono poche cose ma veramente belle: una serie d’affreschi della scuola di Tommaso da Modena, sopra l’altar maggiore un polittico del 1404 di Battista da Vicenza (donato da Ludovico Chiericati in onore della dedizione di Vicenza a Venezia), che raffigura la Madonna in trono col Bambino e Santi. Ci sono un grande San Cristoforo affrescato nel Trecento e un crocefisso in legno del primo Quattrocento. Nel presbiterio si può ammirare un prezioso ciclo di affreschi (pure del XIV secolo) con Storie di Cristo e, nella volta quadripartita, Evangelisti e Dottori della Chiesa. Infine, una curiosità: un orologio a parete con quadrante risalente al 1400.
La storia della Badia di Sant’Agostino è lunga e travagliata, fra decadenze e restauri, ma testimonia un ininterrotto attaccamento dei vicentini a questo piccola, modesta bellezza che riesce a sopravvivere all’aggressione subita nel secolo scorso e a trasmettere miracolosamente l’originale misticismo voluto dai fondatori Francescani settecento anni fa.
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