Intervista a Franco Coppoli (COBAS Scuola Terni ed esecutivo nazionale). “Filosofia in Agorà”: governo banchieri scarica sul personale sue mancanze

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Franco Coppoli, COBAS SCUOLA Terni ed esecutivo nazionale COBAS
Franco Coppoli, COBAS SCUOLA Terni ed esecutivo nazionale COBAS

Forse non tutti conoscono Franco Coppoli, ma per chi è avvezzo alla lettura dei giornali e alle questioni riguardanti la scuola, non sarà sfuggita il 14 luglio 2021 la notizia di un docente di Terni che ha vinto in Cassazione un ricorso contro il MIUR, che ha stabilito che i dirigenti scolastici non hanno alcuna competenza disciplinare oltre la censura scritta e non possono irrogare sospensioni ai docenti, smontando il carattere disciplinare e intimidatorio delle leggi Brunetta e Madia.

Inoltre è in attesa di conoscere la decisione della sezioni unite della Cassazione del 6/07/21 su un’altra importante e lunga battaglia civile: nel 2009 è stato sospeso dal CNPI/MIUR per un mese dal servizio e dallo stipendio per aver rimosso il crocefisso dall’aula dove insegnava, considerandolo discriminatorio in una scuola pubblica di uno stato laico e chiedendo di insegnare in un ambiente scolastico inclusivo e non connotato da un simbolo religioso.

L’abbiamo intervistato sull’obbligo vaccinale e il green pass nella scuola e quello che ne deriva è la trascrizione di un terzo del suo eloquio, al quale non mancano certamente verve e argomenti.

Qual è la posizione del sindacato sui vaccini, sul green pass e sull’obbligo vaccinale del personale scolastico?

La posizione dei COBAS Scuola sul green pass e sull’obbligo vaccinale è il frutto di una dialettica interna molto accesa che ha portato, comunque, ad alcune posizioni condivise. La prima è l’assoluta contrarietà all’obbligo del green pass nella scuola, che viene considerato una misura discriminatoria, inoltre siamo a favore del fatto che chi non avesse fatto la scelta del vaccino abbia diritto, anche per la normativa sulla sicurezza sui posti di lavoro, a dei test salivari gratuiti, che andrebbero fatti non ogni due giorni, perché quella sembra veramente una vessazione per intimidire e costringere di fatto alla vaccinazione i lavoratori e le lavoratrici della scuola, ma almeno una volta a settimana. Quello che è inaccettabile, a prescindere dal fatto che ognuno poi possa decidere sulla questione del vaccino, è che con il dispositivo green pass l’obbligo vaccinale è stato spostato sul personale, mentre lo Stato, se avesse voluto, avrebbe potuto imporre una vaccinazione obbligatoria. Siccome però il vaccino è di fatto sperimentale, lo Stato preferisce spostare la responsabilità e quindi anche le conseguenze fattuali del vaccino sui lavoratori e sulle lavoratrici: questo è semplicemente inaccettabile.

Cosa perde e cosa guadagna il personale scolastico ad accettare di vaccinarsi e ad accettare un obbligo in materia sanitaria dal suo datore di lavoro?

Dietro quest’obbligo c’è un’operazione di tipo economico, un’operazione biopolitica cioè di governo delle esistenze delle persone. Oggi l’estrazione del valore da parte del capitale non avviene più solamente nella forma classica, quella del pluslavoro e del plusvalore, ma avviene anche in maniera più sottile attraverso il controllo della vita stessa. L’estrazione capitalistica del valore avviene attraverso quello che è un estrattivismo compulsivo sia in relazione alle risorse naturali sia in relazioni alle direzioni che prende la nostra vita, in una forma di controllo biopolitico che si trasforma in “necropolitica”, come afferma Achille Mbembe[1], aprendoci gli occhi su quella che è una logica tutta occidentale. Dobbiamo decolonizzare il nostro pensiero e le lotte: basti pensare che il 75% della popolazione mondiale non ha avuto accesso a questo vaccino ed è inaccettabile che il brevetto rimanga nelle mani delle case farmaceutiche.

Forse con il vaccino si guadagna una vita più tranquilla e rilassata. Tuttavia, io non entro nella questione vaccinale, perché ritengo che ognuno debba valutare se farlo o meno in base ai rischi e benefici. Quello che è veramente inaccettabile è l’operazione di imposizione, ma anche di discriminazione, di stigma, perché quello che sta venendo fuori è una vera e propria discriminazione contro chi ha delle più che legittime perplessità di sperimentare sul suo corpo il vaccino.

Sulla questione vi è anche un’altra operazione che è di tipo politico, infatti questo governo di banchieri e di tecnici, che non è assolutamente neutrale (come non è neutrale la scienza, come ci ricorda Marcello Cini[2]) in questa fase del neoliberismo propaga le peggiori strategie di concentrazione del potere e della ricchezza, che viene socialmente prodotta, ma poi non equamente redistribuita. Nel solco di queste politiche vi è di fatto una strategia “del capro espiatorio”, infatti questo governo non ha realizzato alcun intervento concreto per la scuola, ma individua in coloro che non si vaccinano i responsabili, gli untori, spostando il piano del discorso e colpevolizzandoli rispetto all’assenza di investimenti sulla scuola pubblica.

Appurato che chi si vaccina può contagiarsi e contagiare, è sufficiente l’obbligo vaccinale per non far tornare i ragazzi e le ragazze in didattica a distanza?

Assolutamente no! Io purtroppo sono convinto che questa non sia una malattia come la poliomielite che è stata debellata con un vaccino (senza brevetto, grazie a Albert B. Sabin), per la sindemia del  Covid-19 c’è discorso più strutturale da fare, che mette capo allo spillover, cioè un “salto” tra specie diverse, che, da una parte, è un processo naturale e che ha favorito anche alcuni meccanismi evolutivi, ma dall’altra parte lo spillover nel tempo del capitalismo, dello sfruttamento del mondo animale diventato merce con allevamenti intensivi, chiaramente produce una risposta pericolosa dal punto di vista della salute umana. Questo salto, insieme alla questione climatica, cioè all’estrazione copiosa delle risorse naturali, che stanno portando al collasso climatico, determineranno la fine dell’antropocene o meglio del “capitalocene” come sarebbe più corretto chiamare questa fase in cui addirittura lo sviluppo capitalistico incide all’interno delle dinamiche geologiche.

Siamo all’interno di una fase storica caratterizzata da una lunga crisi capitalistica e quindi penso che parlare di vaccino come soluzione per una questione virale sia veramente una farsa, un inganno. Per arginare la situazione dovremmo arrivare a rivedere i rapporti con la natura e con le altre forme animali e dovremmo cambiare modello di sviluppo; dovremmo evitare l’uso capitalistico della crisi e dell’emergenza sanitaria, il rischio che il capitalismo e il neoliberismo sfruttino l’emergenza sanitaria per polarizzare di più la ricchezza nella parte più ristretta della società, secondo il modello della shock economy proposto da Naomi Klein[3].

Comincia ormai il terzo anno scolastico dall’irruzione della pandemia, cosa è stato fatto finora per rendere immune la scuola dal contagio?

Questo governo non ha fatto nulla, anzi l’invenzione del “capro espiatorio” dei non vaccinati è, di fatto, l’unica operazione mediatica e politica di intervento nella scuola. Non è stato speso un centesimo per quanto riguarda la riduzione degli alunni per classe; non è stato assunto personale docente e ATA e il precariato rimane indegnamente strutturale, nulla è stato fatto per garantire i trasporti in sicurezza; non è stato fatto nulla sulla gestione delle strutture, eppure noi abbiamo una percentuale di scuole che è assolutamente fuori norma per quanto riguarda la sicurezza strutturale per cui andrebbero valorizzati e ristrutturati gli edifici pubblici, che spesso vengono abbandonati. Invece il governo ha clonato i protocolli sulla sicurezza dell’anno precedente addirittura derogando la norma sul distanziamento, nel senso che si potrà annullare la distanza di un metro tra i banchi in caso non ci sia la possibilità da parte della scuola. Per questo parlo di “capro espiatorio”, proprio perché di fatto il governo e non ha speso nulla dei miliardi del Recovery Fund per la scuola, ma si è limitato ad un’operazione mediatica, quella della discriminazione di coloro che legittimamente ritengono di esercitare un principio di precauzione sul vaccino rispetto ad altri che, altrettanto legittimamente, hanno fatto altre valutazioni e si sono vaccinati.

Questa è un’operazione chiaramente politica che va attaccata, per questo anche molte sedi dei COBAS SCUOLA parteciperanno il 30 agosto ai presidi che si terranno in molte città sotto le prefetture e a Roma sotto il Ministero dell’Istruzione in viale Trastevere, per modificare il DL  n.111/2021 del 6 agosto durante la conversione in legge calendarizzata dal 6 settembre. Inoltre il 20 settembre i COBAS SCUOLA saranno di nuovo in piazza insieme a Priorità alla scuola sempre su queste tematiche e l’11 ottobre saranno anche questi i temi per i quali è stato, finalmente, indetto da parte di tutto il sindacalismo di base uno sciopero contro il governo del banchiere Draghi e dei grandi interessi del capitale.

Vorrei, tuttavia, ribadire che lo Stato non si prende la responsabilità e anche gli oneri della vaccinazione obbligatoria, ma sposta sui soggetti, sui lavoratori e le lavoratrici l’obbligo del green pass, facendo un’operazione biopolitica di governamentalità cioè di gestione delle nostre esistenze. È veramente una questione gravissima da un punto di vista politico e sociale.

Qual è la proposta del sindacato per riaprire a settembre in sicurezza scongiurando il ricorso alla didattica a distanza?

Sarà praticata dai COBAS anche la via giudiziaria con ricorsi campione contro l’obbligo del green pass, sulle questioni che riguardano l’incostituzionalità, la privacy e il contrasto con le norme europee, ma bisogna evitare di mandare allo sbaraglio i lavoratori e le lavoratrici con ricorsi di massa proposti da alcuni furbi avvocati o da sindacati “di avvocati”.

Questi due anni ci hanno insegnato una cosa rispetto ai mantra che volevano una scuola digitale, una didattica digitale sempre più spostata sulle piattaforme online: abbiamo sperimentato nella pratica che l’unica didattica possibile è quella in presenza, che è una buffonata il discorso sulla digitalizzazione degli ultimi dicasteri di viale Trastevere, insieme all’Invalsi, al Rapporto finale del 13 luglio 2020 e a tutti i vari Think Tank della scuola-azienda, tutti collegati tra l’altro a grandi gruppi industriali e a banche, come la Fondazione Agnelli e la Fondazione San Paolo.

Abbiamo avuto una massiccia sperimentazione di due anni sulla didattica digitale e, come diceva Fantozzi, oggi possiamo dire con cognizione di causa (come, del resto, abbiamo sempre affermato come COBAS) che la didattica digitale è “una cagata pazzesca”; è l’esatto contrario dell’attività didattica vera e propria. Bisogna riprendere l’attività didattica in presenza perché è l’unica attività didattica reale per una scuola pubblica della Costituzione e, quindi, bisogna lottare contro le “classi pollaio”, per classi di 20 persone, ridotte a 15 se ci sono bisogni educativi speciali, per la ristrutturazione degli edifici pubblici, per una distanza che garantisca nelle nostre aule una sicurezza reale dei lavoratori e delle lavoratrici. Bisogna gestire i trasporti pubblici perché siano veramente pubblici e non dei carri bestiame per studenti e studentesse ammassati uno sull’altra. Bisogna garantire la sicurezza di tutto il mondo della scuola attraverso degli screening di massa, possibilmente non invasivi, come quelli salivari, che devono essere comunque gratuiti e settimanali per i lavoratori/lavoratrici, come anche per gli studenti/studentesse.

Lo Stato deve garantire la sicurezza attraverso questi screening, giacché il 90% della categoria del personale scolastico che ha deciso di vaccinarsi non è immune dal contagio, ma soprattutto visto che la situazione si prolungherà nei prossimi anni, sono necessarie azioni e investimenti strutturali per classi meno numerose, scuole decenti e più sicure, più insegnanti e più personale ATA, monitoraggi tramite tamponi e screening continui e gratuiti, il tutto per mettere fine alla didattica digitale, che è assolutamente nefasta, con la totale rivalutazione della didattica di relazione, della didattica di comunità, cioè quella in presenza.

[1] A. Mbembe, Necropolitica, Ombre Corte, Verona 2016.

[2] G. Ciccotti, M. Cini, M. de Maria, G. Jonia-Lasino, L’ape e l’architetto, Feltrinelli, Milano 1976.

[3] N. Klein, Shock economy, Rizzoli, Milano 2007.

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a cura di Michele Lucivero

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