Coscienza ambientale e risparmio: a che punto siamo? Luca Mercalli: “Nel Green deal siamo solo agli annunci”

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agsm aim emette il suo primo green bond

Settembre è il mese che Abi (l’Associazione bancaria italiana) dedica alla promozione della finanza sostenibile attraverso vari incontri (lancio alle 12.29, aggiornamento alle 22.52, ndr). Una serie di discussioni importanti, visto l’imminente arrivo del Pnrr e, più in generale, visto il momento storico in cui la necessità di risparmiare bene e investire nel green sembra la strada maestra che tutti invocano. Ma a che punto siamo, in realtà, con la transizione ecologica? È solo il nome di un ministero – e tutto il resto greenwashing – oppure c’è un reale cambio di mentalità nelle persone?

Stando a un sondaggio fatto dal Museo del Risparmio di Torino, sono i giovani quelli che sembrano dare qualche speranza per un futuro più “verde”. In una scala da 0 a 10, la consapevolezza ambientale dei ragazzi italiani si attesta a 6.9. Un bel traguardo, suggerito anche dal diverso approccio con cui le ultime generazioni affrontano la sostenibilità: ritengono infatti che il loro impegno sia molto più efficace rispetto a quello dei loro genitori. Il 34% dei ragazzi tra i 25 e i 34 anni si è detto convinto che le proprie azioni possano combattere il cambiamento climatico. Del campione dai 65 anni in su, invece, solo il 10% lo crede. «Tutti considerano la responsabilità ambientale ed economica un tema importante che li può vedere protagonisti attivi del cambiamento e confidano che il loro impegno possa cambiare lo status quo lasciato in eredità dagli adulti. Sono soprattutto i più giovani ad essere più ottimisti e anche i più coscienziosi», ha spiegato Giovanna Paladino, direttrice del Museo del Risparmio di Torino.

Sempre secondo la ricerca, la nuova generazione sta crescendo con un’idea ambientalista anche dal punto di vista della gestione delle proprie finanze. Attenzione all’ambiente e attenzione ai propri soldi sembrano una la faccia dell’altra: un circolo virtuoso che fa ben sperare. Un po’ la crisi del 2008, un po’ il clima impazzito, i giovani vedono nello sfruttamento delle risorse un nemico pericoloso e, nel risparmio, una necessità. Anche perché gli effetti sono davanti agli occhi di tutti: i fiumi si prosciugano, i laghi pure. Ogni estate diventa quella più calda: il Ferragosto del 2021, secondo l’osservatorio geofisico di Modena, è stato il più caldo dell’ultimo secolo. Non sorprende quindi che il tema ambientale e quello economico vadano ormai a braccetto. Soprattutto per quanto riguarda le scelte di acquisto. «Si tratta di imparare a scegliere i propri consumi con cura, valutando i prodotti sulla base della necessità e dal punto di vista della sostenibilità ambientale – spiega sempre Paladino – spesso comporta un risparmio economico e una migliore allocazione dei budget personali». Quindi, se dovessimo guardare alla correlazione tra risparmio e coscienza ambientale, i giovani sembrano i più avvantaggiati.

Non è di questo parere, invece, il professor Francesco Tamburella, coordinatore del progetto ConsumerLab e promotore dello sviluppo sostenibile per imprese e consumatori. «I giovani non hanno coscienza finanziaria perché non hanno risparmi da investire», taglia corto, «la sostenibilità sono più parole che fatti». E questo vale anche per le aziende: «Le imprese che fanno il bilancio in maniera organizzata del loro impegno alla transizione ecologica sono solo 2.500, ma secondo l’Istat dovrebbero essere 100 mila. Abbiamo una “chiacchiera” che non corrisponde ai fatti. Tanto è vero che un’impresa su 5 fa pubblicità sulla sostenibilità, ma quelle che la rendicontano a bilancio sono poi molte meno. E per i giovani è la stessa cosa. La sostenibilità ha ancora poco attrito nel determinare una scelta di acquisto. Sono i primi infatti a lasciare le bottiglie a terra».

Poi ci sono le banche, che avrebbero il potere di indirizzare i risparmi – pochi, se guardassimo a quelli dei giovani – verso gli investimenti green. «In questo periodo, da parte del pubblico, c’è una crescente attenzione ai prodotti finanziari che rispettano i criteri ESG (Environment, Social and Governance) perché è divenuto chiaro che la finanza può avere un impatto sull’ambiente attraverso le scelte di finanziamento», ha notato la direttrice Paladino. Ma allo stesso tempo ha ammesso che «si può fare di più per evitare di rimanere sulla superficie e condividere con gli investitori i costi di questo tipo di transizione operativa. Costi importanti ma necessari, che si confrontano con conseguenze ambientali dello status quo che possono essere disastrose per tutti». Per il professor Tamburella, invece, le banche, alle aziende attive nella transizione ecologica, «non danno nessun vantaggio. Chi fa il bilancio ormai è una mosca bianca. Le grandi imprese vanno in banca con la forza che hanno della loro capacità di indebitamento, non certo perché fanno sostenibilità. I criteri ESG che l’Europa chiede non hanno una ricaduta sul mercato».

Per dare una svolta alla nostra società, ed evitare il tracollo ambientale, deve innanzitutto cambiare radicalmente il paradigma economico: «Se non mettiamo in dubbio che il sistema attuale è in conflitto con la natura, non ci può essere un cambiamento. Vuol dire che non ammettiamo la causa della malattia. Poi ci riempiamo la bocca di “attività verdi”. Ma sono solo decorative», ha piegato Luca Mercalli, meteorologo e divulgatore scientifico. «La prosperità non dovrebbe più essere legata alla crescita, ma al raggiungimento di standard di qualità di vita accettabili, che a un certo punto si fermino. Crescita economica e crescita demografica sono i driver principali del collasso ambientale». Le emissioni di CO2 stanno calando? Si chiede Mercalli. La risposta è no. La momentanea riduzione delle emissioni durante il lockdown si è già esaurita. «Nel Green deal siamo solo agli annunci in pratica non c’è ancora nulla», denuncia. Conclude poi con una metafora eloquente sullo stato del nostro pianeta: «È come una persona intossicata da un veleno: stiamo cercando di dargli un antidoto, senza però togliergli la somministrazione del veleno. Solo dopo si curano i sintomi: se non si toglie il veleno, il paziente non guarisce».