Omicidio Regeni, Pignatone: “torturato per una settimana, non è vero che l’Egitto non ha fatto nulla”

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Giulio Regeni sette anni
Giulio Regeni

“Prima di ottenere i tabulati di alcune persone, o il traffico delle celle, abbiamo mandato – oltre alle rogatorie formali – decine di mail e fatto decine di telefonate. C’è da dire che la procura non sarebbe mai potuta arrivare al punto in cui è arrivata se l’Egitto non avesse trasmesso determinate carte. È giusto sottolineare che alcune erano state chieste da noi, e altre sono state date di loro iniziativa. Mi riferisco ad esempio al video della conversazione tra il capo dei sindacati e Giulio Regeni, consegnato durante uno degli incontri dagli egiziani. Per non parlare della fatica per ottenere le registrazioni delle telecamere, in vari punti della città, il giorno della scomparsa”. Lo ha detto Giuseppe Pignatone, già procuratore della Repubblica di Roma, in audizione alla Camera nella commissione parlamentare di inchiesta sulla morte di Giulio Regeni.

“Tra il dicembre del 2017 e la metà del 2018 si è bloccato tutto. Spesso arrivavano al rifiuto di consegnare qualsiasi cosa, attraverso delle scuse. Io stesso ho detto chiaramente che erano scuse inammissibili. Siamo arrivati al filo della rottura. Poi si è arrivati ad una ripresa con la prima e seconda venuta del procuratore egiziano a Roma, che ha incontrato la famiglia e rilasciato una dichiarazione in cui dichiarava Regeni amico dell’Egitto”. Ha aggiunto Giuseppe Pignatone, già procuratore della Repubblica di Roma, in audizione alla Camera nella commissione parlamentare di inchiesta sulla morte di Giulio Regeni.

“Non si può dimenticare come non c’era, e non ci sia tuttora, un trattato di cooperazione. Quindi è tutto affidato alla buona volontà delle parti, e senza la collaborazione dell’Egitto non si sarebbe potuto fare assolutamente nulla. Non si può interrogare o fare intercettazioni in uno Stato straniero. Non puoi neanche identificare con certezza le persone. Di questo bisogna esserne consapevoli. La parte positiva di questo rapporto complesso è che la procura generale del Cairo ha dato alla famiglia una copia completa degli atti. Poi abbiamo visto che gli atti consegnati erano addirittura più completi dei nostri. È stata una forma di collaborazione piuttosto significativa. Questo va riconosciuto”.
“La mia affermazione nella lettera del 2018 al quotidiano La Repubblica, secondo cui le cause della scomparsa di Regeni erano da ricondurre alla sua attività di ricercatore, erano frutto di un gioco di esclusione. Si erano prospettate da parte egiziana nei primi mesi una serie di causali alternative, da quelle di tipo sessuali o della rapina finita male e così via, che erano state tutte smontate da questa attività incrociata tra noi e la stessa autorità egiziana. Io stesso ricordo telefonate drammatiche con le nostre forze di polizia, con l’autorità di governo e con Il Cairo dopo che il ministro dell’Interno egiziano disse ad un certo punto che il caso era chiuso”.

Lo ha detto Giuseppe Pignatone, già procuratore della Repubblica di Roma, in audizione alla Camera nella commissione parlamentare di inchiesta sulla morte di Giulio Regeni.

“È stata una fortuna la permanenza, durata quasi due mesi, di un pool investigativo di alcuni rappresentanti di polizia e carabinieri. Di fronte al ministro che dice il caso è chiuso, e questi sono i responsabili ammazzati e questo è il passaporto di Regeni, aver avuto la possibilità di sentire quanto detto da questi poliziotti e carabinieri, in cui esprimevano i loro dubbi, è stato fondamentale. Sulla base di ciò noi ci siamo decisi a smentire quella ricostruzione e pretendere la verità”, aggiunge Pignatone.

“Per quanto riguarda il punto di arrivo delle indagini, ho dato la mia opinione anche per iscritto in alcune lettere pubblicate sui giornali. Già ricostruire il quadro generale, escludendo una serie di causali e ipotesi e focalizzando il rapporto su determinate persone, non credevo fosse possibile. Senza alcuni documenti consegnatici dall’Egitto, saremmo ancora a zero”.

Sul ritrovamento del cadavere, è buona regola non trarre deduzioni. Sul momento non avevamo nessun tipo di fatti, solo il ritrovamento sull’autostrada. Il primo blocco di dati oggettivi, che hanno aiutato a smontare e smentire l’ipotesi del pulmino, si ha con l’autopsia. Quella fatta dell’autorità egiziana è stata fatta con considerazioni generiche. Quella effettuata da uno specialista vero e incaricato dalla procura di Roma e con le tecnologie adeguate, ha descritto invece un quadro della morte di Giulio Regeni frutto di torture durate oltre una settimana. Credo che questo sia il primo elemento oggettivo, e fino a quel momento avevamo solo delle notizie vaghe, di un cadavere a lato della strada. Io non amo avventurarmi in ipotesi in mancanza di fatti”.

“La lettera a La Repubblica è stata scritta per cercare di fare un po’ di chiarezza. Le situazioni grigie sono infatti le più difficili da chiarire. Ci sono stati tuttavia dei momenti in cui sembrava si profilasse l’ipotesi di dire che l’Egitto non facesse nulla, e si dovesse mandare all’aria il tavolo di cooperazione, e assumere iniziative clamorose su altri piani. Io ho creduto giusto come responsabile di quelle indagini, chiarire all’opinione pubblica che la situazione non fosse né tutta luci né tutta ombre, ma di chiaroscuri come ho illustrato anche oggi”.

“Importante è stato il ruolo della famiglia e di tutto quel mondo di organizzazioni di associazioni che ha sostenuto ed è stato accanto alla famiglia, perché non c’è dubbio che ha esercitato sia sul Governo italiano, ma questo, essendo l’Italia un Paese democratico, rientra nelle regole costituzionali, sia a livello di opinione pubblica mondiale, una pressione pubblica significativa che è stata veramente decisiva in alcuni momenti. Almeno questa è stata la sensazione nostra da Roma” ha detto infine Pignatone.