Piero Ianniello sui suoi romanzi: la condizione di migrante per scelta dal Basso Lazio alla Toscana. E quelli che migrano per necessità?

889
Piero Ianniello
Piero Ianniello
Piero Ianniello, docente di Italiano per stranieri all'Università di New Haven
Piero Ianniello, docente di Italiano per stranieri all’Università di New Haven

Ianniello, docente di italiano per stranieri e scrittore per diletto, oltre che ora anche nostro collaboratore, migrante per scelta (nato a Cassino con famiglia in parte originaria di Minturno e Scauri, in parte di SS. Cosma e Damiano, zone tra la Riviera di Ulisse e i Monti Aurunci), con un particolare interesse per le dinamiche sociali legate alle migrazioni, non poteva che approdare a Prato, città tra le più multietniche d’Italia.

Abbiamo provato ad intervistarlo per conoscere meglio la sua condizione di migrante culturale anche attraverso i temi oggetto dei suoi romanzi, che, non a caso, trattano di viaggi e migrazioni.

ViPiù (V+) C’è un filo rosso evidente che lega le tue opere, dalla Cina al gioco d’azzardo per poi tornare alla Cina, ma c’è anche qualcosa di più sottile, nascosto, di non dichiarato, che ha a che fare con la condizione di disagio, di esclusione sociale, di marginalità. Cosa c’è di personale in queste storie?

Piero Ianniello (PI) Se si intende personale come relativo alle mie esperienze personali, beh, c’è poco, fortunatamente. Ma personale inteso in senso più ampio, cioè le mie personali conoscenze, curiosità, studi, approfondimenti e viaggi, allora sì, sono ovviamente specchio della mia vita e delle mie riflessioni. Ho sempre avuto un interesse speciale per i temi sociali, in particolare quello dell’esclusione. Negli anni giovanili ho lavorato per molti anni con le marginalità, e da lì ho tratto molte conoscenze e spunti di riflessione. Ed è sempre questo lo sfondo su cui si snodano le storie dei miei romanzi.

V+ Nella lettura di Via della Cina[1] ho sentito forte il richiamo ad un testo che ho divorato da studioso di migrazioni e da migrante io stesso (da Molfetta a Vicenza e dintorni e viceversa), si tratta del testo di Abdelmalek Sayad, La doppia assenza. Dalle illusioni dell’emigrato alle sofferenze dell’immigrato[2]. È così difficile l’integrazione per gli stranieri in Italia secondo lei? E per gli italiani che migrano in altre zone, come lei?

Via della Cina
Via della Cina

PI Conosco il testo di Sayad (è uno degli autori di riferimento della tesi del mio dottorato di ricerca). Ma non sono convinto che ci si sposti solo per lavoro. È forse la ricerca di benessere ciò che muove le persone. Implicitamente si tratta di un benessere anche non economico, che si vuol riservare al futuro, ai figli. Io stesso non sono un migrante per necessità, ma per scelta. Ho scelto di vivere esperienze diverse, culture diverse, e di formare la mia identità sul confronto tra tratti culturali plurimi, e non uno unico. Un migrante non parte e non arriva solo con un bagaglio di vestiti, ma anche di capitali (sociale, culturale, economico), tanto per citare Bourdieu. A ciò si contrappone lo sbarramento da parte di una società ospite che non sempre è ospitale, perché magari ha paura di perdere le proprie prerogative. Riuscire ad agire su questi aspetti di sbarramenti reciproci è la chiave per la serena convivenza, fatta di diversità e di valorizzazione delle stesse. E questo è un lavoro a mio avviso tutto ancora da realizzare. Difficile sì, ma non impossibile. Anche perché ne va del nostro futuro: nella mia città già ora oltre più del 50% dei nuovi nati sono di origine straniera. Questo significa che tra venti/trenta anni avremo una società in cui le persone di origine italiana non saranno più la maggioranza assoluta. Vogliamo cominciare a pensarci?

V+ La protagonista di Via della Cina si fa chiamare Lucia, un nome evidentemente italiano, infatti è tipico dei cinesi cambiare nome e assumere altre identità quando migrano, a differenza degli arabi, che difficilmente assumono altri nomi e non sono propensi a farsi scalfire nella propria identità. Lei pensa di aver subito una trasformazione identitaria migrando dal basso Lazio in Toscana?

PI Non credo che esista qualcuno la cui identità non sia influenzata dal mondo in cui vive, inclusi gli arabi, e incluso io nel mio percorso migratorio. Esiste però, ed è il tema dei miei studi, una identità più salda in concomitanza con due avvenimenti sociali: quando la propria identità è fortemente minacciata dall’esterno, o quando si è in presenza di comunità molto ampie, come il caso di quella cinese di Prato, tema del mio romanzo Via della Cina. La protagonista cambia nome in Lucia, per rendere il suono più comprensibile ad una società italiana, ma alla fine del romanzo recupera il proprio nome originale, seppur impronunciabile. Questo è un simbolo di una cultura che non vuole farsi sopraffare, o perdersi. Lei, Liqiu, è semplicemente una cinese che vive in Italia: diversa dai cinesi della Cina, diversa dagli italiani. In pratica, sé stessa.

V+ L’uomo d’azzardo[3] è un altro viaggio, ma questa volta molto introspettivo, nell’abisso della dipendenza, del gambling, un problema sociale, non solo individuale, che attanaglia molti uomini e molte donne. Certamente si tratta di sognatori, ma è necessario azzardare così tanto per provare a sognare un futuro migliore? E migrare è un azzardo?

L'uomo d'azzardo
L’uomo d’azzardo

PI Sono sogni indotti, perché vincere giocando d’azzardo è una possibilità remotissima. E per i tanti, tantissimi che perdono, esistono implicazioni psico-sociali mostruose. È un mostro uno Stato che non governa i rischi di dipendenza, avvantaggiando poteri economici che invece si arricchiscono sulle disgrazie degli altri. È un tema molto meno conosciuto di quel che meriterebbe. Il protagonista de L’uomo d’azzardo è un personaggio che azzarda sé stesso, che rifugge la realtà per infilarsi in quel sogno, che io nel libro chiamo “mondo parallelo”. Proprio come le droghe, l’alcool, quelle forme di alienazione che portano al disfacimento sociale. Migrare è un azzardo, tante cose lo sono nella vita. Ma lo si fa con coscienza. Nel gioco d’azzardo no.

V+ Con l’ultimo romanzo, Chi ha rotto il cielo? Un racconto dallo Yunnan[4], si va direttamente in Cina e il tema è uno dei più spinosi dal punto di vista morale: la difficoltà a procreare. Tuttavia, anche qui vi è una storia di migrazione interna dalla campagna alla città. Certamente Prato non è una metropoli, ma lei ha provato qualche disagio analogo a quello della protagonista dello Yunnan nel passaggio dal paese del Basso Lazio alla città toscana? L’aria della città rende davvero liberi, come recitava un vecchio aforisma dei primi del 1900?

Chi ha rotto il cielo? Un racconto dallao Yunnan
Chi ha rotto il cielo? Un racconto dallao Yunnan

PI La difficoltà a procreare da parte della protagonista di Chi ha rotto il cielo? rappresenta il suo disagio, forse psicosomatico, ad adattarsi ad un mondo cosiddetto civile. Il romanzo è nato da un viaggio nello Yunnan, dove per un mese ho girato città e villaggi sperduti tra piantagioni di tè e piogge scroscianti. La gente lì continua ad inseguire il sogno della città, migrando e seguendo quel percorso socio antropologico che si è già verificato molti anni prima nell’occidente. Anche in Italia, con i nostri migranti che lasciavano le campagne per andare nelle città. Lasciavano la vita contadina per andare a rinchiudersi nelle fabbriche. Nella città in piena esplosione urbanistica di Kunming ho visto moltissime di queste persone provenienti dalle campagne vivere ai margini, nell’indigenza, avendo perso tutto, incluso l’identità. Anch’io, volendo, ho vissuto la migrazione come l’inseguire un sogno: mi trasferii per frequentare l’Università, alla ricerca di una complessità culturale che sentivo più mia. Un bisogno ben diverso da quello che muove le persone lungo le strade dissestate della Cina verso le megalopoli. Infine, non so se nella città si viva meglio o peggio, di sicuro ci sono i suoi vantaggi e svantaggi: una città offre una pluralità di confronti, il che aiuta a crescere, ma d’altro canto fa perdere aspetti genuini della vita: il cibo come i rapporti sociali. Un giusto equilibrio è ciò che personalmente ho perseguito nella mia esperienza.

[1] P. Ianniello, Via della Cina, Mauro Pagliai editore, Firenze 2012.

[2] A. Sayad, La doppia assenza. Dalle illusioni dell’emigrato alle sofferenze dell’immigrato, Raffaello Cortina, Milano 2002.

[3] P. Ianniello, L’uomo d’azzardo, Mds Editore, Pisa 2016.

[4] P. Ianniello, Chi ha rotto il cielo? Un racconto dallo Yunnan, Rossini Editore, Rende (CS) 2020.