Sulla violenza domestica. “Filosofia in Agorà”: quando uno schiaffo smette di essere educativo e diventa violento?

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Quando uno schiaffo violento diventa educativo
Quando uno schiaffo violento diventa educativo

Per rispondere alla domanda “quando uno schiaffo smette di essere educativo e diventa violento” dobbiamo prima definire il concetto di violenza. Si può infatti considerare tale ogni forma di abuso di potere che si possa manifestare come sopruso fisico, sessuale, psicologico, economico o religioso.

Violento è altresì un comportamento reiterato nel tempo. Da questa definizione è inevitabile sottolineare l’incompatibilità e l’esagerazione che segue nell’associare ad uno schiaffo dato da un genitore spazientito una matrice violenta nel temperamento.

Le recenti sentenze del tribunale ordinario, come nei casi elencati di seguito, si sono interrogate proprio sullo schiaffo  definendolo in alcuni casi reato e prevedendo una multa per quei genitori che hanno abusato dei mezzi di correzione:

VICENZA – Schiaffo al figlio non è reato? Se non fa male (a Vicenza), ma la Cassazione… Il tribunale di Vicenza ha assolto un padre che aveva schiaffeggiato il figlio;

TORINO – Schiaffeggia il figlio: tremila euro di multa per la mamma. La donna è stata condannata per “abuso di mezzi di correzione” nei confronti del ragazzino inquieto;

PARMA  – Sberla al figlio di 9 anni: 35enne patteggia cinque mesi. L’accusa è abuso dei mezzi di correzione: la denuncia è partita dalla madre naturale del piccolo.

Tuttavia, più che soffermarci sull’utilità o dannosità del cosiddetto “schiaffo educativo”, è fondamentale soffermarci su altri aspetti, come il suo scopo, l’età del bambino coinvolto, il vissuto interiore di chi dà lo schiaffo e di chi lo riceve.

Un interessante studio condotto dai ricercatori della Duke University di Durham (North Carolina) mostra come la gran parte dei genitori regoli il proprio modo di disciplinare ed educare i figli in base alle capacità cognitive dei bambini. Via via che i figli crescono le punizioni corporali (schiaffi, sculacciate ecc.) tendono a diminuire, lasciando spazio a modalità educative meno “fisiche” (il dialogo ed il confronto).

Il risvolto preoccupante di questa ricerca è che si è rilevata una maggiore probabilità di insorgenza di problemi comportamentali in ragazzi nelle cui famiglie le punizioni corporali si erano protratte fino all’adolescenza, rispetto a soggetti cresciuti in nuclei familiari in cui si è smesso presto di usare le mani.

Lo stesso studio sottolinea come l’uso di “maniere forti” rischi poi di dar vita ad un circolo vizioso, in cui una risposta aggressiva del bambino o dell’adolescente allo schiaffo ricevuto porti ad un incremento della rabbia e dell’aggressività nel genitore.

In conclusione, pare chiaro che, una volta superata l’infanzia, sia opportuno evitare di alzare le mani sui propri figli, facendo ricorso al dialogo ed al confronto, che può anche assumere toni duri di aperta conflittualità, ma che si debba comunque mantenere sul piano verbale, in modo da salvaguardare la dignità di tutti e non far sentire l’adolescente umiliato e prevaricato.

Nei casi delle sentenze citate si tratta di adolescenti con difficoltà comportamentali o di situazioni dove l’ambiente familiare era carico di conflittualità, con genitori in fase di separazione.

Nel caso dell’adolescente che provoca e pretende ed il genitore che si ritrova a “non saper più che pesci pigliare” c’è sempre la possibilità di rivolgersi ad un professionista, uno psicologico o eventualmente al consultorio familiare, cioè a professionalità che aiutino e supportino la famiglia a livello psicoeducativo con adeguate strategie, così come la coppia in conflitto può rivolgersi ad un terzo neutrale, un mediatore familiare che aiuti a dipanare la matassa dei contrasti.


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a cura di Michele Lucivero

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