Parità salariale tra uomo e donna, approvata la legge in Italia ma una direttiva europea potrebbe scalzarla

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La parità salariale tra uomo e donna è diventata legge in Italia. Dopo l’approvazione all’unanimità del testo alla Camera in data 13 ottobre, anche il Senato ha dato il via libera definitivo alla legge mercoledì 27 ottobre. La legge non ha subito nessuna modifica nel passaggio e il voto è stato favorevole all’unanimità. Al centro del provvedimento, le misure per la promozione della parità salariale al fine di ridurre gender pay gap nelle retribuzioni e ampliare la tipologia di discriminazioni tutelate in ambito lavorativo.

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La parità salariale tra uomo e donna è legge in Italia

La proposta di legge si compone di 6 articoli e modifica il Codice delle pari opportunità adottato nel 2006. Tra i punti cardine del provvedimento, l’istituzione del certificato della parità salariale di genere per tutte le aziende con più di 50 dipendenti, sgravi fiscali fino a 50mila euro per chi ottiene il certificato di genere e divieto di modifiche di contratto discriminatorie per le lavoratrici (ad esempio in caso di maternità). La legge dispone infine l’equilibrio di genere negli organi decisionali e di controllo delle società pubbliche non quotate.

Se qualcuno si sta chiedendo se la situazione è davvero così grave in Italia, la risposta è nei dati rilasciati da Eurostat, l’ufficio statistico europeo. Il gap salariale a livello europeo è in media del 14,1 per cento; si tratta di un dato che misura la differenza tra i salari orari medi. Se si prende invece in esame il divario retributivo complessivo di genere, includendo quindi nell’analisi anche la media mensile di ore effettivamente retribuite e del tasso di occupazione reale, la situazione peggiora ancora: il gender pay gap arriva a una media del 36,7% nell’Unione Europea. In Italia il tasso è del 43%, un dato inferiore solo a Paesi Bassi e l’Austria (44,2%).

(Dis)parità salariale tra uomini e donne, grafico Eurostat

Il problema è comunque “europeo” e non soltanto italiano. Indice di questo è la proposta sulla trasparenza salariale presentata in data 4 marzo dalla presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen. Per la Commissione europea, in breve, esiste uno stretto legame tra mancanza di trasparenza e gender pay gap. «La mancanza di trasparenza salariale – scriveveva la Commissione a marzo – crea una zona grigia che favorisce il perpetuarsi di pregiudizi di genere nella determinazione dei salari».

Questa proposta, se dovesse passare in Parlamento europeo, scalzerà quella italiana perché “meno timida” nei contenuti. Nello specificio, i datori di lavoro con almeno 250 dipendenti dovrebbero rendere pubbliche all’interno della loro organizzazione le informazioni sul divario retributivo tra donne e uomini in generale e sul divario retributivo tra donne e uomini che svolgono lo stesso tipo di lavoro nello specifico ed essere recettivi nel fornire risposte alle richieste dei dipendenti (ovviamente nel rispetto della Privacy). Inoltre, se risultasse un divario retributivo di genere di almeno il 5 per cento che il datore di lavoro non è in grado di giustificare in base a fattori oggettivi neutri dal punto di vista del genere, i datori di lavoro saranno obbligati a rivalutare le retribuzioni, in collaborazione con i rappresentanti dei lavoratori. Infine, gli Stati dovranno adottare un sistema sanzionatorio efficace, che potrebbe prevedere anche la revoca di erogazioni pubbliche e l’esclusione dalle gare d’appalto pubbliche.

In ogni caso la legge italiana sulla parità salariale è un primo passo verso uno degli obbiettivi trasversali del Recovery Plan e più in generale verso una spinta sociale e culturale inarrestabile: ridurre il drammatico divario di genere in Italia. Basterà?