Non capisco che razza di città è questa: sparisce una banca, la Banca Popolare di Vicenza, con 118.000 soci, vanno in rovina famiglie, singoli, attività imprenditoriali, e non si riesce ancora a mandare sul banco degli imputati coloro che sono chiaramente responsabili di un dramma sociale ed economico che ha devastato la nostra provincia. La reazione dei soci danneggiati? Tutto sommato tranquilla. Stranamente tranquilla rispetto ai danni enormi subiti. Si spera ancora nella Magistratura, per capire se un minimo di giustizia possa essere fatta, e nella Politica per recuperare qualcosa del risparmio andato in fumo.Ma, accanto al dramma principale che interessa in primis gli ex soci, vi sono altri effetti collaterali che hanno danneggiato tutta la nostra comunità in modo pesantissimo, e che richiedono un sussulto di chi ha responsabilità politiche. Uno di questi è la distruzione parziale del patrimonio della Fondazione Roi. Pochi vicentini la conoscevano. Molti l’hanno conosciuta non per le importanti opere benefiche del suo fondatore, Marchese Giuseppe Roi detto Boso, ma per la gravissima decisione del suo ex presidente, Gianni Zonin, e del suo ex Cda, di acquistare 29 milioni di azioni della stessa Popolare proprio poco prima che il valore azionario crollasse da 62.50 euro a zero (10 centesimi…).
Ventinove milioni di patrimonio bruciati in pochissimo tempo!
Ventinove milioni di azioni acquistate quando tutti cercavano di venderle!
Ventinove milioni acquistati quando perfino alcuni membri del Cda vendevano!
Ventinove milioni che il fondatore Roi aveva accantonato per il bene del museo vicentino!
Ora, tra qualche giorno, il Cda ancora in carica con Ilvo Diamanti presidente voterà per la richiesta di danni all’ex presidente. Allora tutti i componenti il consiglio di amministrazione dovranno scoprire le carte e assumersi la propria responsabilità di fronte alla comunità vicentina. Vedremo. Ma intanto proprio è inaccettabile che si sia stilato un nuovo statuto prescindendo dal Sindaco e dal Consiglio comunale che sono i veri titolari del Museo civico per il quale il fondatore aveva devoluto un suo consistente patrimonio.