Non ha nessuna responsabilità verso il suo elettorato, se non quella che riguarda il suo slogan: prima gli italiani. La Lega di Salvini è il frutto di un formidabile cambio di passo nella strategia del partito del nord. Ha messo da parte il secessionismo, il federalismo, la sola politica regionale, e ha puntato a conquistarsi una platea più grande. Se si escludono i due pattuglioni con cui nel 1992 e nel 2008 la Lega Nord occupò il parlamento (una novantina di eletti), le altre competizioni elettorali hanno promosso scarsi presidi di poche decine di delegati leghisti.Il Matteo delle ruspe questa cosa l?ha detta più volte: ?A me non interessa portare a Roma quattro deputati di cui non saprei che farmene?.
La politica sfacciatamente regionale, sebbene avesse conseguito successi territoriali, recava con sé il peccato originale della parzialità, della separazione: un pericolo costante per l?unità dello Stato, da cui la malafede leghista con le sue doppie verità poteva ormai ricavare ben poco. Salvini ha intuito che ammassare il consenso di un Nord localista contro quello di un Sud statalista non poteva far altro che ghettizzare sempre di più la politica della Lega, che ormai si stava accartocciando e corrompendo, come dimostrava la guida di Bossi. Ha intuito che il regionalismo leghista, era una faccenda molto più ampia di quanto non fosse la semplice guerra del polentone contro il terrone, eredità della difficile integrazione nazionale dopo la conquista savoiarda.
Il conservatorismo padano, generato dalla posizione di vantaggio del Nord sul resto del paese, è una circostanza comune a tutto l?Occidente assediato dalla pressione dei foresti che stavolta violano le frontiere del continenti, non solo quelle della piccola Lombardia. L?insicurezza di chi ha, e quella di chi non riesce ad avere, assillati dai ?predatori? di averi e di benefici, ha unificato un popolo finora nemico contro il pericolo invasore. Tutta l?Europa e il nord-America temono la perdita dei diritti e dei profitti accumulati nell?epoca aurea del secondo dopoguerra, e temono di doverli spartire con i nuovi venuti. Il vangelo delle piccole patrie è diventato il convincimento dell?intero nostro mondo che vede nel Trumpismo il sentimento e la politica dominanti. Ecco perché le intemperanze di un giovane Bossi che pisciava nel serbatoio della moto di un meridionale, e i canti tra avvinazzati di un non più tanto imberbe Salvini, sono stati sostituiti dalle ruspe e dalla caccia allo zingaro. Il metodo è lo stesso, ma il nemico è cambiato.
Il popolo a cui si rivolge la Lega non ha interesse a scoprire le contraddizioni della nostra società, è un popolo che si accontenta di promesse di sicurezza, delle conferme dei vantaggi che vengono dal territorio, dalla tradizione, dal diritto, dalla proprietà. E? un popolo deluso ed impaurito dalle politiche precedenti che hanno agevolato la volontà del Capitale di sostituire in Occidente l?onerosa classe dei produttori, di smantellare i diritti, le abituali garanzie sociali e il tradizionale valore politico dell?homo occidentalis. Politiche che, mentre umiliavano il lavoro a vantaggio della finanza, aprivano il varco al flusso di migranti pronti a svolgere le mansioni svalutate e a incassare gli smagriti salari. I vecchi partiti hanno governato il problema con l?informazione manipolata e, quando è scoppiato il peso della contraddizione, hanno accusato il popolo di varie immoralità e disvalori.
Da qui nasce il successo della Lega, dall?aver indicato un nemico fisico per ogni problema politico, a ogni singolo una comunità che pativa la stessa asimmetria di cittadinanza. Il suo radicalismo, che prende ancora ordini dall?animo conservatore, nel momento in cui la nostra società s?incrina, incassa tutto il favore popolare. Masse di elettori in stato di evidente povertà, non più coercibili dall?etica del capitalismo di massa o dalle generiche tutele socialiste, stanche di essere derubate, inseguono venditori di occhiali da sole e ladri di biciclette.