La prima volta che ho assaggiato un vino novello è stata ad una sagra, all’epoca ero molto inesperta in materia, ma i suoi profumi li ho sempre abbinati all’inizio dell’inverno, all’umidità, ai primi freddi che fanno sentire il bisogno di riscaldarsi e cercare un po’ di tepore.
Con il tempo ho imparato ad apprezzarne diversi di differenti aziende e, comunque, le sensazioni che il novello suscita ancora oggi, quando ne degusto uno, restano quasi sempre le stesse.
Il novello si potrebbe definire un vino “facile” da bere perché, grazie alla sua freschezza e al suo bouquet di profumi, molto spesso piace sia a chi predilige i bianchi sia a chi preferisce i rosati, ma bisogna dire anche che il fatto di non subire alcun processo di affinamento riesce a far sì che il novello possa mantenere dei costi contenuti, per cui non è affatto un vino impegnativo.
Il novello deve la sua paternità al beaujolais nouveau, prodotto nell’omonima regione francese (ed in parte in Loira) dai vitigni Gamay. Nacque, in realtà, per un errore tecnico, quando nel 1800 circa si mettevano nei torchi uve già pressate con uve intere, per cui la mancanza di ossigeno faceva partire strane fermentazioni. In seguito, tale accidentale scoperta venne applicata nel tentativo di preservare le uve dall’ossidazione, conservandole in un ambiente senza ossigeno, quindi riempiendo i locali di stoccaggio con anidride carbonica. Ma, in barba alle aspettative, il risultato fu quello di avere delle uve macerate e diverse nel profilo organolettico.
Furono, nella seconda metà del 1800, gli studi del chimico francese Louis Pasteur e le innovazioni pratiche dallo sperimentatore Michel Flanzy nel pieno Novecento a realizzare e riprodurre il fenomeno della macerazione carbonica.
Sostanzialmente, il processo di produzione comincia con il poggiare in un recipiente chiuso i grappoli dell’uva posizionati all’interno di cassette piccole, al fine di evitare di schiacciare gli acini con successiva perdita di liquido, circostanza che potrebbe attivare già pericolose fermentazioni aerobiche.
Successivamente si insuffla nella cisterna anidride carbonica, la quale genera una macerazione intracellulare, poiché le uve sono costrette ad un metabolismo effettuato in modo anaerobico, ed anche una piccola fermentazione, che, grazie al piccolo sbalzo di temperatura, permette all’acido malico di diminuire a favore dell’acido succinico, che è responsabile della sensazione di freschezza, ma, al tempo stesso, consente al glicerolo di aumentare, donando al vino tutte quelle sensazioni di morbidezza.
Quindi, in fase anaerobica, cioè senza ossigeno, si formano molecole diverse da quelle che solitamente si formano nel normale e prolungato processo di fermentazione di un vino rosso e che consentono di associare al vino novello delle sensazioni davvero tipiche di questo prodotto.
Accade, ad esempio, che in questa fase si liberino nel vino sostanze come il cinnamato di etile, che ci dona il sentore dei chiodi di garofano, della marmellata rossa, ma anche l’acetato di isoamile, con il suo peculiare sapore di banana, oppure alcuni fenoli volatili, sostanze che in una corretta fermentazione anaerobica potrebbero donare un interessante sapore del cuoio o foxy, ma che, invece, in fermentazioni aerobiche è facile che sortiscano effetti non molto piacevoli, come il sapore di sudore, poco apprezzato non solo dai e dalle sommelier!
Per lo specifico processo di produzione si preferiscono per questi tipi di vini novelli uve dalla buccia spessa, come il Nero di Troia pugliese, il Montepulciano oppure il Cabernet, infatti si suol dire che si tratta di varietà più coriacee, dal latino coriaceus, derivato da corium, cuoio, quindi abbastanza dure.
Grazie al suo specifico processo di produzione, il vino novello punta dritto sul fruttato dolce e sul sentore di spezie, si mostra sempre semplice nel gusto con una morbidezza che lo rende “facile”, appunto, e quel leggero pizzicore dell’anidride carbonica che spinge verso l’acidità con l’effetto di pulire la bocca ad ogni bevuta.
Probabilmente l’accostamento stagionale più immediato che viene da fare è con le caldarroste, e si è sicuri di non sbagliare, tuttavia, se si vuole osare e andare alla ricerca di qualche sensazione enogastronomica più complessa non sarebbe male accostarlo a dei salumi delicati, come il Lardo di Faeto, oppure con formaggi giovani, come il caciocavallo “Caciopalla occhiato”….senza dimenticare di volta in volta degli ottimi tarallucci pugliesi.
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a cura di Michele Lucivero