“Il costo della transizione ecologica”. Rinnovabili, impianti fermati da costi e burocrazia

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Per uscire dalla crisi energetica ci sono varie strade. Senza dubbio, la più auspicabile è quella di sostituire le fonti fossili per la produzione di energia con quelle pulite. Soprattutto con quelle rinnovabili: quindi il sole, il vento, le risorse idriche e geotermiche, ma anche le maree, il moto delle onde e le biomasse. Ma il motivo per il quale si fatica così tanto a generare elettricità con le fonti rinnovabili è una questione – anche qui – di costo. Produrre energia con combustibili fossili è molto più conveniente. Poi, come sempre, c’è di mezzo anche la burocrazia. (qui tutti gli articoli della nostra rubrica “Il costo della transizione ecologica”)

Burocrazia

Il ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, spiega che il suo programma prevede di arrivare a produrre in Italia 70 gigawatt da fonti rinnovabili. Ma oggi siamo fermi appena a 0,8 gigawatt all’anno. Il Pnrr prevede l’arrivo di 5,9 miliardi di euro per le rinnovabili: appena il 2,5% dei fondi per la ripresa e resilienza. Non sembra che si scommetta molto sull’energia pulita, verrebbe da dire. Se ne sono accorti anche gli operatori di mercato, che trovano nella burocrazia lo scoglio principale. “Nel 2020 è stato installato solo l’1,3% delle domande di autorizzazione partite nel 2014”, ha scritto il Corriere della Sera il 31 ottobre.

I processi di autorizzazione per aprire impianti fotovoltaici ed eolici è ancora molto lungo e tortuoso. “Per approvare un parco eolico o fotovoltaico – analizzava sempre il Corriere – servono cinque passaggi autorizzativi: 1) Via ministero dell’Ambiente; 2) Via regionale; 3) Conferenza dei servizi; 4) L’autorizzazione per l’impianto specifico; 5) La licenza di officina elettrica. E poi altri sei per connetterlo alla rete di Terna. Tempo: sei, sette anni”. Per legge, poi, sono ammessi alla gara solo gli impianti che operano su terreni fortemente degradati. E le regioni avrebbero il compito di delineare le aree per gli impianti, ma sono ancora in ritardo.

Le aste che vanno “deserte”

Questo si ripercuote sul mercato delle aste di scambio delle quote di rinnovabili. “Da due anni vanno deserte”, denunciava qualche tempo fa su Radio 3 il direttore scientifico di Kyoto club, Gianni Silvestrini. Solo un quarto della potenza energetica viene assegnata. Eppure l’Italia ha investito molto sulle fonti pulite. “Abbiamo una lunga storia nelle rinnovabili, grazie all’idroelettrico – spiegava il 31 agosto l’ad di Enel X, Francesco Venturini – Produciamo il 10% di tutta l’energia rinnovabile in Europa. Tutti i Comuni ora hanno un impianto sul loro territorio”.

A livello mondiale, però, le cose sono un po’ diverse. Fino al 2020 solo l’11% dell’energia elettrica globale è stata generata da fonti rinnovabili. I due terzi dell’energia è invece ancora generata bruciando combustibili fossili. Questo scompenso lo spiegano i costi. Il sole e il vento sono fonti intermittenti e per produrre energia con i pannelli fotovoltaici serve molto spazio. Poi c’è il problema dello stoccaggio e con che continuità una fonte rinnovabile può generare elettricità. A parità di energia prodotta, la quantità di materiale da utilizzare per costruire e tenere in funzione una centrale elettrica è molto minore per i combustibili fossili rispetto a una fonte pulita.