Meno autobotti e più bottiglie in Puglia. “Wine Specialists Journal”: alla riscoperta dei vitigni autoctoni tra Fiano e Susumaniello

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Vigneto classico pugliese, Cantine Rivera, Foto: Gianluca Tesse
Vigneto classico pugliese, Cantine Rivera, Foto: Gianluca Tesse

di Nino Malerba. Sul finire dello scorso millennio approdavo per ragioni lavorative dalla provincia di Bari in Capitanata, una zona della Puglia in cui il comparto agricolo, e in particolare il settore vitivinicolo, ha da sempre rivestito significativa rilevanza. All’epoca tutto era fortemente orientato a massimizzare le connotazioni quantitative delle produzioni; la quasi esclusiva forma di allevamento a tendone e il prevalente utilizzo di vitigni generosi e trasversali per le finalità della committenza (Trebbiano e Sangiovese in primis), consentiva ai produttori di ottenere, nelle annate migliori, anche 600 quintali di uva per ettaro.

Qualsiasi disciplinare di produzione inorridirebbe di fronte a tali livelli produttivi. Sempre, nell’ottica di un totale adeguamento alle esigenze di mercato, alcuni produttori agricoli si cimentavano in produzioni “distintive” di Merlot e Cabernet in una sorta di improbabile gemellaggio produttivo fra la provincia di Foggia e il Bordeaux.

Tale scenario, sinteticamente descritto, se, da un lato, assicurava discreti ritorni reddituali, dall’altro, al pari di insidiose sabbie mobili, progressivamente relegava l’intero comparto vinicolo al più oscuro anonimato. Peraltro, la stessa attività produttiva delle aziende del comparto si limitava essenzialmente nel pigiare l’uva e nel vendere il mosto mutizzato a più blasonate aziende che nulla avevano a che fare con il nostro territorio, dove l’elemento più significativo del prodotto (vino/mosto muto), tale da determinarne il livello di prezzo, era rappresentato dal grado alcolico.

Pur spettatore di uno spaccato (provincia di Foggia) delle dinamiche del settore viticolo pugliese, quanto rilevato in Capitanata si replicava in altri angoli della Puglia e anche per altre produzioni, perpetrando, ai danni della nostra Regione, la triste funzione di stampella a sostegno di altri con contestuale trasferimento altrove della maggior parte del valore aggiunto generato delle nostre produzioni.

Lungi dal fornire scontate considerazioni, mi limito a riportare che il quadro descritto era frutto dei tempi, funzionava così da sempre. A distanza di oltre vent’anni, fortunatamente, le cose, seppure parzialmente, sono cambiate; alle poche cantine esistenti, con coraggio e sacrificio, ne sono fiorite altre grazie a produttori/imprenditori che, consapevoli delle potenzialità produttive del nostro territorio e nel tentativo di sottrarsi a un opprimente giogo, hanno affrontato i marosi del libero mercato.

Si sono avviate produzioni di vini, recuperando un rapporto con le proprie radici e riappropriandosi della propria identità tipica di una Regione che, con i suoi 85mila ettari vitati e con 10 milioni di ettolitri l’anno, merita un adeguato riconoscimento e così l’Italia e il mondo hanno conosciuto il Primitivo di Manduria, Il Nero di Troia, il Negramaro.

Contestualmente, sono state affinate le tecniche produttive e di elevazione; il totem della quantità è stato progressivamente sostituito dalla consapevole qualità delle produzioni, praticando una brusca inversione rispetto a quello che era l’orientamento prevalente di solo pochi anni prima ed è stato avviato un organico recupero di vitigni rappresentativi e identitari del nostro territorio, del nostro essere e della nostra tradizione.

A partire dalla rivoluzione rosata di Leone De Castris con il suo Five Roses, commercializzato già dal 1943, ma apprezzato colpevolmente più tardi, sugli scaffali, oltre ai noti e vitigni, si sono affiancate bottiglie di Susumaniello, Ottavianello, Fiano Minutolo, Bombino Bianco, vitigni che per le note “esigenze di mercato” erano stati quasi del tutto abbandonati.

Occorre onestamente rilevare che quello che è accaduto, e sta ancora accadendo nel mondo del vino in Puglia, è stato favorito e accelerato da un orientamento politico che negli anni scorsi ha avviato un sistematico processo di valorizzazione dell’intero territorio regionale e che noi non possiamo accogliere con estremo piacere e interesse.

Nino Malerba
Nino Malerba

Nino Malerba è pugliese DOCG, neo sessantenne in forma smagliante, ex bancario, appassionato del mondo del vino, dei territori e delle persone che in tale contesto sono impegnate, socio fondatore della Wine Specialists Council.