La Vicenza romana, municipium optimo jure dalla metà del primo secolo avanti Cristo, trasformata dai Romani da villaggio protoveneto a città con templi e mura, raggiunge il massimo livello di sviluppo urbanistico, demografico ed economico nella prima età imperiale (qui tutte le puntate di “La Vicenza del passato”, ndr). Dopo cent’anni di annessione, nella Venetia è completata la regolamentazione idrica e agraria e ciò consente di raggiungere la massima produttività agraria e allevatoria.
Vicetia è comunque un centro minore: il diametro dell’abitato è lungo appena cinquecento metri, lo sviluppo della cinta muraria è di due chilometri e mezzo, gli abitanti sono poche migliaia. È un oppidulum, una cittadina, al centro di un territorio poco sviluppato e popolato.
Quali sono i fines, i confini del vicentino? È un’area geografica piuttosto vasta quella amministrata dai magistrati cittadini e, in buona parte, ricalca lo sviluppo della moderna provincia. Non tutto è stato definito dagli storici e dagli archeologi ma molta parte del perimetro è stata identificata, se non con certezza, quanto meno con buona approssimazione anche perché è la stessa morfologia dell’area a imporre limiti naturali.
La confinante meridionale dell’area della Vicenza roana è Este che, già in epoca protoveneta e poi anche in quella romana, è un centro di ben maggiore importanza ed estensione rispetto ai secoli successivi. Il limite dei rispettivi territori è fissato nel 135 avanti Cristo dagli stessi Romani, chiamati a decidere un contenzioso fra le due città: è a Lobia, frazione a quattro chilometri a ovest di Lonigo.
Verso Padova il finis è a Arlesega, paese a tredici miglia da Vicenza (un miglio romano è lungo circa un chilometro e mezzo): lì la via che porta a Padova è interrotta dall’antico ramo occidentale della Brenta, il cui corso dunque funge da limite.
A occidente il confine, da Lobia, risale verso nord lungo lo spartiacque delle valli del Chiampo e dell’Alpone. Sempre da Lobia ma a sud, costeggia le pendici dei colli Berici e si spinge a oriente fino al canale Bisatto per ricongiungersi con il ramo della Brenta. A nord, infine, i limiti del vicentino sono meno conosciuti e, in via ipotetica, si possono ricondurre alle pendici e alle valli comprese fra le Piccole Dolomiti e la parte occidentale dell’Altipiano dei Sette Comuni.
Pur se Vicetia è piccola, il territorio che amministra è vasto. Solo che è pressoché disabitato. Attorno al capoluogo, infatti, non esiste nessun altro centro quand’anche minimo. Quella di Vicenza è oggi (e da secoli) una provincia policentrica ma, in epoca romana, Vicetia è l’unica città esistente. Schio, Thiene, Valdagno, Arzignano, perfino Bassano non sono ancora state fondate e ci vorranno alcuni secoli prima che prendano forma.
E, quindi, fuori le mura cosa trovano i vicentini? Prima di tutto tanta acqua. A nord della città di Vicenza Romana c’è un vero e proprio laghetto, che prenderà il nome di Lago di Pusterla, formato da un ampliamento del letto dell’Astico, che poi perimetra la città e confluisce nel Retrone. Questi due fiumi sono, per i cittadini, la vista extra moenia su due lati dell’abitato, mentre a ovest incombono le paludi, attraverso cui si snoda la via Postumia verso Verona. Ed è proprio lungo la consolare che si trova qualche micro-centro, attorno alle “stazioni di servizio” di allora, dove si potevano cambiare gli animali da sella o da traino, mangiare e dormire, fare rifornimento.
Ce n’è una – che ha lasciato il toponimo alla località – a Tavernelle, che si chiamava Tabernulae proprio per quello. Un’altra era a Arlesega, dove – sul confine con Padova – c’era una mutatio ad finem, cioè una stazione di posta dove si fa il cambio cavalli (mutari in latino). Sicuramente c’erano mutationes anche lungo il ramo verso oriente della Postumia. Una è probabile che fosse a San Pietro in gù per la prossimità al guado (abbreviato “gù” in dialetto) sulla Brenta.
Sulla via che porta a nord, verso la Retia, sorge Caldogno, da cui parte l’acquedotto. Nel 30 avanti Cristo l’imperatore Ottaviano Augusto distribuisce ai veterani delle legioni le terre dell’Alto Vicentino con il sistema della centuriazione, la suddivisione dell’agro pubblico in quadrati di cento parcelle di due iugeri l’una. La zona è intersecata da cardi e decumani e forma l’agro centuriato vicentino di Thiene. La antenata di Caldogno sta al limite sud della centuriazione, a sei miglia da Vicetia e, per questo, è chiamata ad sextum lapidem.
A Schio, punto geograficamente già allora cruciale per essere allo sbocco di due vie commercialmente importanti come quelle che scendono dalle valli del Leogra e dell’Astico, non c’è abitato. L’unica evidenza archeologica è un campo trincerato nella attuale zona industriale, chiamato Campo Romano.
A est della centuriazione di Thiene c’è quella di Marostica, che si estende a meridione fino a Dueville e Carmignano e forse fino a Lerino e Camisano. Ancora: a sud della città ci sono le centuriazioni di Barbarano (che investe anche il territorio di Montegalda) e quella di Lonigo, al confine con il veronese.
Vicetia, dunque, è in buona parte attorniata da queste centuriazioni che, assieme alla normalizzazione della rete idrografica, dà al suo territorio un aspetto ordinato e civilizzato. La popolazione non è folta ma ci sono presenze umane diffuse e radicate che contribuiscono a rendere il vicentino pacifico e produttivo.