Società dilettantistiche solo senza scopo di lucro: torna netta la separazione rispetto ai professionisti, addio a deroga su collaborazioni

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La conversione in legge n. 96/18 del Decreto lavoro conferma la cancellazione delle società sportive dilettantistiche con scopo di lucro. Dal parlamento, quindi, nessuna modifica al testo originario approvato dal consiglio dei ministri che viene convertito così com’era, senza alcun cambiamento o miglioria. L’articolo 13 del testo convertito prevede così la soppressione dei commi da 353 a 361 dell’articolo unico della legge di Bilancio 2018 (legge 205/2017) che avevano introdotto nell’ordinamento la possibilità di utilizzare una delle forme societarie di cui al titolo V del libro quinto del codice civile (società di persone o di capitali) per l’esercizio dell’attività sportiva dilettantistica.

Il ricorso a questa tipologia societaria – lo si ricorda – avrebbe consentito, oltre all’esercizio di attività sportive dilettantistiche sotto forma di società lucrative , anche di poter beneficiare della riduzione alla metà dell’Ires (dal 24% al 12%) e dell’aliquota Iva ridotta del 10% per i servizi di carattere sportivo resi da tali società – riconosciute dal Coni – ai praticanti l’attività sportiva in impianti gestiti dalle società stesse.
Con l’approvazione del decreto si assiste, pertanto, di fatto ad un ritorno al passato, ovvero al regime previgente, caratterizzato dal divieto di lucro soggettivo che continuerà, così, a contraddistinguere tanto le associazioni quanto le società sportive dilettantistiche. Di conseguenza, rimane assolutamente fermo e netto il confine che divide lo sport professionistico e quello dilettantistico, basato sulla non lucratività del secondo.
Sotto il profilo statutario, quindi, per associazioni/società sportive dilettantistiche continueranno ad applicarsi le vecchie regole, che prevedono quali requisiti indispensabili l’assenza di fine di lucro e il rispetto della regola secondo cui i proventi delle attività non debbano in nessun caso essere divisi tra gli associati, nemmeno in forma indiretta.
Inoltre, va ribadito che il decreto approvato, prevedendo di fatto la cancellazione di tutta la disciplina della società sportiva dilettantistica lucrativa (Ssdl), trascina con sé pure l’abrogazione della problematica legata all’inquadramento come collaborazione coordinata e continuativa della prestazione sportiva dilettantistica. Per questo motivo non sarà più strettamente necessaria, a termine di legge, neppure la tanto attesa delibera del Coni, che sulla base della disciplina introdotta dalla legge di Bilancio 2018 avrebbe dovuto necessariamente individuare le Co.co.co rientranti fra le mansioni ritenute necessarie per lo svolgimento delle attività sportive dilettantistiche.
Dall’abrogazione rimane, in ogni caso, salvo il nuovo limite ai compensi annui, previsto a partire dal primo gennaio del 2018, per le attività sportive dilettantistiche, che resta fermo a 10mila euro (anziché euro 7.500), al di sotto del quale non trova applicazione alcuna forma di ritenuta fiscale. Per essi, lo si ricorda, l’inquadramento fra i redditi diversi (che vale tuttavia anche per le somme eccedenti i 10mila euro) non comporta nemmeno l’obbligo di tracciabilità dei pagamenti introdotto dal primo luglio scorso per i lavoratori dipendenti e i collaboratori dei datori di lavoro e committenti privati.
Infine, l’ultima considerazione riguarda il comma 5 dell’articolo 13, che istituisce un fondo pluriennale (oltre quaranta milioni per i prossimi cinque anni), del tutto generico, da destinarsi ad attività a sostegno delle società sportive dilettantistiche. Sul punto immaginiamo che ci sia stato un refuso nella norma e che la dotazione qui prevista venga destinata anche alle Asd (che sono la stragrande maggioranza) e non solo alle società sportive dilettantistiche.
Il tutto nell’auspicio che questo sia l’inizio, per poter ridare finalmente slancio all’associazionismo privato in ambito sportivo dilettantistico, che specie per l’attività di base rivolta ai giovani meriterebbe ben altra attenzione rispetto al passato, non fosse altro per i risvolti sociali che esso trascina con sè sull’intero movimento.

di Lorenzo Pegorin, da Il Sole 24 Ore

 

Addio alla «deroga» sulle collaborazioni
La cancellazione delle società sportive dilettantistiche con scopo di lucro, prevista dall’articolo 13 del Decreto lavoro (che sopprime i commi dal 353 al 361 dell’articolo 1 della legge di Bilancio 2018), è destinata a riaprire il problema dell’inquadramento giuslavoristico dei collaboratori delle associazioni sportive.
La riforma dello scorso anno aveva introdotto nell’ordinamento la possibilità di utilizzare una delle forme societarie prevista dal Codice civile (società di persone o di capitali) per l’esercizio dell’attività sportiva dilettantistica.
L’introduzione della società dilettantistica a scopo di lucro, ad opera della Legge di Bilancio 2018, intendeva fondamentalmente raggiungere due obiettivi: far emergere una base imponibile sino ad allora completamente detassata, da un lato, e creare uno strumento giuridico in grado di attrarre una maggiore quantità? di capitali che avvantaggiasse in generale gli operatori del settore sportivo dilettantistico, dall’altro.
Gli obiettivi di questa riforma non sono, evidentemente, condivisi dalla nuova maggioranza governativa, che con il Decreto lavoro ha cancellato completamente le regole introdotte lo scorso anno, sancendo l’integrale ritorno al regime vigente in precedenza, nel quale il principio cardine per le società e le associazioni sportive dilettantistiche era il divieto di lucro soggettivo.
Con l’abrogazione della riforma, sono cancellate – oltre alle norme che regolavano lo statuto (comma 354) e il regime fiscale agevolato (comma 355) – anche le disposizioni volte a disciplinare i rapporti di lavoro e il relativo inquadramento fiscale e previdenziale (commi 357, 358, 359 e 360).
Sono abrogate, quindi, le norme che consentivano di inquadrare i collaboratori delle società sportive dilettantistiche a scopo di lucro, svolgenti mansioni riconosciute necessarie da parte del Coni, come contratti di collaborazione coordinata e continuativa, e che determinavano la non operatività della presunzione automatica di riqualificazione in rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato delle collaborazioni poste in essere da tali enti ai sensi del Dlgs n. 81/2015.
Con questo ritorno al passato: le attività sportive dilettantistiche potranno essere esercitate giuridicamente come Asd o Ssd, mentre il regime delle collaborazioni – fatti salvi alcuni specifici aspetti contributivi e fiscali, ben riassunti nella circolare del 1° dicembre 2016 dell’Ispettorato nazionale del lavoro – torna ad essere quello comune, con tutte le problematiche connesse in merito all’individuazione di un tipo contrattuale adeguato a rappresentare forme di lavoro molto particolari e poco collocabili entro schemi tradizionali.
Si ripropone, in particolare, la difficoltà di utilizzare il contratto di collaborazione coordinata e continuativa senza incappare nella presunzione di subordinazione prevista dal Dlgs 81/2015 a carico dei soggetti che esercitano un potere organizzativo nei confronti dei collaboratori; potere che viene considerato elemento sufficiente a determinare l’applicazione delle regole previste per il lavoro subordinato. 

di Giampiero Falasca, da Il Sole 24 Ore