A questo punto è meglio nazionalizzare

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Secondo Nicola Zitara, autorevole meridionalista scomparso, le ferrovie meridionali (regio decreto n. 804 del 28 agosto 1862) furono l’atto di nascita del capitalismo toscopadano, che raggiunse poi il suo apogeo con la creazione della Banca d’Italia. Il conte Pietro Bastogi, già ministro delle finanze del governo sardo, riuscì a sfilare la concessione all’unico capitale su piazza, quello di James Rothschild, e costituì una cordata di “capitalisti-patriotti”, che con un capitale mai versato di 100 mln di lire, prese la concessione e i soldi pubblici per portare a termine l’impresa.
Il vizio italiano era nato. L’iniziativa privata, tanto cantata dal liberalismo cavouriano, era in realtà solo uno scippo della dimensione pubblica, una colletta forzata fatta a suon di baionette e bersaglieri. Pare che la prima corruzione di parlamentari debuttò proprio in questa occasione, il malcostume dei Savoia e di Rattazzi fecero da padrini. In tutta la storia unitaria si è continuato a esaltare la virtù della gestione privata, finanziandola con denaro pubblico, si è continuato a regalare il patrimonio collettivo ad amici che hanno garantito la sopravvivenza di una classe politica corrotta. Gli attori ottocenteschi erano l’interesse privato, il parlamento su base censitaria, il regio esercito; quelli attuali sono i noti “prenditori”, i politici corrotti, la magistratura.

La volontà popolare che ha cambiato il verso della politica, incappa incessantemente in penali che la stritolano, dimostrando che le rivoluzioni, quando si fanno, non possono che essere cruente. La volontà dei vecchi governi sopravvive attraverso le multe alla collettività. Così, se il ponte sullo stretto non si fa più, se la TAV si dismette, se si revoca una concessione, sorge una moltitudine di insetti voraci a reclamare denaro non percepito. Per conto mio ho visto raramente realizzarsi il bene comune attraverso l’interesse privato, ma quando questo è avvenuto è stato sempre ad opera di un’attenta supervisione dello Stato, di una precisa e pubblica volontà.

Sono curioso di conoscere le ragioni della segretezza degli allegati alla concessione autostradale e del suo rinnovo firmato da Di Pietro nel 2007. Sono curioso di sapere perché tanto sbilanciamento tra gli oneri pubblici e i diritti privati. Se le leggi sono espressione di una volontà politica, chiedo io a Di Pietro, che accusa di incompetenza l’attuale governo, qual era la volontà politica del suo ministero quando firmò la proroga di quel contratto capestro per la collettività. Sottolineare che il Fascismo aveva creato una proprietà nazionale che poi la sinistra ha svenduto è la dimostrazione di quanto i racconti delle politiche siano inconsistenti. Negli anni ?90, oppressi dal debito pubblico accumulato proprio per garantire la dimensione privata, si decise con cipiglio post-sovietico di dismettere parti consistenti della proprietà dello Stato, e il centrosinistra di Prodi la regalò per pochi spiccioli dopo che era stata composta con decenni di oculatezza.

Insomma, nessun obbligo per i Benetton che percepiscono indisturbati la loro rendita, ma solo per lo Stato: questo hanno stabilito i governi precedenti. Quando la mattina del 14 agosto si sono spezzati gli stralli del ponte, il piano traballante su cui poggiava la debole fiducia degli italiani nella sua classe dirigente è definitivamente caduto. Le fauci spalancate del profitto privato e della corruzione in cui sono precipitate le auto di quaranta connazionali e forse più, hanno mostrato l’ossatura del nostro capitalismo, capace di utile solo se protetto dallo Stato. Hanno mostrato la realtà della vita sociale: un popolo tenuto in catene dalla politica mentre un padrone gli spreme il pedaggio.