Un anno dell’Lr Vicenza, questo 2021, per fortuna agli sgoccioli, che non potrà essere ricordato con rimpianto dagli appassionati del calcio vicentino. Sono stati i trecentosessantacinque giorni in cui è probabilmente fallito il progetto “Serie A in cinque anni”, lanciato da Renzo Rosso a fine luglio del 2018.
Anche se restano ancora diciotto mesi per centrare l’obbiettivo, è diventato molto difficile, forse impossibile riportare una squadra della città nella massima serie del calcio entro il 30 giugno 2023. La pianificazione quinquennale è stata rallentata da molti fattori: una prima stagione (quella 2018-2019, il famoso “anno zero”) in cui errori gestionali e tecnici hanno impedito la promozione in B; un secondo campionato paradossalmente nel contempo favorito e penalizzato dalla pandemia che ha, da un lato, portato il Vicenza fra i Cadetti pur con ancora un terzo di calendario da giocare e, dall’altro, ha messo di fronte la società a una serie di emergenze che hanno avuto ricadute su tutta l’attività sportiva.
La previsione di maggiori costi e minori ricavi nella successiva prima stagione di Serie B ha pesato sull’allestimento della squadra, improntato in parte sulla continuità con la rosa già a disposizione e, in parte, su un format di calciomercato a budget medio-basso (prestiti, svincolati, giocatori a fine carriera). Alla vigilia dell’esordio dell’Lr Vicenza, c’è stato un pentimento e sono stati ingaggiati, con contratti pluriennali e molto onerosi, due attaccanti (Longo e Jallow), rivelatisi inadeguati alle necessità della squadra.
Il campionato 2020-2021 è stato particolarmente difficoltoso per l’Lr Vicenza. Ben presto ci si è resi conto che i biancorossi non erano in grado di puntare all’accesso ai play off e che l’area tecnica aveva aggregato una rosa lacunosa. In novembre la squadra è stata decimata dai contagi e si è dovuto far i salti mortali per andare in campo anche perché è cominciata in parallelo una serie infinita di infortuni che, quasi sempre, hanno comportato lungodegenze. È arrivata comunque la salvezza, anche se con un po’ di fiatone, ma ha lasciato in sospeso parecchie incognite che l’eccezionalità del Covid aveva mascherato.
All’inizio della stagione in corso la proprietà faceva sapere che, dopo una prima annata di ambientamento, puntava a qualcosa di più del solo mantenimento della categoria: il famoso “alzare l’asticella”. Apparentemente alle parole seguivano i fatti perché il mercato estivo portava a Vicenza due pezzi grossi della cadetteria, il centravanti Diaw e la mezzala offensiva Proia, oltre a un paio di difensori esperti (Brosco e Calderoni), un esterno con quasi centocinquanta presenze in B (Crecco) e, letteralmente all’ultimo minuto, un regista che aveva contribuito alla promozione del Venezia (Taugourdeau).
Il resto della rosa, però, era quello dell’anno precedente con tutti i limiti già evidenziati: età media alta, predisposizione agli infortuni, deficit tecnici. Il format, per di più, era lo stesso dell’anno prima e quindi non risultava mirato né alla costruzione di un gruppo da promozione a breve termine né, tanto meno, da far crescere progressivamente in funzione della scalata agli obbiettivi del piano quinquennale.
Dopo una pre season che pur aveva dato segnali non propriamente positivi ma valutati in modo relativo, il campionato cominciava in modo catastrofico e assolutamente inatteso. È, quest’ultimo, un aspetto da evidenziare: la impreparazione di tutto l’ambiente (media compresi) a un avvio così negativo. Uno spiazzamento generale, una sorpresa incredula, una mancanza di adeguamento alla realtà che si delineava, queste sono state le risposte della società, della tifoseria e della critica.
Era evidentemente successo qualcosa nei primi mesi di attività e doveva essere qualcosa di grave. Perché può essere stato solo un fatto di assoluta gravità a trasformare una squadra accreditata di un ruolo da protagonista in una banda di perdenti senza gioco e senza carattere. Alcune colpe sono senz’altro da attribuire all’area tecnica, in primis all’allenatore Di Carlo a cui si deve addebitare di non essere riuscito a delineare né una formazione-base né un modulo e di essersi incaponito in un turn over sistematico e apparentemente insensato.
Responsabilità anche per il direttore sportivo Magalini, a cui sono da imputare scelte sbagliate sia di giocatori confermati sia di presunti rinforzi che, con la sola eccezione di Ranocchia, non hanno certo mantenuto le attese. L’errore più pacchiano è stato lanciare come portiere titolare un ragazzo di diciannove anni con zero esperienza in categoria, puntualmente bruciato dopo tre sole partite.
Ma questa somma di errori gestionali e tecnici non è sufficiente a dare una spiegazione plausibile al disastro della prima metà di campionato. I numeri sono mozzafiato e delineano un fallimento che deve avere radici più profonde e forse inconfessabili. Cosa ha minato il rendimento di tanti giocatori che, se pure non sono dei fenomeni, tuttavia hanno carriere almeno dignitose? Com’è possibile che lo sprofondo coinvolga una squadra intera, incapace finora di darsi una scossa?
La speranza dei tifosi dell’Lr Vicenza è che, accantonato questo 2021 annus horribilis, il cambio di calendario porti magicamente un cambio di rotta e trasformi il derelitto Vicenza in un top team che, sfoderando un rendimento da capolista, avvii già dal 13 gennaio 2022 una cavalcata che si concluda con il mantenimento della categoria. Si conta molto sulla sessione di mercato invernale per invertire il trend ma il rafforzamento della rosa è solo il primo e non procrastinabile passo. Bisogna esorcizzare la squadra dal tumore che la perseguita da inizio stagione dandole un’anima, un senso, una personalità, un futuro.