La Selva di Circe, tutto ciò che rimane dell’antica foresta di Terracina

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La Selva di Circe.
Palude nella Selva di Circe. Credits: viaggiamo.

Paludi, fitta vegetazione, acquitrini e bufali dalle grandi corna erano, un tempo, gli abitanti di quella che potremmo definire l’Amazzonia italiana: l’antica foresta costiera di Terracina. Si estendeva per oltre 11mila ettari e si inseriva in un panorama ben più ampio: 80mila ettari di foresta planiziale (cioè, di pianura), comprendente aree umide fatte di laghi costieri, ricche flora e fauna e delle tipiche dune di sabbia del litorale laziale. Tutto quello che ne resta oggi sono poco più di 3mila ettari che vengono identificati con il “mitico” nome di Selva di Circe.

Prima della bonifica degli anni ’30 – Le Paludi Pontine hanno sempre rappresentato un ambiguo richiamo per chi abitava nei loro pressi: da un lato, misteriose ed intricate, facevano venir voglia di visitarle e scoprirne i segreti; dall’altro, l’impraticabilità e, soprattutto, gli animali e e le zanzare portatrici di malaria che le abitavano fungevano da deterrente per eventuali curiosi. Salvando, così, quel piccolo angolo italiano dalla presenza umana e lasciandolo pressoché incontaminato per secoli. Un luogo che, nel silenzio e nell’autoconservazione, è stato testimone del corso della storia, da Roma Antica al Medioevo, dal Rinascimento all’Ottocento e all’epoca del Grand Tour. E fu proprio Goethe a definire questa foresta paludosa “l’angolo più selvaggio e affascinante d’Europa“.

Nessuno avrebbe mai potuto immaginare che tutto questo avesse una data di scadenza; e quella data era da identificare con l’ascesa del fascismo.

Da natura selvaggia a edilizia selvaggia – Un’area vastissima, impervia e inospitale per gli esseri umani rappresentava qualcosa di “vergognoso”, da estirpare, per l’amministrazione fascista. All’epoca, gli abitanti della foresta (perlopiù cacciatori) erano meno di un migliaio, praticamente circa uno per metro quadrato. Per questo, si optò per una massiccia bonifica con l’intenzione di ricavare nuovi terreni da coltivare. Tutto cominciò nel 1927, lo stesso anno in cui fu anche smembrata l’antica Terra di Lavoro creando nuove province. Vennero prosciugate acque, costruiti chilometri e chilometri di canali di drenaggio, edificate strade pubbliche; insomma, sulle ceneri di quello che era stato, fino ad allora, l’Agro Pontino, negli anni e con un impegno titanico che coinvolse circa 120mila lavoratori, nacque un vero e proprio nuovo territorio. La colonizzazione umana fu peculiare: si instaurarono in loco famiglie provenienti innanzitutto dal nord (veneti e ferraresi) e, con loro, arrivarono urbanisti e architetti che cambiarono completamente il volto di quell’angolo d’Italia. Sorsero nuove città (tra cui, nel 1932, Littoria, cioè Latina) e, intorno, ben 16 borghi rurali con nomi che ricordavano le battaglie della Prima Guerra Mondiale (Borgo Grappa, Borgo Piave…). Di migliaia di poderi comprendenti case coloniche, pochissimi vennero assegnati a chi ne aveva più diritto, cioè i residenti delle regioni Campania e Lazio che si ritrovarono “cacciati” dalla loro stessa terra.

Oggi – Fortunatamente, alcune “fette” di quella nostra personalissima Amazzonia sono riuscite a salvarsi e a raggiungere l’era moderna. Questo soprattutto grazie all’istituzione del Parco Nazionale del Circeo (1934), che lambisce i territori ormai urbani (anche troppo) dell’antica foresta di cui molti, va ricordato, sarebbero immersi nell’acqua se non fosse per gli impianti idrovori, continuamente in funzione da quasi un secolo. Purtroppo, nonostante questa nota positiva, nessuno è riuscito a fermare una seconda ondata condita al cemento, quella seguita allo sviluppo balneare della Riviera di Ulisse e alla cancellazione di tantissime dune litoranee al fine di spianare il terreno e edificare lidi e ville che sarebbero diventati frequentatissimi non solo dal turismo estivo, ma anche da VIP e personaggi di rilievo.

Ironia della sorte, proprio in quegli alvei di laghi oramai prosciugati, oggi è possibile vedere pascolare le bufale (reintrodotte sul territorio per la produzione di mozzarella) e notare che nuovi acquitrini sono stati ricreati esattamente nei punti in cui, un tempo, erano stati impetuosamente disseccati.

I 3300 ettari di Selva di Circe odierni conservano molte caratteristiche dell’antica foresta di Terracina e includono tre aree di Riserva Naturale Integrale: la Piscina delle Bagnature, la Piscina della Gattuccia e la Lestra della Coscia; le prime due sono zone paludose naturali “autogeneranti” per accumulo di piogge, mentre l’ultima raccoglie i resti di quello che, prima della bonifica, era uno dei pochi villaggi locali.

L’ecosistema è talmente ricco e vario che, nel 1977, la selva è stata dichiarata “Riserva della Biosfera“, nell’ambito del programma MAB (Man and the Biosphere) patrocinato dall’Unesco: l’aspetto più interessante è che il suo volto cambia con il susseguirsi delle stagioni, colonizzandosi di fioriture primaverili, uccelli stanziali e in migrazione, daini, volpi, cinghiali, falchi e insetti di ogni tipo e forma, tra cui coloratissime farfalle.

La Selva di Circe è organizzata in una fitta rete di sentieri pedonali e ciclabili ed è visitabile tutto l’anno, anche se è d’estate che è maggiormente apprezzata perché in grado di donare una frescura naturale e rivitalizzante a due passi dalla città.

La Selva di Circe, oggi.
La Selva di Circe, oggi. Credits: lafilibustapontina.