La Vicenza del passato. Lo strano rapporto fra la città e l’archistar Andrea Palladio. Nella sua tomba al Cimitero è sepolto uno sconosciuto

4989
Piazzetta Andrea Palladio a Vicenza sul lato occidentale della Basilica Palladiana (foto di Alberto Gragera)
Piazzetta Andrea Palladio a Vicenza sul lato occidentale della Basilica Palladiana (foto di Alberto Gragera)

Andrea Palladio: un nome che da cinquecento anni fa coppia fissa con Vicenza (qui tutte le puntate di “La Vicenza del passato”, ndr). Impostando una ricerca Google sul binomio saltan fuori ben tre milioni e mezzo di risultanze. La parola Palladio ricorre continuamente in città, spunta dappertutto. Così si chiamano il corso principale e una piazzetta confinante con la Basilica, che ovviamente è qualificata “palladiana” proprio in onore del suo progettista.

Mille attività commerciali e produttive locali hanno nella denominazione l’appellativo dato al giovane Andrea dall’umanista Giangiorgio Trissino: negozi, bar, agenzie di viaggi e immobiliari, industrie, società finanziarie, centri commerciali, imprese artigiane, studi professionali. E anche scuole, condomini, garage e parcheggi, cinema, impianti sportivi. Nelle Pagine Gialle ci sono una sessantina di utenze in cui compare il nome Palladio, forse per poca originalità dei vicentini, forse nella speranza che l’abbinamento porti lo stesso suo successo, forse per affetto e ammirazione per l’uomo che ha fatto grande e universalmente conosciuta la città. La città del Palladio, appunto.

A tante citazioni nel privato corrisponde, all’opposto, una penuria di dediche nel pubblico: corso, piazzetta, Basilica e basta. Gli antichi palazzi rinascimentali – come anche le ville extraurbane – portano i nomi dei committenti, altre opere (il Teatro Olimpico, l’arco delle Scalette di Monte Berico, il ponte sul Tesina a Torri di Quartesolo) non lo richiamano e nemmeno gli sono stati intitolati edifici costruiti nei secoli successivi. Par quasi che i vicentini lo abbiano voluto dimenticare e che, anche oggi, non si senta la opportunità di legare il suo nome a un’opera pubblica.

Questo atteggiamento per così dire postumo trova un pendant già nella Vicenza contemporanea all’archistar. Di quest’uomo, che già in vita è riconosciuto come artista di livello pari a quello dei grandi rinascimentali, i concittadini del XVI secolo conservano pochissime memorie tant’è che, del Palladio vicentino, si sa quasi nulla. Non se ne conosce l’aspetto né dove abbia avuto casa, si ignora ove fosse la sua bottega e, perfino, mancano una data certa e il luogo della sua morte.

ritratto
Il presunto ritratto di Palladio che si trova in Villa Valmarana ai Nani di Vicenza

Non è arrivato a noi un suo ritratto, o perché non è mai stato fatto o perché è andato perso, ed è davvero strano: Palladio collabora con molti pittori e i suoi nobili committenti – e alcuni di essi gli erano amici – secondo le usanze del tempo sono usi a farsi ritrarre.

La cosa più incredibile è che le sue spoglie siano scomparse. Sì, perché nel sepolcro presente nel Cimitero Monumentale della città c’è il corpo di uno sconosciuto! La vicenda risale alla metà dell’Ottocento, precisamente al 1845. Quindici anni prima Girolamo Egidio di Velo, nobile vicentino nonché archeologo e quindi fan di Palladio, dispone nel testamento un lascito di centomila lire venete da utilizzare per la costruzione di una tomba monumentale all’interno del camposanto in costruzione. Il progetto è affidato all’architetto Bartolomeo Malacarne, che però muore prima del completamento dell’opera ed è quindi concluso da Giambattista Berti e Giovanni Maria Negrin. Il gruppo scultoreo è firmato da Giuseppe De Fabris, artista nato a Nove e molto attivo in Vaticano.

tomba
Il sepolcro nel Cimitero Monumentale di Vicenza in cui sono stati deposti i resti di un ignoto nel 1845

Quando arriva il momento di traslare il corpo dell’architetto dalla tomba di famiglia nella chiesa di Santa Corona a quella in Cimitero, nasce il problema: all’interno si rinvengono una dozzina di salme non identificabili. La commissione deputata alla esumazione non sa che fare e a qualcuno viene la grande idea di individuare lo scheletro di Andrea Palladio in quello il cui teschio si distingue per dimensioni, grandezza delle ossa e spaziosità della regione frontale.

Sembra una barzelletta ma, purtroppo, non è così e, quindi, il 19 agosto (la data – anch’essa presunta – in cui ricorre il decesso) le spoglie mortali di un ignoto sono traslate in pompa magna nella cappella del cimitero e nuovamente sepolte nell’urna al centro del monumento. Il bello è che, ancor oggi, si continua a far finta che quella sia proprio la sepoltura di Andrea Palladio. E non si è mai prospettato nemmeno un esame necroscopico dei resti per cercare di capire a chi, almeno a grandi linee, potrebbero appartenere.

Questa trascuratezza post mortem dei vicentini per il loro concittadino più famoso potrebbe spiegarsi con il fatto che Andrea Palladio vicentino non era? C’è, infatti, da sfatare anche questa credenza: la città che ha dato i natali al grande architetto non è Vicenza bensì la vicina e non certo benamata Padova. Arriva sotto i Berici, infatti, quando ha già circa quindici anni e per motivi di lavoro: apprendista lapicida, lascia il datore di lavoro padovano (con cui è in contrasto) e si accasa nella bottega in San Biasio del costruttore Giovanni di Giacomo da Porlezza e dello scultore Girolamo Pittoni.

E se anche nella nuova città Palladio si forma, incontra un eccezionale mentore nel Trissino, ottiene le prime importanti commissioni culminate in quella delle nuove logge a rivestimento del Palazzo della Ragione, a un certo punto la sua fama supera i confini della città e lo porta a lavorare e a vivere a Venezia. L’antagonismo con la capitale, appena mascherato da un bon ton molto opportunistico, può essersi aggiunto alle origini patavine per motivare la freddezza berica verso Palladio? È possibile perché, all’epoca, le rivalità fra le città dello Stato da Tera della Serenissima sono ancora forti e radicate.

È provato, poi, che i committenti vicentini, sia pubblici che privati, non siano mai stati di manica larga nei compensi elargiti a Andrea e che nessun suo progetto di palazzo sia arrivato a compimento perché invariabilmente gli tagliavano i fondi. Sono altri due segnali che fanno sospettare che qualcosa non abbia funzionato del tutto nei rapporti fra Palladio e la sua città adottiva. Il detto nemo propheta in patria sembrerebbe molto appropriato.

Articolo precedenteTurismo al collasso, turisti senza soldi e anche senza voglia. Aduc: l’errore dello statalismo
Articolo successivoLR Vicenza-Cittadella: informazioni sulla prevendita
Gianni Poggi
Gianni Poggi risiede e lavora come avvocato a Vicenza. È iscritto all’Ordine dei giornalisti come pubblicista. Le sue principali esperienze giornalistiche sono nel settore radiotelevisivo. È stato il primo redattore della emittente televisiva vicentina TVA Vicenza, con cui ha lavorato per news e speciali ideando e producendo programmi sportivi come le telecronache delle partite nei campionati del Lanerossi Vicenza di Paolo Rossi, i dopo partita ed il talk show «Assist». Come produttore di programmi e giornalista sportivo ha collaborato con televisioni locali (Tva Vicenza, TeleAltoVeneto), radio nazionali (Radio Capital) e locali (Radio Star, Radio Vicenza International, Rca). Ha scritto di sport e di politica per media nazionali e locali ed ha gestito l’ufficio stampa di manifestazioni ed eventi anche internazionali. È stato autore, produttore e conduttore di «Uno contro uno» talk show con i grandi vicentini della cultura, dell’industria, dello spettacolo, delle professioni e dello sport trasmesso da TVA Vicenza. Ha collaborato con la testata on line Vvox per cui curava la rubrica settimanale di sport «Zero tituli». Nel 2014 ha pubblicato «Dante e Renzo» (Cierre Editore), dvd contenente le video interviste esclusive a Dante Caneva e Renzo Ghiotto, due “piccoli maestri” del libro omonimo di Luigi Meneghello. Nel 2017 ha pubblicato per Athesis/Il Giornale di Vicenza il documentario «Vicenza una favola Real» che racconta la storia del Lanerossi Vicenza di Paolo Rossi e G.B. Fabbri, distribuito in 30.000 copie con il quotidiano. Nel 2018 ha pubblicato il libro «Da Nobile Provinciale a Nobile Decaduta» (Ronzani Editore) sul fallimento del Vicenza Calcio e «No Dal Molin – La sfida americana» (Ronzani Editore), libro e documentario sulla storia del Movimento No Dal Molin. Nel 2019 ha pubblicato per Athesis/Il Giornale di Vicenza e Videomedia il documentario «Magico Vicenza, Re di Coppe» sul Vicenza di Pieraldo Dalle Carbonare e Francesco Guidolin che ha vinto nel 1997 la Coppa Italia. Dal 9 settembre è la "firma" della rubrica BiancoRosso per il network ViPiù, di cui cura anche rubriche di cultura e storia.