L’epilessia è una patologia che può provocare a chi la vive in prima persona problematiche non indifferente. Inoltre, può impattare con forza anche sulla vita di chi sta accanto ai malati. Ecco perché, da diversi anni ormai, la comunità scientifica internazionale è impegnata nella ricerca di una strada utile alla riduzione della frequenza delle convulsioni. L’impegno in questione è particolarmente intenso per quanto riguarda l’epilessia farmaco resistente.
Nell’ambito delle frontiere esplorate negli ultimi anni, un doveroso cenno va dedicato al cannabidiolo. Questo fitocannabinoide, il più famoso in assoluto dopo il THC, è protagonista di diversi prodotti. Si va dal celebre olio di CBD, fino ai cristalli e alle infiorescenze. Nel corso degli anni, le sue numerose proprietà sono state indagate a fondo ed è stato possibile fare scoperte interessanti in merito agli effetti sull’epilessia.
Se ti stai chiedendo quali, non devi fare altro che proseguire nelle prossime righe di questo articolo.
CBD per il trattamento dell’epilessia: è efficace?
Sono tante le persone, malate di epilessia e non, che si pongono domande in merito all’efficacia del cannabidiolo nel trattamento della patologia. A dare una risposta a questo interrogativo ci hanno pensato i ricercatori dell’Università dell’Alabama, che hanno curato uno studio i cui dettagli sono stati pubblicati sulle pagine della rivista scientifica Epilepsy & Behaviour.
Il lavoro scientifico in questione ha visto gli esperti concentrarsi sulla situazione clinica di un campione di 179 individui, per la precisione 89 bambini e 80 soggetti di età adulta.
I membri del campione in questione hanno ricevuto dosi di CBD tenendo conto di un dosaggio iniziale pari a 5 mg per kg di peso corporeo due volte al giorno. Successivamente, la suddetta dose è stata aumentata fino ad arrivare a 50 mg. Nella fase di studio, sono state poi valutate sia l’intensità sia la frequenza delle crisi.
Cosa è stato possibile scoprire al follow up? Una significativa riduzione media della frequenza delle crisi epilettiche rispetto al basale, con percentuali particolarmente soddisfacenti tra la popolazione di età infantile.
Questo studio, come sottolineato nella conclusione dello stesso, fornisce ulteriori prove per quanto riguarda la riduzione della gravità delle crisi e della loro frequenza a un follow up di due anni e a seguito della somministrazione di CBD altamente purificato.
La somministrazione di questo fitocannabinoide è stata mediamente ben tollerata. Solo un’esigua percentuale di partecipanti ha infatti avuto effetti avversi che hanno reso necessaria l’interruzione dell’assunzione.
Questo lavoro scientifico – ma anche diversi altri studi, tra i quali è possibile chiamare in causa una ricerca del 2020 che si è concentrata sugli effetti sulle funzioni cognitive e sulle capacità adattive di un campione di soggetti pediatrici con epilessia farmaco resistente trattati per un anno con CBD – riapre il dibattito in merito all’approvazione nel nostro Paese di farmaci come l’Epidiolex definitivamente approvato dall’AIFA nel giungo 2021 ed oggi rimborsato dal sistema sanitario nazionale per specifiche forme rare di epilessie farmacoresistenti. Lo status quo, infatti, ha visto un improvviso cambiamento a seguito della sospensione del decreto che considerava i farmaci contenenti CBD alla medesima stregua delle sostanze stupefacenti.
Le prospettive future sono molto chiare: l’obiettivo della comunità scientifica è sia quello di vedere l’immissione in commercio dei farmaci, sia di testare gli effetti del cannabidiolo su altre forme di epilessia refrattarie ai trattamenti farmacologici. Giusto per fare un esempio, ricordiamo quella da sclerosi tuberosa, malattia multisistemica che si contraddistingue per un quadro clinico caratterizzato dalla formazione di amartomi – masse anomale di tessuto disorganizzato ma con peculiarità benigne – a livello di diversi organi e tessuti del corpo.
I dati preclinici relativi alle convulsioni tonico-cloniche sono molto incoraggianti sia nella popolazione adulta, sia in quella infantile. Non resta che vedere cosa riserverà il futuro per capire l’impatto di una pianta straordinaria su una delle patologie più invalidanti in assoluto.