Né con Putin né con la NATO ma accanto ai popoli. “Filosofia in Agorà”: il cammino per pace in Europa con don Tonino Bello

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Don Tonino Bello per la pace
Don Tonino Bello per la pace

Bisogna essere chiari su questo punto: essere per la pace tra Ucraina e Russia, manifestare per la pace significa, in questo particolare frangente, non stare né dalla parte di Putin né dalla parte della NATO, ma significa anche deprecare la scelta del Governo italiano che, mentre noi siamo in piazza a commuoverci con i nostri studenti e le nostre studentesse per l’enorme massa di profughi disperati che preme verso l’Europa, decide di armare la mano delle milizie ucraine mediante l’invio di mezzi, materiali ed equipaggiamenti militari ai generali dell’alleanza atlantica, che dovranno poi distribuirli all’esercito di Zelensky.

Non sono nemmeno i 110 milioni di euro a fondo perduto che Mario Draghi ha trovato e inviato a Zelensky per aiutare la popolazione ucraina ad indignarci, perché siamo assolutamente vicini agli uomini, alle donne e ai bambini che subiscono l’aggressione. Tuttavia, ci addolora il fatto che contemporaneamente l’Italia alimenti la spirale della violenza con l’invio di strumenti di morte come missili, mitragliatrici che, come ammoniva don Tonino Bello, rivolgendosi al fratello che lavora in una fabbrica di armi «sia pure inconsapevolmente, tu [l’Italia] collabori a seminare la morte sulla terra […]. Come se, dirottando in zone più tranquille gli strumenti di guerra, non rimanesse sempre in piedi la stessa logica distruttiva»[1].

E, allora, in questo momento drammatico non è nemmeno il caso di prodursi in sottigliezze relative alle motivazioni assurde con le quali abbiamo inviato le armi, vale a dire quelle clausole presenti negli artt. 3 e 4 del Trattato nordatlantico che permettono di intervenire in difesa delle nazioni aderenti «ogni volta che, nell’opinione di una di esse, l’integrità territoriale, l’indipendenza politica o la sicurezza di una delle parti fosse minacciata». E non è tanto il fatto che ad oggi l’Ucraina non appartenga alla NATO ad indignarci, ma che oggi stiamo mandando armi all’Ucraina per difendere l’integrità territoriale di uno Stato che ha negato ad una sua regione di lingua e cultura diversa, il Donbass, il principio di autodeterminazione dei popoli, che è stato uno dei punti cardine, un principio sacrosanto proprio dell’asse nordatlantico, affermato sin dall’8 gennaio del 1918 dal presidente americano Woodrow Wilson, decretando così l’ingresso degli USA nel primo conflitto mondiale.

Sarà che le popolazioni del Donbass, separatiste filorusse, che si erano già espresse favorevolmente con un referendum per l’indipendenza nel 2014, non abbiano simpatie per l’Unione Europa e la NATO, a differenza dell’Ucraina?

Gioverà ricordare che nel 1991 nella polveriera dei Balcani la richiesta di indipendenza della Croazia inviata alla Serbia, diversamente da quella inviata dalla Slovenia, non venne accettata. La secessione della Croazia non poteva essere accettata dalla Serbia a causa di vecchi rancori che con il comunismo di Tito erano stati placati. Si trattava di fastidiose scaramucce tra nudi e crudi nazionalismi mai sopiti, tra ustascia, cioè clerico-fascisti antisemiti croati, alleati dei nazisti durante la Seconda guerra mondiale, e cetnici, cioè fascisti ultranazionalisti monarchici della stessa pasta degli ustascia, solo che avevano la particolarità di essere di nazionalità serba…si sa, quando ci sono di mezzo i nazionalismi e i sovranismi si va a finire sempre così!

Quando la richiesta di indipendenza della Croazia e della Slovenia giunse sul tavolo della Comunità Economica Europea (CEE), l’antesignana dell’Unione Europa, verificati alcuni requisiti, tra cui la garanzia del rispetto dei diritti umani da parte dei più irrequieti (gli ustascia, ad esempio!!!), la CEE non ebbe alcun problema a ratificare il riconoscimento della loro indipendenza nel gennaio del 1992. E, quando nel marzo dello stesso anno la Bosnia, che tramite referendum aveva decretato la sua secessione dalla Serbia, inviò la richiesta di riconoscimento alla CEE, quest’ultima accettò quasi immediatamente, e senza condizioni, di ratificare l’indipendenza[2].

In quella situazione così confusa, con una pulizia etnica in corso su tutti i fronti, con atrocità reciproche messe in campo da parte di croati, serbi e bosniaci, l’ONU si mostrò contraria ad ogni tipo di intervento militare perché, evidentemente, sarebbe stato un intervento marcatamente partigiano. La NATO, al contrario, nell’agosto del 1995 decise con l’operazione “Forza Deliberata” di colpire duramente la Repubblica Serba di Bosnia ed Erzegovina, che era supportata all’epoca di Russia e Ucraina insieme. L’intervento NATO piegò definitivamente Belgrado e la Serbia, che si era resa responsabile nel 1994 e nel 1995 di due bombardamenti sul mercato di Sarajevo, città rimasta sotto assedio per quattro lunghi anni.

E proprio da Sarajevo, superando tutte le violenze e le motivazioni in campo, vogliamo far ripartire la nostra speranza per la pace, ricordando quel viaggio che nel dicembre 1992 don Tonino Bello con altri 500 uomini e donne di pace intraprese da Ancona per raggiungere, tra mille difficoltà, la capitale bosniaca, chiedendosi: «Ma che cosa è mai questa guerra assurda, dalla quale, nonostante gli approcci con persone competenti e le mille informazioni che vado raccogliendo qua e là tra la gente, non riesco a spiegarmi le ragioni profonde[3].

[1] Don Tonino Bello, La teologia degli oppressi, Manni Editore, Lecce 2003, pp. 127-128.

[2] Cfr. S. Pace, G. Olivetta, Cronache della storia, Marco Derva Editore, Napoli 1993.

[3] Don Tonino Bello, La teologia degli oppressi, cit., p. 202.


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a cura di Michele Lucivero

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