Con il reddito di cittadinanza è in gioco l’immobilità sociale

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Quando l’anno scorso si cominciò a considerare inevitabile una vittoria del M5S, ci fu più di uno che cominciò a commentare: “Questa storia finirà con una bella patrimoniale!” Ma poi, la legge elettorale, il Rosatellum, non ha permesso veri trionfi e complete débâcles. E dopo il matrimonio per interesse del Movimento 5 Stelle con la Lega, si erano tutti acquetati: della patrimoniale, non aveva più paura nessuno. Invece della flat tax che, così com’era stata formulata al principio avrebbe sottratto all’erario una valanga di miliardi, neppure uno si preoccupava, se non collegandola alla cancellazione della Fornero e l’adozione del reddito di cittadinanza.


Ora dalla Lega agli altri partiti tradizionali è tutto un fiorire di dubbi sul reddito e sulla pensione di cittadinanza. I pochi soldi in più che potrebbero essere dati ad un invalido o ad uno con un trattamento di quiescenza al minimo, fanno scalpore. Ci si indigna se viene dato un euro a chi è disoccupato, a chi avrebbe bisogno di tempo e di risorse per formarsi e per trovare lavoro. Ecco, dunque, che persino il padrino, Luigi Di Maio, è costretto a chiarire che non si tratta di un aiuto per stare sul divano, che i fancazzisti saranno scovati, che i soldi della collettività saranno ben spesi. Per Dio! La flat tax non fa tanto rumore quanto quello di una miseria che permetterebbe a molti di sopravvivere. Allora il popolo italiano è proprio in galera, allora viviamo il paese più iniquo dell’Occidente.

Eh già, perché in tutto l’Occidente, con eccezioni all’italiana (la Grecia), si è adottato senza battere ciglio questa forma di sostegno al reddito, perché in tutto l’Occidente si crede che ci debba essere un limite al gioco sociale al massacro, si crede nella dignità umana ad un certo punto inviolabile. Invece, la classe dirigente nostrana non è contenta del provvedimento, e si sbraccia per non concedere questo “favore” alla povera gente, per non regalare guadagni a chi non ha meriti. E allora andiamo a vederli questi meriti dei padroni, andiamo a vedere perché non vogliono aprire il portamonete.

Se lo Stato, quale espressione dei dominanti, è un motore continuo di trasferimento della ricchezza dalle classi più povere a quelle più ricche, in Italia lo Stato l’ha addirittura creata la classe padronale. Il capitalismo casereccio è nato da una colletta forzata a suon di baionette negli anni appena successivi all’Unità, e l’enorme ricchezza privata italiana ha avuto nel debito pubblico e nei suoi interessi, i migliori contribuenti. Altro che opinioni marxiste: da noi più che altrove la proprietà privata è un vero furto. E da noi più che altrove le politiche degli ultimi decenni hanno bloccato la mobilità sociale.

Altrove, invece, dove spesso i nostri giovani riescono a trovare una collocazione, ci sono tasse patrimoniali non ridicole, tasse di successioni consistenti, e veri sostegni al reddito. Ma la filosofia che anima certi paesi è diversa. No, niente paura, non sono comunisti! Sono solo società attente alla sorte dei singoli cittadini; sono paesi coscienti che la ricchezza nazionale è prodotta anche da chi è momentaneamente escluso dal lavoro, proprio perché ha fatto posto ad un altro, ed è pronto in ogni momento a subentrare. Da qui, sognare una società, uno Stato, che prendano in carico il cittadino dalla nascita, che lo formino e lo facciano lavorare, che gli prendano le tasse quando è attivo e gliele rendano quando non lo è, da qui, potrebbe addirittura risorgere la mobilità sociale, quell’ascensore bloccato dai vincitori, che sanno quanto sia pericoloso dare soldi ai poveri, quanto sia rischioso per loro restituire l’effettiva cittadinanza.

Una società così sognata avrebbe tutto l’interesse a fa lavorare tutti i suoi cittadini, a tenerli attivi il più possibile, assicurando la sua ricchezza. Ma questo causerebbe una concorrenza maggiore che solo il lavoro può generare, e i ricchi potrebbero perdere i vantaggi acquisiti. Ecco, i vantaggi, che spesso chiamano diritti: quegli espedienti che determinano la disuguaglianza a cui sono tanto affezionati. Ma non si scandalizzano se uno di loro riceve contributi che non ha mai versato, se va in pensione a 40 anni, se anche suo nipote può beneficiare della sua rendita, se il proprio vitalizio è pari 20 salari correnti, se decide per proprio conto l’ammontare del suo stipendio, se per lui non esiste il licenziamento, la decadenza dai pubblici uffici, se a loro appartiene il tasso di criminalità più alto, se i giudici non danno loro mai torto, se non sono mai in galera… Ecco perché non vogliono il reddito di cittadinanza, perché non vogliono pagare per giocare con qualche carta scoperta una partita truccata, non vogliono rigiocare una partita già vinta.