“Quando sarà rifatto lo Stadio Menti?” mi chiede la lettrice M.C.C. e aggiunge: “Non sarebbe meglio costruire un impianto in periferia?”. La vicenda del nuovo stadio della città è emblematica di come non si risolvano mai i problemi a Vicenza e si preferisca la strada dei progetti che poi restano sulla carta. È stato così, ad esempio, per il teatro comunale, c’è voluto mezzo secolo per tirarlo su.(qui la rubrica “Poggi risponde ai lettori“, per inviare domande cliccate qui, ndr)
La situazione è questa: lo Stadio Romeo Menti è di proprietà pubblica, lo ha costruito il Comune nel 1935 in un’area (parimenti pubblica) che, all’epoca, era stata destinata agli impianti sportivi pur essendo attraversata da due fiumi. Di qua c’era la GIL, di là lo Stadio Littorio. Le dimensioni ben più ridotte dell’abitato negli Anni Trenta del secolo scorso spiegano la localizzazione delle strutture a ridosso del Centro Storico. Allora era periferia.
Il Littorio nasce come impianto pubblico come tutti gli stadi italiani coevi. Il Fascismo considera il calcio un potente veicolo promozionale, ne statalizza l’apparato organizzativo e vara un piano di costruzione di nuovi impianti di medio-grandi dimensioni.
Lo Stadio vicentino, dopo quasi novant’anni, è tutt’ora di proprietà comunale. Da sempre il Comune lo dà in concessione (praticamente esclusiva) alla principale società calcistica cittadina e – in quanto proprietario – si accolla i costi della manutenzione straordinaria. Sarebbe interessante sapere quant’è costato ai cittadini, che non sono tutti appassionati del Vicenza, mantenere in condizioni adeguate lo Stadio Menti in nove decenni.
Mi ha sempre meravigliato che nessuno, né cittadini né politici, abbia mai eccepito sulla linea di tutte le amministrazioni che si sono succedute di finanziare con soldi pubblici un impianto che è, di fatto, appannaggio di una sola società sportiva, per di più professionistica. La quale paga (o dovrebbe pagare) a fronte della concessione dello stadio un canone che è comunque irrisorio rispetto ai ricavi che il concessionario ottiene dall’utilizzo dell’impianto. L’unica spiegazione che mi sono dato è che la cosa è talmente radicata da essere considerata normale e scontata, anzichè una anomalia. E, per quanto riguarda i politici (di maggioranza e opposizione), nessuno di loro si metterebbe contro un totem come la squadra biancorossa rischiando di perdere fior di voti.
L’esigenza di uno stadio nuovo risale a trent’anni fa. Il Menti era già vecchio e inadeguato allora, figuriamoci adesso. La soluzione del problema è sempre oscillata attorno a due poli: nuovo impianto periferico o ricostruzione/ristrutturazione del Menti? In ogni caso si tratta di un business perché, con un impianto fuori città, si valorizzerebbero aree con diversa destinazione d’uso e quindi, convertendole a quella sportiva-commerciale, se ne otterrebbe una grossa rivalutazione. Nel caso, invece, di mantenimento nella zona attuale si mirerebbe ad ottenere un’area semicentrale molto estesa (quella occupata dall’ex-Antistadio) da utilizzare per costruirvi edifici commerciali residenziali e di servizio. E pure questo sarebbe un bell’affare. In capo al Comune, però, resterebbero tutti i problemi di viabilità, parcheggi, sottostrutture e gli oneri legati all’ordine pubblico in occasione delle partite.
Finora non si è parlato mai di stadio privato, che è la formula prevalente all’estero e che fatica a trovar spazio in Italia, e il progetto vicentino è incardinato su una collaborazione pubblico-privato. Soprattutto nel caso di riqualificazione del Menti. Il Comune manterrebbe la proprietà del suolo e la società sportiva si accollerebbe i costi di progettazione e realizzazione dello stadio, ricevendone in contropartita la concessione a lungo termine (cinquant’anni? cento?). Il corollario sarebbe lo sfruttamento dell’Antistadio, che è il vero business.
È del tutto evidente che un progetto di questo tipo avrebbe senso solo con la prospettiva, quanto meno, di un Vicenza in Serie A. Per la B o la Lega Pro nessuno spenderebbe un centesimo per rifare lo stadio, perché solo con una stabile presenza nella massima serie si realizzerebbero le condizioni per ottenere, dal solo utilizzo dell’impianto, ricavi extra valutabili fino a un venticinque per cento in più. La trentina di giornate di utilizzo all’anno dovrebbero moltiplicarsi con attività non calcistiche e con la frequentazione di nuove strutture interne tipo ristorazione, negozi, palestra, museo.
Quindi togliamoci dalla testa che un nuovo Menti sarebbe un gesto di mecenatismo da parte del privato, è bensì un affare vero e proprio. C’è da capire quale sarebbe per la città il reale vantaggio di un’operazione di questo tipo. Non lo sa nessuno, temo.
Ho dovuto fare questa lunga premessa per dare risposte motivate alle domande della lettrice. Alla prima rispondo che, per sentir riparlare concretamente di nuovo Menti, si dovrà aspettare che il Vicenza torni in Serie A o, quanto meno, ci siano le concrete condizioni per una promozione di lì a un paio d’anni. Non credo, poi, sia il caso di spostare l’impianto fuori città, anche se sarebbe urbanisticamente ragionevole, perché, da un lato, è troppo profondo il radicamento nella cultura popolare di questo stadio lì e solo lì e, dall’altro, non c’è più la necessità di costruire impianti nuovi da trentamila posti e, quindi, un Menti più piccolo ma meglio strutturato e servito potrebbe tranquillamente continuare a restare dov’è.