Buoni postali serie P/Q, Libero Giulietti (legale, consulente Aduc): la vicenda è chiusa

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Buoni postali serie P/Q
Buoni postali serie P/Q

Con apposito Decreto del Ministro del Tesoro del 13 giugno 1986, venne istituita, a partire dal luglio del 1987, una nuova serie di Buoni Postali Fruttiferi identificata con la lettera “Q” – si legge nella nota che pubblichiamo a firma dell’Aduc (qui altre note dell’Associazione per i diritti degli utenti e consumatori su ViPiu.it, ndr) –.

Il decreto prevedeva che, stante l’assenza di moduli specifici relativi ai Buoni postali appartenenti alla nuova serie Q (non ancora stampati dal Poligrafico dello Stato), si sarebbero potuti provvisoriamente utilizzare i moduli relativi alla precedente serie P modificando questi ultimi mediante l’apposizione di due timbri:

– uno sulla parte anteriore con la dicitura “SERIE Q/P”;

– l’altro sulla parte posteriore recante la misura dei nuovi tassi.

Orbene, il timbro predisposto allo scopo da Poste indicava il tasso applicabile ad ogni periodo di 5 anni, a partire dall’8% del primo quinquennio (anni 1-5), per passare al 9% del secondo quinquennio (anni 6-10), quindi al 10% del terzo quinquennio (anni 11-15) e, infine, al 12% del quarto (anni 16-20mo).

La durata dei Buoni in questione, tuttavia, non era limitata a 20 anni come la formulazione del timbro faceva ritenere, ma era di 30 anni, il che comportava che la restante vita decennale del titolo restava priva di disciplina. Come detto, il timbro apposto non mostrava i tassi da applicare negli ultimi 10 anni (dal 21mo al 30mo).

L’Arbitro Bancario Finanziario – affermando con ciò di aderire a Cass. sez. un. n. 13979 del 2007 – nelle decisioni seriali relative con cui aveva definito il contenzioso insorto in proposito aveva costantemente ritenuto che il Buono recante il timbro anzidetto non fosse conforme alla previsione del decreto ministeriale istitutivo stante la divergenza– dovuta alla incompletezza del timbro stesso – fra Buono e Decreto istitutivo in ordine alle condizioni di tasso.

In assenza di tale conformità, secondo l’Arbitro, si doveva dare prevalenza al contesto letterale del documento che – nella parte stampata e preesistente alla apposizione del timbro – recava, invece, la disciplina dell’ultimo decennio di vita del titolo. In pratica, dal momento che sui moduli utilizzati compariva ciò che il timbro non diceva e cioè le condizioni applicabili all’ultimo decennio, si doveva fare applicazione di queste ultime nonostante fossero relative alla precedente serie “P”.

Due recenti ordinanze della Cassazione – n. 4384 e n. 4751 del 2022 – in gran parte identiche fra loro, hanno negato la correttezza di questo orientamento dell’Arbitro Bancario Finanziario così in pratica spazzando via, in un colpo solo, l’enorme contenzioso seriale che sul tema si era generato con decisioni alle quali Poste non avevano dato esecuzione.

In realtà, a sommesso avviso di chi scrive, il timbro era “fatto male”, incompleto e fuorviante perché non prendeva in considerazione gli ultimi 10 anni della vita del titolo; se questo è vero, la sostituzione di regimi – il nuovo regime recato dal timbro al posto del vecchio recato dalla stampa – che la recente Cassazione afferma essere avvenuta, in realtà non può essere avvenuta.

Tale sostituzione poteva avvenire, ed è avvenuta, solo per i primi 20 anni perché solo questi erano indicati dal timbro. Nè si può ragionevolmente ritenere che un qualunque sprovveduto risparmiatore avrebbe dovuto desumere (da dove?) che il tasso di interesse previsto per il quarto quinquennio si sarebbe perpetuato anche nell’ultimo decennio di durata del titolo o, addirittura, che avrebbe dovuto andarsi a guardare il regime dei tassi indicato sul provvedimento ministeriale istitutivo della serie e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale.

La contraddittorietà e duplicità dei regimi di tasso che implicava l’orientamento dell’Arbitro Bancario non è altro che una conseguenza dell’errore compiuto allorché non si è provveduto alla indicazione del tasso dell’ultimo decennio; tale conseguenza non era certo imputabile al risparmiatore controparte del negozio.

Ciò detto, peraltro, non si può che essere d’accordo con la Corte di legittimità laddove afferma la assimilabilità dei Buoni Postali ai titoli del debito pubblico il che impone imprescindibili esigenze di bilancio dello Stato.

E non si può, ragionevolmente, dubitare del fatto che “sarebbe invero arduo guardare ai buoni postali fruttiferi …..come ad una sinistra operazione speculativa destinata a pesare sull’ignaro ed indifeso sottoscrittore”. In sostanza il risparmiatore non si può certo lamentare se, oltre agli altri vantaggi connessi con i BFP, percepisce un tasso del 12% quando, in questo periodo o nel recente passato, i tassi sono stati ai minimi termini se non addirittura negativi.

Per quanto riguarda le conseguenze pratiche derivanti dalle decisioni di cui sopra, non c’è dubbio che le numerose decisioni già emesse dall’Arbitro Bancario Finanziario resteranno inadempiute; per quanto riguarda eventuali nuove vertenze è quasi certo che l’Arbitro Bancario Finanziario e le Corti di merito si adegueranno al principio fissato dal giudice di legittimità col risultato che, in generale, il contenzioso esistente e potenziale verrà azzerato.

I risparmiatori sono avvertiti.

Libero Giulietti, legale, consulente Aduc