Nel sito dell’Osservatorio indipendente di Bologna morti sul lavoro curato da Carlo Soricelli si può leggere: “18 aprile 2022. A oggi ci sono stati dall’inizio dell’anno 365 lavoratori morti sul lavoro: di questi 189 hanno perso la vita sui luoghi di lavoro: escluso itinere, (ma non ci sono ancora i dispersi delle Grimaldi che sembrano spariti nel nulla), i rimanenti sulle strade e in itinere. L’Osservatorio monitora anche i morti tra i 4 milioni di lavoratori non assicurati all’INAIL e i morti in nero.”
Di fronte a questa notizia, cosa si può dire se non che è necessario almeno continuare a denunciare e informare? E ringraziare Carlo Soricelli per il prezioso lavoro che porta avanti?
Ci troviamo di fronte a una tragedia sottaciuta, addirittura ignorata da chi dovrebbe occuparsene e tentare, almeno, di contrastarla. Purtroppo, per troppi personaggi illustri (il riferimento è a chi occupa le poltrone del governo e del parlamento e a quelli che comandano e gestiscono la “grande informazione”) i morti sul lavoro non contano, ci sono ben altre questioni evidentemente per loro più importanti … una per tutte, il riarmo.
La decisione di aumentare le spese militari di svariati miliardi sarà a scapito di investimenti nell’istruzione, nella sanità pubblica, nelle politiche per il lavoro che, infatti, subiranno tagli drastici. Scelte che dimostrano come gli infortuni, le malattie professionali, i morti sul lavoro siano frutto di una ideologia che dà priorità al profitto individuale e privato che viene prima, molto prima, dei più elementari diritti e bisogni di chi vive del proprio lavoro. Il lavoro, infatti, è sempre più precario e mal retribuito. Chi lavora, per arrivare a fine mese, deve faticare, “correre”, “essere competitivo”. E deve accontentarsi delle briciole che cadono dalla tavola di “lorsignori” che deve ringraziare per questo nonostante i salari bassi, le condizioni di lavoro insufficienti a garantire sicurezza, gli orari sempre più stressanti. In una situazione come quella che si vive, è facile (bisognerebbe dire inevitabile) prestare meno attenzione ai pericoli, bisogna farsene una ragione, anzi, non si deve neppure pensare. Del resto, per chi comanda, il mondo deve andare così: enormi ricchezze in mano (nelle tasche e nelle banche) di pochi, miseria nelle pance di troppi.
Viviamo in un meccanismo che ci induce nell’attesa di qualche cambiamento che può arrivare solo dall’alto, da chissà dove, e alla rassegnazione. Pensiamo spesso che quello nel quale viviamo sia l’unico sistema possibile e che “non si possa fare niente”.
E, invece, noi dobbiamo fare. Non c’è altra soluzione se non progettare un modello alternativo, agire per attuare la Costituzione, per battere la deriva che il nostro paese, assieme a troppi altri, ha intrapreso da ormai troppo tempo. In una parola, lottare.