Perché la crisi in Pakistan deve interessarci: ce lo motiva Annapaola Laldi, consulente Aduc

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“Ho 18 anni appena compiuti […] e frequento la classe quarta al Miche, e, se posso delineare un mio futuro, posso solo dire che sarà la scrittura: il mio sogno è essere uno scrittore – nell’accezione più ampia del termine -, raccontare il mondo attraverso la scrittura, qualunque sia il mio futuro universitario”.

Così risponde alla mia domanda su qual è l’attività o la professione, da cui si sente attratto, Federico Spagna, studente del “Miche” (per i non fiorentini: “Liceo Classico Michelangelo”, istituito nel 1898).

Ho conosciuto il suo nome e i suoi scritti, pubblicati sul “Michepost” , di cui Federico Spagna è vicedirettore, grazie a una mia ben più giovane amica che me lo ha fatto scoprire qualche settimana fa, mentre parlavamo delle persone, tra cui purtroppo anche parecchi giornalisti, che scrivono in un italiano cialtronesco. E, come esempio di un ragazzo che, invece, scrive bene, mi citò proprio questo giovane liceale, invitandomi a leggere l’articolo, che condivido qui sotto con i passanti che troveranno tempo e curiosità per soffermarsi un pochino. E in effetti è stata una bella scoperta.
Pubblico qui l’articolo sulla crisi di governo in Pakistan dei primi di aprile, perché, anche se siamo già a un mese circa di distanza, secondo me dimostra, a parte l’ottimo italiano, anche una apertura mentale verso Paesi “lontani” dal punto di vista geografico e culturale, ma non per i possibili effetti sulla nostra stessa vita. E anche se, forse, non  si è mostrato (ancora) in modo eclatante l’effetto intravisto da Federico Spagna, cioè quello di  indebolimento di Putin per lo spodestamento di un primo ministro pakistano a lui favorevole,  l’articolo rivela, comunque, la capacità di cogliere novità interessanti, di documentarsi appropriatamente e di ragionarci sopra.
Propongo, quindi, di seguito, l’articolo “Perché la crisi in Pakistan deve interessarci” (1)

Perché la crisi in Pakistan deve interessarci
Federico Spagna, 13 Aprile 2022

Da domenica 10 aprile, Imran Khan non è più il primo ministro del Pakistan. Il parlamento ha votato una mozione di sfiducia contro il suo governo, e ora al potere c’è il leader dell’opposizione, Shehbaz Sharif. Chiariamo subito un aspetto: in Pakistan, chi governa l’esercito, governa il Paese. Khan aveva perso l’appoggio delle forze militari ormai da tempo, e la sfiducia al suo governo è solo la tappa finale di un lungo percorso.
Ma come si è arrivati a questo punto? E perché una crisi politica in Pakistan – che ci sembra così lontano e così trascurabile – deve interessarci?

Cos’è il Pakistan
Dubbio, forse, banale e insultante da porsi. Ma per capire questa crisi politica, meglio non dare niente per scontato. Anche perché le cause profonde di questa crisi sono di natura geografica.
Il Pakistan è un paese dell’Asia meridionale, è il quinto Stato al mondo per popolazione (oltre 220 milioni di abitanti), a maggioranza islamica, e si trova per l’appunto incastonato in una posizione scomoda che, credo, nessuno vorrebbe gestire. A ovest c’è l’Afghanistan tornato in mano ai talebani, mentre a nord e a est incombono le due superpotenze da un miliardo di abitanti ciascuna: Cina e India – “Cindia”.
Un po’ in Pakistan, un po’ in India, e anche un po’ in Cina, c’è la regione del Kashmir, contesa da anni tra Pakistan e India. La situazione si presenta così: una terra sacra per due religioni – islam e induismo – dove la maggior parte degli abitanti è musulmana, ma che è per gran parte governata da uno stato a maggioranza induista – l’India – che, negli ultimi anni, col primo ministro Narendra Modi, ha inasprito le politiche islamofobe.

La regione del Kashmir
Per questa sua vocazione di stato cuscinetto – compito tradizionalmente ingrato –, il Pakistan ha fatto, negli ultimi venti anni (dall’11 settembre a oggi), da base di appoggio per gli Stati Uniti alla lotta al terrorismo islamico afghano. E, parallelamente, da canale tra la Cina e i paesi islamici. Per cui, il Pakistan si è sempre trovato a dover gestire una situazione di equilibrio tra le due potenze. Tanto più da vent’anni a questa parte, ché la Cina è diventata la seconda economia mondiale.
Mantenendo, nel frattempo, un silenzioso stato di belligeranza costante con l’India.

Il ruolo dell’esercito, in breve
In Pakistan l’esercito ha un peso politico come forse in nessun altro paese al mondo. La prof.ssa Elisa Ada Giunchi, in uno studio per l’ISPI, sottolinea come già in epoca coloniale il Pakistan fosse terra di reclutamento di soldati, visto che agli inglesi conveniva addestrare gente del Punjab, molto più vicino, rispetto all’India, all’ambìto Afghanistan. Una tradizione bellica che si è mantenuta nel Novecento, coi militari che erano al tempo stesso élite economica e, diciamo, muscolare: dalla loro hanno sempre avuto denaro e armi, il che vale a dire potenza golpista, prima, ed elettorale, poi. Le spese militari del Pakistan sono sempre state altissime (fino a raggiungere un picco del 20% del Pil negli anni ’90). Il tutto col beneplacito di una popolazione terrorizzata dalla minaccia indiana. L’esercito comanda perché ne è in grado, e perché così vuole, e pensa che sia lecito, lo stesso popolo pakistano.

Gli “errori” di Khan
Su pressione dell’esercito pakistano, il parlamento ha tolto la fiducia al governo di Khan per le sue politiche nazionalistiche di forte avvicinamento alla Cina in funzione anti-indiana. Un principio elementare dei rapporti di potere afferma che, se A e B sono entrambi nemici di C, conviene che A e B si alleino. E così Pakistan e Cina hanno fatto, con Khan e Xi al potere, contro l’India.
L’establishment militare non ha potuto consentire questo forte sbilanciamento sulla Cina a danno dei rapporti con gli Stati Uniti. Ché poi, questo sbilanciamento sulla Cina, ha portato ad un effetto domino di alleanze che hanno compromesso ulteriormente la posizione di Khan. Una su tutte, quella con la Russia di Putin: Khan era a Mosca il 24 febbraio, poco prima dell’invasione dell’Ucraina. Interessante vedere come, mentre i leader europei Macron e Scholtz sono stati posizionati a grande distanza da Putin, a Khan è stato riservato un trattamento abbastanza diverso.

Il Pakistan, nella persona di Khan, si è sempre dichiarato neutrale in merito alla guerra, senza condannare il gesto di Putin, mentre gli alti funzionari dell’esercito si sono espressi in maniera opposta. È da questo conflitto immediato che si è innescata la crisi di governo: il parlamento ha presentato una prima mozione di sfiducia, Khan, sicuro di perdere, ha sciolto il parlamento, ma la Corte Suprema pakistana ha dichiarato il suo gesto incostituzionale, costringendolo al confronto e alla conseguente sconfitta.

Conclusioni
La crisi di governo in Pakistan colpisce soprattutto una figura: Vladimir Putin. Il presidente russo perde un importante alleato, Imran Khan, in uno dei paesi più importanti e strategici dell’Asia meridionale. A uscirne più forti sono ovviamente gli Stati Uniti. Illesa, invece, è la Cina, che ha buoni rapporti col nuovo primo ministro Sharif, noto per essere il fratello di Nawaz Sharif, già primo ministro del Pakistan per tre volte, fautore anch’egli di una politica di avvicinamento, molto più moderato, a Pechino.
A noi tutto ciò deve interessare – e questo è sicuramente l’aspetto più egoistico ed eurocentrico – perché Putin, che ha iniziato una guerra alle porte dell’Occidente, oggi, forse, a livello di sostegno internazionale, è più debole”.

Federico Spagna Studente del “Michelangelo”

1 – https://www.michepost.it/perche-crisi-in-pakistan-deve-interessarci/

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Annapaola Laldi, consulente Aduc