Nel 774 Vicenza cambia padrone. Dopo due secoli, la città passa dai Longobardi ai Franchi. La soggezione dei vicentini a poteri esterni non ha soluzione di continuità: solo la originaria popolazione venetica è riuscita a mantenere la propria indipendenza, poi si sono succeduti Romani, Ostrogoti, Bizantini e Longobardi (qui tutte le puntate di “La Vicenza del passato”, ndr).
Da otto secoli Vicenza è tributaria di amministrazioni esterne, talvolta assoggettandosi volontariamente in cambio di una parziale autonomia (com’è successo per la iniziale alleanza con la Repubblica di Roma) ma, dopo la caduta dell’Impero, è obbligata a sottomettersi ai barbari a cui non è in grado di opporsi e dai quali nessuno la difende.
La soggezione, però, non danneggia i vicentini. Con i Romani la città si è trasformata da villaggio in centro urbano dotato di edifici e strutture pubbliche importanti e, soprattutto, ha acquisito stabilità e sicurezza che le hanno portato crescita demografica ed economica. Questo status dura per tutta la convivenza con l’Impero e si prolunga anche dopo la caduta di quello e durante le occupazioni barbariche.
Vicenza esce più debole ma non abbattuta dalla fine dell’Impero Romano
Vicenza è risparmiata da occupazioni violente e distruttive e gli invasori rispettano le strutture urbane esistenti, sia quelle edilizie che quelle amministrative, lasciando in buona parte inalterata la identità locale. Intanto, però, tutt’attorno le cose cambiano in misura pesante sotto l’influenza di guerre, epidemie, decadenza e impoverimento. Altre città subiscono ben altra sorte: Padova rischia di scomparire, i centri del litorale si spopolano sotto la pressione degli Unni, le lagune malsane e disabitate ospitano nuovi insediamenti.
Dopo la guerra greco-gotica, alla fine del VI secolo, anche Vicenza è spopolata e impoverita come tutta la regione, ma non nella stessa drammatica misura del contesto circostante. Infatti, non solo sopravvive, ma prospera.
Sono soprattutto i Longobardi ad accrescerne il ruolo e il territorio, a modificare l’urbanistica con nuovi importanti edifici pubblici e un parziale ridisegno della viabilità, a consentire grazie a un controllo militare ben diffuso del territorio una ripresa produttiva e, di conseguenza, economica.
La rinascita demografica ed economica con i Longobardi
Nel secondo secolo del Regnum Langobardorum anche nella città berica si attenua la rigida separazione iniziale fra le etnie degli occupanti e degli occupati anche grazie alla mediazione del Cattolicesimo, a cui i barbari si convertono alla fine del VII secolo.
A Vicenza il centro della cultura e dell’organizzazione del territorio diventano i monasteri, in primis quelli benedettini di San Felice e di San Pietro, che ricevono cospicue donazioni fondiarie. In provincia, poi, ci sono le vaste proprietà delle grandi abbazie di San Salvatore di Brescia e di Nonantola. La presenza di questi latifondi comporta la opportunità di un loro sfruttamento economico e, nel vicentino, si può tornare a un’economia di mercato emancipandosi da quella meramente di sopravvivenza. I prodotti tipici del territorio, che già avevano ottenuto fama e diffusione durante l’Impero, sono di nuovo al centro dei commerci. Il boom economico è testimoniato dalla presenza di una zecca a Vicenza: si batte quindi moneta coniata in città.
Il nuovo benessere permette l’abbellimento dei luoghi di culto cittadini. Nella basilica di San Felice e nella cattedrale sono state rinvenuti i resti di questi apporti di età longobarda.
Dai Longobardi ai Franchi. Gaido, ultimo duca, diventa il primo conte franco
Il ducato longobardo di Vicenza è uno dei principali del Regno, tant’è che – pur nella carenza di notizie storiche del periodo – sono stati tramandati i nomi di alcuni duchi della città o da essa provenienti: Peredeo, grande generale morto in combattimento con i Bizantini nel 735 a Ravenna; sessant’anni prima Vettari, longobardo di nascita vicentina, è duca del Friuli; e, infine, Gaido che è l’ultimo duca di Vicenza e si oppone all’invasione dei Franchi insieme con il collega friulano Rotcaudo.
Gaido combatte con tanto valore da meritare non solo l’onore delle armi ma, addirittura, la conferma nel ruolo di governatore di Vicenza nel nuovo ordinamento amministrativo di Carlo Magno. Cambia il titolo, non più duca ma comes cioè conte, ma, in sostanza, fa da ponte nel passaggio da una dominazione all’altra.
Resta in carica solo per due anni perché nel 774 re Carlo è costretto a tornare nei territori appena conquistati per sedare una rivolta capeggiata dagli stessi duchi longobardi che ha lasciato al loro posto. Repressa la sollevazione il sovrano pensa bene di non insistere e sostituisce i duchi infedeli con conti franchi. Anche Gaido è fra i governatori defenestrati e, con la sua uscita di scena, si chiude la storia longobarda di Vicenza. Il potere passa ora dai Longobardi ai Franchi.