22 maggio 1510, eccidio di Mossano: i nemici della Serenissima massacrano oltre 1.000 persone

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Mossano
Mossano

In guerra la bestia umana da sempre il peggio di se stessa, e non occorre certo andare al cinquecento … basti pensare a quanto è successo a pochi chilometri dal Veneto appena trent’anni fa nella guerra della ex Jugoslavia, o a quanto sta capitando nei nostri giorno in Ucraina  …ma quanto è capitato a Mossano  nel 1510 è comunque sconvolgente…

Siamo nel 1510, in piena guerra con la Lega di Cambrai che vede la Serenissima contro le potenze dell’intera Europa, fatta eccezione per l’Inghilterra; nella pianura veneta si scontrano gli eserciti della Serenissima e quelli, alleati nella Lega di Cambrai, spagnoli, tedeschi e francesi.

Mossano è un paesino arrampicato sui Monti Berici, fino a qualche anno fa era comune autonomo, ora fa parte di Barbarano Mossano; la parte pianeggiante è situata lungo la Riviera Berica fra Barbarano e Nanto a una ventina di chilometri da Vicenza.

La parte collinare è caratterizzata da una serie di grotte, fra le quali spicca quella chiamata di San Bernardino di grandissimo valore archeologico; in questa grotta fu trovato uno dei focolari più antichi di tutta l’Europa (200.000 anni fa), furono trovate tracce dell’uomo di Neanderthal ; l’industria dei focolari superiori è stata denominata “bernardiniana” proprio in onore a questa grotta.

La grotta è dedicata a San Bernardino da Siena che, secondo la tradizione, si insediò come eremita attorno al 1420-1430.

San  Bernardino da Siena nacque a Massa Marittima  nel 1380 dalla nobile famiglia degli Albizzeschi, francescano, grande predicatore, era spesso costretto a predicare in piazza poiché le chiese non riuscivano a contenere tutti i fedeli, morì a L’Aquila nel 1444 e fu proclamato santo appena sei anni dopo.

Di sicuro in seguito  la grotta divenne eremo e chiesa dedicata a Santa Maria delle Grazie;  nel 1745 era ancora abitata da un frate francescano e nel 1841 utilizzata da un novizio del vicino convento di San Pancrazio.

Questa lunga tradizione eremitica è testimoniata da poche ma significative opere di arte popolare; un affresco di San Bernardino sul muro d’ingresso e un bassorilievo  della Madonna con bambino scolpito sulla roccia all’interno della grotta.

Sul fondo della grotta, secondo la descrizione del Maccà si trovava un altare nel quale, durante la ricorrenza di San Bernardino nel mese di maggio, era posta la statua del Santo portata in processione da Mossano. Questo altare si trovava proprio sopra il deposito sfruttato nel secolo scorso ed è probabile sia andato demolito in quegli anni; nonostante ciò il culto verso San Bernardino rimase vivo ancora per molti anni e così la processione della grotta.

Le date dell’eccidio non sempre concordano, comunque ci si dovrebbe trovare attorno al 22 maggio 1510, in piena guerra contro la Serenissima da parte della Lega di Cambrai;  nel novembre del 1509 Venezia aveva riconquistato Vicenza ma la situazione rimaneva comunque molto fluida, con le truppe dell’imperatore Massimiliano I°, con i francesi e gli spagnoli che si contendevano il Veneto; gli imperiali rientravano infatti in Vicenza nel maggio del 1510.

Va tenuto presente che non si trattava di eserciti organizzati come al giorno d’oggi, ma di truppe che al soldo di questo o quello capitano di ventura si sentivano autorizzati  ad arraffare tutto quello che li capitava sotto mano; per non parlare di “sbandati” a vario titolo che, come tutte le guerre, diventano vere e proprie “mine vaganti” che non rispondono a nessuno e sono avvezzi alle peggiori violenze.

Detto questo quasi tutti attribuiscono l’eccidio ai tedeschi; c’è anche chi addossa la responsabilità a francesi e spagnoli; di certo, poche settimane dopo, l’ambasciatore Valerio Zugliano viene mandato alla corte dell’imperatore Massimiliano I per evitare il ripetersi di simili tragedie …

Anche per quanto riguarda il numero delle vittime, ci sono cifre discordanti; il Caldogno parla di “1200 fra huomini e donne”, Silvestro Castellini “vi si soffocarono più di 2.000 persone”, Cabianca e Lampertico scrivono di “brutalmente vituperate da forse mille e più persone”, padre Maccà “più di due mille persone tra uomini e donne”, mentre il Guicciardini ricorda che “dove è la fama morissero più di mille persone”.

E’ in questo quadro così tragico che la città di Vicenza, dopo aver già subito le peggiori angherie, deve affrontare la nuova invasione delle truppe asburgiche e le minacce del loro comandante principe d’Anhalt che dopo aver depredato il Monte di Pietà  minaccia di “spianare Vicenza” se la città non avesse accettato le sue esorbitanti richieste finanziarie; i soldati intanto “usarono crudeltà inaudite non solo contro gli uomini, ma contro le donne, e gli stessi innocenti fanciulli”

Agli abitanti non resta che cercare la salvezza nelle campagne vicine; prendono le loro poche cose e si dirigono verso la vicina Riviera Berica e in particolare verso le grotte di Costozza e di Mossano che parevano garantire un minimo di sicurezza … purtroppo non fu così …e le truppe tedesche seguendo questi disperati, oppure avvertiti da qualcuno del posto, arrivano alle grotte (o covoli) di Costozza e di Mossano.

Il primo di Costozza è in una posizione difficile da attaccare ed in più ha una possibilità di ventilazione e l’attacco sfuma, nel secondo invece, a Mossano, succede l’irreparabile.

Ecco quanto viene scritto su un manoscritto anonimo attribuito ad Angelo Caldogno in “una cronaca vicentina del cinquecento”.

Quelli che a Vicenza andorono, furono per lo più Thedeschi, sotto il prencipe d’Annault, gl’altri Spagnoli e Francesi, et quelli che a Lignago si aviorono erano tutti Francesi, sotto buoni et esperti capitani, in modo che lo presero, et quello che a Vicenza havevano dissegnato venirse, giunti a Mossan cominciavano ad uccider et far priggioni i contadini, a talche tutti fuggivano, si ché, credendo esser securi quelli di Mossan et circonvicini,  andorono in un covalo del monto di quel loco, con le poche sue povere robbe  e figliolini e donzelle, per fuggir la furia dell’essercito inhumano che vergognavano indifferentemente donne e donzelle. Ma i sagaci Spagnoli di quel campo, tagliata gran quantità di legna et postovi sopra e dentro la porta di quel covalo molta quantità di paglia, datovi il foco, furono soffocati dal fumo, che prima quella morte elessero per manco male ch’esser maltrattati et vergognati da quella canaglia thedesca et spagnola. Et perché a quel loco per il medesimo effetto ricoverato s’era il prete della villa di Mossan, huomo di buona e veneranda vita, ingenochiatossi, dette letanie, et fece far confession generale a tutti ch’erano nel covalo, che doppo’ tutti per il crescer del fumo morirono, eccettuata una figliola che fuggendo fu presa da’ nemici. Et un animoso, forte e robusto contadino che, sprezzata la vil morte del fumo, uscendo con una ronca in mano al dispetto del fumo et del fuoco, con gran diffesa morti più di 15, tra Thedeschi et Spagnoli, volse morir combattendo. Restò viva ancora una piccola putta che, messo havendo il capo fuori d’una fissura del detto covalo che tra duoi sassi stava, restò illesa dalla furia del fumo, le qual due fanciulle testificorono di questo mirabile e lacrimoso evento, il quale, sì come diligentemente intesi da quei dei lochi, avenne al dì 22 di maggio, un giorno di mercordì, ch’erano i tempori con mortalità de 1.200 tra huomini e donne”.

Nato a Vicenza nel 1576 Silvestro Castellini descrive così la tragedia nella sua “Storia di Vicenza”:

a Vicenza “vennero da Verona altri 2.000 Cavalli e 6.000 Fanti Tedeschi, come il solito, senza provvisioni, e senza stipendio, i quali usarono crudeltà inaudite non solo contro gli uomini, ma contro le donne, e gli stessi innocenti fanciulli. E siccome non vi era quanto bastar potesse a saziarli, così avvisati che soli cinque miglia fuori della Città vi erano due Covoli ossia Grotte escavate molto addentro nel sasso, una di Mossano, e l’altra di Costoza, nelle quali, come era solito in tempo di guerra, molti della Città, e del Contado si erano ritirati coi loro effetti più cari, i Tedeschi non tardarono a portarsi colà. Il primo ad essere combattuto fu il Covolo di Costoza; ma quelli di dentro si difesero con tanto valore, che li Tedeschi, non senza qualche loro danno furono obbligati a partire. Di là passarono al Covolo di Mossano molto più accessibile di quello di Costoza, e intimarono agli assediati di arrendersi: questi ricusarono di farlo, ed i Tedeschi che conoscevano troppo pericoloso l’avvicinarsi alla bocca del Covolo, che rea troppo ristretta, e guardata da alcuni prodi guerrieri, pensarono di poter vincere gli assediati col fumo, e ben presto riuscirono nel loro intento: poiché presa grande quantità di legna verde, e collocatala alla bocca del Covolo vi appicarono il fuoco, che, per impedire una troppo rapida combustione, andavano di tratto in tratto estinguendo coll’acqua; così che empiendosi in tal modo di fumo tutta la caverna, vi si soffocarono più di 2.000 persone tra uomini, e donne d’ogni qualità. Allora li soldati entrati nell’interno del Covolo derubarono ogni cosa, e spogliarono perfino li corpi morti contro de’ quali, non s’astennero dall’incrudelire. Alla vista di tanti eccessi, e di tante crudeltà, quei pochi cittadini, che erano rimasti in Vicenza, non vedendo mai fine ai tanti loro mali, minacciati ogni giorno di sacco, di fuoco, di ruina, e di morte se non compivano(ciò ch’era impossibile) il pagamento dell’imposta contribuzione; e considerando di non poter rimediare a si gravi disordini, essendo affatto vano l’aspettar soccorso per parte dei Veneziani, non seppero appigliarsi ad altro miglior partito, che mandare Ambasciatori all’Imperatore Massimiliano, affinché sulla semplice narrazione delle tante calamità, e miserie loro si movesse finalmente a compassione. Abbracciato questo saggio consiglio elessero segretamente per Ambasciatore il loro concittadino Valerio Zugliano.”

Nel mio volume “La Lega di Cambrai e la Serenissima” riporto anche quanto scritto da J. Cabianca e F. Lampertico nel loro “Storia di Vicenza e sua provincia” e da Padre Macca nella “Storia del territorio vicentino” ma in questa sede preferisco evitare di appesantire eccessivamente il mio articolo.

Nella cronistoria del convento di San Pancrazio di Barbarano il tragico eccidio  è così raccontato: “…Le soldatesche dell’esercito imperiale assalirono la grotta di San Bernardino, la più vasta del luogo, già eremo dei francescani del Terz’Ordine, i quali vi dimorarono fintantoché la Veneta Repubblica, con severo bando abolì romiti e romitaggi. All’intimazione di resa fu risposto, come a Costozza, con una scarica di moschettate. Fu allora impegnata una zuffa violenta che permise agli assalitori di guadagnare un ripiano che dalla bocca della caverna mette all’interno di essa. Ivi mantenendosi per qualche tempo gli assalitori accesero un falò immenso di legno e sterpi a cui di tanto in tanto andavano aggiungendo dello zolfo. Nella caverna non ampia né arieggiata, il fumo fece ben presto strage orribile di quanti vi erano rinchiusi”.

Da ricordare che sempre nel 1510 le truppe di Massimiliano I incendiarono a Mossano il palazzo detto “Le Prigioni” i resti del quale si possono visitare anche ai nostri giorni.

Terrorizzati da tanti crudeltà i vicentini mandarono a Massimiliano I° a Innsbruck

il 12 agosto 1510  l’ambasciatore Valerio Zugliano “uomo di molta dottrina amantissimo della patria” proprio per evitare il ripetersi di simili tragedie; non si sa se il suo dotto intervento in perfetto latino fece effetto sull’Imperatore ma almeno simili eccidi non si ripeterono nella nostra terra vicentina.

Concludo con quanto scrive il Guicciardini che sottolinea, come nella tragedia del covolo, diversi sventurati arrivavano da Vicenza in cerca di salvarsi:

…già la città era rimasta quasi vuota di persone  e di robe le quali ricercando la ferità tedesca, inteso che in certo monte vicino a Vicenza erano ridotti molti della città e del Contado con le loro robe in due caverne …I Tedeschi andati per pigliarli, combattuta invano, e non senza qualche loro danno, la caverna maggiore, andati alla minore, né potendo sforzarla altrimenti, fatti fuochi grandissimi la ottennero con la forza del fumo: dove è la fama morissero più di mille persone”.  

Ettore Beggiato      

autore di “La guerra di Cambrai e la Serenissima