Era molto alto l’interesse per la conoscenza delle motivazioni della sentenza con la quale il Tribunale di Treviso aveva condannato Vincenzo Consoli nel processo penale riguardante le vicende di Veneto Banca. Personalmente, appena le ho lette, ne ho tratto una profonda delusione, soprattutto perché, ancora una volta, mi è parso che nessuno abbia ancora fatto il minimo sforzo intellettuale per contribuire a risolvere il problema di fondo tuttora persistente.
Veneto Banca: il giudice conferma tout court impianto accusatorio
A parte singole, ipotetiche e neppure ancora mai emerse, ma solo prospettate, condotte gestionali o strategie di crescita non condivisibili (e, comunque, non tali, da sole, da aver portato la banca a un fallimento, che, fino a poco tempo prima, a nessuno, ma proprio a nessuno, sembrava possibile), qual è stata la vera causa (o la concausa) del disastro (peraltro, non limitato all’Istituto trevigiano)?
Il Tribunale – dopo aver svolto una diligente, ma forse inutile, descrizione notarile delle tappe della vita dell’Istituto – ha confermato l’impianto accusatorio solo sulla base di veri e propri atti di fede, individuati nelle sole testimonianze degli ispettori di Bankitalia, sbrigativamente ignorando le prove di segno contrario, oltre che il rigore logico della sequenza degli accadimenti.
I veri problema della crisi di Veneto Banca e delle popolari
Ma, anche a prescindere da questo aspetto, è evidente che i giudici di primo grado hanno cercato, in tutti i modi, di sfuggire al problema di fondo, totalmente ignorato anche dalla supina Procura della Repubblica trevigiana: quello della valenza causale delle condotte (sbrigativamente) addebitate all’imputato nella creazione del disastroso risultato finale: nulla ha scritto sulle vere vicende produttive dei (tanti e coevi) default bancari che si sono verificati, in quei tre o quattro anni, nel Paese.
Nessun riferimento è stato fatto alle scomposte manovre volute dai decisori europei, che hanno squassato il sistema ed hanno creato – esse sole – gravi crisi nello scenario bancario europeo, per lo sforzo di ridurre forzatamente il numero degli intermediari bancari.
Non un cenno al cd decreto Renzi che, spacciato per riforma urgente delle banche popolari, si è rivelato essere un atto di estrema violenza normativa diretto a far scomparire in pochi mesi le dieci maggiori banche popolari (dopo 150 anni di loro onorato e produttivo servizio per l’economia dei territori, divenuta importante anche per il continuo sostegno di questi Istituti bancari, connotati dal voto capitario, che era uno strumento preordinato ad eliminare i possibili guasti dello strapotere del capitale nel governo dei soggetti erogatori di finanza).
Il ruolo delle banche secondo i decisori
Le banche – secondo le scelte dei decisori – avrebbero dovuto diventare sempre più grandi, sempre più burocraticamente aderenti alla rigidità di sistema, sempre più patrimonializzate, sempre più eteroguidate e, dunque, sempre più distanti dal territorio e sempre più prive di flessibilità decisionale e operativa. In questa visione politica era ovvio che le banche popolari avrebbero dovuto avere vita dura e breve, a qualunque costo. Ed è quel che è stato (salvo, oggi, rimpiangerle).
Gli unici obiettivi per tutti gli Istituiti avrebbero dovuto essere la spinta alla patrimonializzazione, la stabilità e la contendibilità.
Queste e solo queste sono state le premesse dell’inevitabile successivo disastro, spacciato dai miopi controllori come il solo risultato di occasionali e locali cattive gestioni (peraltro, ancora tutte da dimostrare).
I “facili” impianti accusatori delle Procure contro le banche e in difesa di Bankitalia e BCE
E, per accreditare questa distorta prospettazione, l’apparato accusatorio delle Procure della Repubblica hanno scelto la molto più facile strada dell’instaurazione di una serie di processi penali, ridondanti di fumose responsabilità, da addossare ai soli singoli amministratori (o, come nel caso di Veneto Banca, ad un unico soggetto), scagliando loro addosso ogni tipo di accusa; e sempre, invece, beatificando l’operato dei disinvolti decisori di Banca Italia e di BCE.
Ancora una volta, le vere responsabilità sono rimaste nell’ombra e nessuno riuscirà a trovare un “giudice a Berlino”, come dovrebbe auspicare ogni cittadino che volesse cocciutamente ricercare giustizia, sull’esempio del famoso mugnaio di Potsdam, di Bertold Brecht.
Resterà a tutti i soci truffati la sgradevole immagine di due Uffici inquirenti (quello di Treviso e quello di Roma) che, in questo processo penale, hanno fatto accordi scritti sulla competenza (che, ricordo, non è negoziabile) e che, disinvoltamente, si sono poi trasmessi le carte dall’uno all’altro.
Il ruolo dell’ispettore di Bankitalia Terrinoni CTP a Roma e testimone a Treviso contro Consoli
Ma, nel frattempo, l’Ufficio non competente (Roma) aveva provveduto a nominare CTP (Consulente Tecnico di Parte), un personaggio, come l’ispettore di Bankitalia dott. Luca Terrinoni, disposto ad interpretare il proprio ruolo come una ghiotta occasione per accanirsi sulla prescelta vittima sacrificale, per poi consentire al suo datore di lavoro di costituirsi parte civile nel processo penale.
E perché mai la Procura della Repubblica di Roma ha rivendicato a sé la competenza per le indagini unicamente nel caso di Veneto Banca? Si è avuta l’impressione che, all’origine di questa scelta, ci fossero esigenze non processuali, ma di protezione di un’importante Istituzione dello Stato da possibili iniziali impostazioni diverse dal più comodo addebito al solito amministratore, predestinato al sacrificio.
A proposito di Terrinoni, leggo a pagina 100 della sentenza che, nel corso del dibattimento di Treviso, il CTP, sentito come teste (al quale è stato poi riservato uno spazio di esagerata ampiezza) non ha esitato a citarmi, ricordando, con malcelato orgoglio, che la denuncia-querela da me presentata nei suoi confronti era stata archiviata.
Qui preciso che avevo creduto di dover segnalare che il CTP del PM della Capitale, dott. Luca Terrinoni, benché dovesse svolgere specifici accertamenti limitati ai fatti indicati nel quesito postogli, che prevedeva il confine temporale del 2015, aveva approfittato della sua presenza in Veneto Banca per esprimere estemporanei giudizi etici e professionali, ovviamente negativi, su alcune persone – tra cui il sottoscritto – apparse sulla scena della banca solo nel 2016 e che, dunque, avrebbero dovuto restare del tutto estranee alle sue indagini ed ai suoi interessi accertativi.
Le dimenticanze di Terrinoni sulla querela archiviata a Roma
Ma Terrinoni si era poi dimenticato di precisare (forse perché il PM di udienza non hanno ritenuto di sollecitargli la memoria)
1) che la mia denuncia era stata correttamente presentata a Treviso perché i fatti, fondati o meno che fossero, erano stati ivi commessi dopo il 2015, quando lui, già da tempo, si era stabilmente insediato negli uffici della Banca;
2) che il Procuratore Capo di Treviso di allora aveva, inspiegabilmente, almeno all’apparenza, trasmesso tale denuncia per competenza (sic!) alla Procura di Roma (forse solo perché Terrinoni era nato nella Capitale, e, dunque, per ragioni di riguardo nei suoi confronti!);
3) che essa era stata assegnata, fra decine e decine di altri possibili magistrati destinatari, proprio alla PM che l’aveva nominato ed alla quale, dunque, Terrinoni avrebbe dovuto, poi, riferire e rispondere (alla faccia della terzietà e dell’indipendenza del magistrato);
4) che costei aveva tout court chiesto l’archiviazione della mia denuncia, riferita alla persona che essa stessa aveva nominato. Questa vicenda mi sembra un po’ indecorosa… È indice di trasparenza e di indipendenza tutto ciò?
Il cold case di Veneto Banca attende un giudice a Berlino
Eppure, io non sono stato ammesso fra i testimoni che Consoli aveva indicato e questa vicenda, benché oscura e, quantomeno, sgradevole, è rimasta nell’ombra; la mia denuncia nei confronti di Terrinoni mi sembra sia stata spudoratamente telecomandata verso il suo prevedibile destino. E il Tribunale ha, così, fondato una buona parte del suo convincimento sulla terzietà e sulla professionalità, dell’(imparziale) Ispettore Terrinoni!
A questo punto, confesso di invidiare molto il mugnaio di Potsdam che, almeno lui, ha potuto trovare un giudice che, prima, ha saputo capire e che, poi, ha avuto il coraggio di dargli ragione!
Per ora il caso Veneto Banca è già diventato un “cold case“, anche se c’è un condannato (predestinato?): Vincenzo Consoli.