Caffè, Aduc: la tazzina della discordia

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Tazzina di caffè a 2 euro a Firenze e il commerciante si becca un multone… ma perché il prezzo non è indicato nel listino, non perché non poteva vendere a due euro… anzi, se pensiamo ad alcuni bar nel centro storico di questa città e non solo, soprattutto se ci si siede al tavolino… altroché due euro.

Certo, si rimane male per una tazzina di caffè oltre il classico prezzo medio di oggi 1,20, ma conta consapevolezza e informazione. E lascia perplessi che, a prescindere dall’inadempienza, tutte le associazioni di commercianti abbiano difeso il loro collega (corporazioni?).

Il prezzo della tazzina è riferimento per l’andamento dei prezzi: nei calmieri delle statistiche contribuisce a far crescere o diminuire di qualche percentuale il carovita. E al consumatore dà percezione della convenienza dello specifico esercizio commerciale e dell’andamento generale dei prezzi.
E’ giusto così: abbiamo un’economia grossomodo libera, con prezzi determinati da domanda e offerta, con quest’ultima commisurata a prodotto e servizio.

In generale, rispetto ad aumenti continui dei prezzi, quello medio della tazzina è basso: materia prima e servizio non seguono molto il carovita degli ultimi anni, in particolare ora con covid, prezzi energia alle stelle e guerra.
A differenza di pane e pasta (altri prodotti base della nostra cultura gastronomica), offerti in varie forme e confezioni per cui si perde percezione del “prezzo base”, la tazzina di caffè (macchiato, in vetro, alto, basso, marocchino, etc) è sempre e solo lei. Si tiene bassa per il presunto effetto psicologico che deriverebbe da un suo aumento.

Ma che nessuno faccia il furbo o il finto tonto. Furbo a non scrivere quanto costa, finto tonto a non considerare la tazzina di caffè come qualunque prodotto di consumo.
Non esiste il diritto alla tazzina di caffè ad un prezzo che non turbi il consumatore, ma il diritto di quest’ultimo ad essere informato e scegliere, e al commerciante a guadagnare il suo giust_