Astensionismo. Governare o far governare degli estranei? Dalla lezione francese, italiana, etc…

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 Un elettore su due non è andato a votare al secondo turno delle legislative francesi, grossomodo quello che è successo alle ultime parziali amministrative italiane, e alle elezioni precedenti in questo Paese e in quell’altro, etc. Prospettive: sempre in meno parteciperanno al voto. Rimedi: un po’ di pubblicità istituzionale, il partito pinco e quello pallo che fanno appello a chi non vota… magari anche con un po’ di ipocrisia perché per diversi partiti è meglio affrontare la certezza del proprio elettorato (e, in un certo senso, clienti) che non l’incognita della cosiddetta opinione pubblica.
In Italia, anche quando si è avuto l’exploit del partito populista di Beppe Grillo (M5S), che è diventato il primo partito, le percentuali di partecipanti non hanno avuto particolari picchi: la metà degli elettori segue la politica e si esprime con fluttuazioni tra chi in quel momento sembra essere affidabile promessa; l’altra metà se ne frega.

Da cosa nasce questa disaffezione e rifiuto?
Fior fiore di analisti qualificati cercano di spiegarcelo con il distacco tra partiti ed elettorato, ma chi legge e chi capisce, ammesso che sia in grado o voglia farne tesoro, non produce risultati.

“Son tutti uguali”, “non cambia nulla”, “non serve a nulla”, etc. Di questo tono le possibili motivazioni dei non-partecipanti. Che – a nostro avviso – a differenza di chi li stigmatizza come “inutili”, “parassitari”, “qualunquisti”, “buoni a tutto e a niente”, potrebbero avere un motivo di fondo comune molto politico: a che serve votare dei rappresentati che poi hanno poteri limitatissimi per attuare o modificare ciò che ci interessa?

Crescono i prezzi energetici: a che serve mandare al Parlamento un rappresentante visto che poi le decisioni vengono prese a Bruxelles e, nello specifico, fino ad un certo punto?
Crescono i prezzi di diversi prodotti: a che serve mandare un rappresentante in Parlamento visto che poi nello stesso se la menano per anni o, per far piacere a questa o quell’altra corporazione, fanno modifiche alle direttive di Bruxelles vanificando di fatto la concorrenza, unica in grado di far scendere i prezzi?
C’è precarietà sanitaria (vedi covid): a che serve mandare un rappresentante in Parlamento visto che poi quello che possono fare lo decidono a Bruxelles, pur con la limitatezza della mancanza di una politica comune europea sanitaria?
E così avanti per vari argomenti.

Certo, ci sono questioni per le quali contano anche i consiglieri di quartiere, ma i grandi problemi che affliggono felicità, economia, salute, ricchezza, lavoro, libertà e che poi, a cascata, determinano anche quelli del quartiere, il rappresentante eletto conta molto marginalmente.

Manca il riscontro dell’utilità generale del proprio voto
Chi a Bruxelles decide non è un rappresentante degli elettori, ma sono talmente tanti i filtri della democrazia rappresentativa attraverso cui arriva nella stanza delle decisioni, che la scelta di una persona o un’altra è espressione dei poteri di corporazioni economiche e partiti… e il volere degli elettori si dissolve per strada.
Il voto non viene espresso perché considerato inutile.

Forse è il caso che, lì dove si decide della nostra vita, si faccia tesoro di queste osservazioni prendendo in considerazione, per esempio, l’elezione del governo Ue (l’attuale Commissione presieduta da Barbara von der Leyen) non sia opera dei governi nazionali, ma del Parlamento eletto dai cittadini europei… Parlamento che, per esempio, non dovrebbe essere la somma degli eletti nei singoli Paesi ma di circoscrizioni elettorali dell’Europa federale… etc
Insomma un meccanismo che dia agli elettori percezione e realtà dell’utilità del proprio voto. Se voto un consigliere di quartiere, comunale, regionale o un deputato nazionale o europeo, devo poter essere consapevole dei poteri che sto delegando allo stesso, e non votarlo per la realizzazione della pace nel mondo o del socialismo o del liberalismo.

Una grande riforma nella dimensione dei problemi del nostro tempo. Dove occorre sin da subito dare segnali tangibili coi quali gli elettori – europei – capiscano che non hanno di fronte un mostro burocratico incapace di affrontare anche le urgenze.
Facciamo un esempio: adesione Ucraina all’Ue contro l’invasione putiniana di quel territorio. “Ci vogliono decine di anni”, “per ora sei candidato ufficiale a…”, etc etc.. Cosa si crede che possa pensare l’elettore medio europeo di questa procedura? Probabilmente un buon motivo per continuare a non dare credibilità a queste istituzioni che, così facendo, avvalorano opinioni come quella dell’ex-presidente russo Dmitri Medvedev, quando dice che, in attesa di questo ingresso ucraino, non è detto che l’Ue nel frattempo sparisca, anche per (aggiungiamo noi) per mancanza di tempestività per l’ingresso dell’Ucraina.
 

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Fonte: Astensionismo. Governare o far governare degli estranei? Dalla lezione francese, italiana, etc…

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