La cancellazione delle vecchie cartelle fino a 1.000 euro taglia 4 mld ai bilanci dei Comuni

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Una delle novità più rilevanti del decreto fiscale (decreto legge 23 ottobre 2018 n. 119 pubblicato ieri sulla Gazzetta Ufficiale), almeno sotto il profilo economico, è la previsione di stralcio dei debiti fino a mille euro affidati agli agenti della riscossione dal 2000 al 2010. Il limite di mille euro però non si riferisce all’importo complessivo della cartella, ma ai singoli crediti iscritti a ruolo. Facile immaginare che la parte prevalente di questi crediti riguardi proprio i crediti dei Comuni, per Tarsu, Ici, contravvenzioni stradali, rette scolastiche, oltre che delle Regioni per il bollo auto.
Gli importi in gioco sono rilevanti perché, stando agli ultimi dati dell’Anci che riportano il totale dei crediti comunali iscritti a ruolo sotto i mille euro, l’ammontare dei crediti annullati dal governo dovrebbe attestarsi sui 4 miliardi. Va comunque aggiunto che una parte di questi crediti è probabilmente prescritta, stando almeno alla più recente (ma non condivisibile) giurisprudenza di legittimità che ha ritenuto che la cartella dei tributi comunali si prescrive entro cinque anni, quando Equitalia invece riteneva che tutte le proprie cartelle fossero soggette alla prescrizione ordinaria decennale.
Al riguardo, sarebbe stato forse più rispettoso dell’autonomia dei Comuni concedere un termine all’ente creditore per la riattivazione del credito non prescritto mediante la notifica di un’ingiunzione di pagamento entro una certa data prestabilita.
Altra novità riguarda la definizione del contenzioso tributario, che si applica direttamente all’agenzia delle Entrate e facoltativamente ai Comuni, che hanno tempo fino al 31 marzo 2019 per regolamentarlo. Qui la normativa, invero, appare poco coordinata perché prevede per le «controversie definibili» – e sono tali quelle oggetto di notifica di ricorso, anche se non ancora depositato presso la Commissione tributaria, perché pende il termine di 90 giorni previsto per la mediazione, oltre che di quelle non interessate da una sentenza passata in giudicato – la sospensione per nove mesi dei termini di impugnazione delle pronunce giurisdizionali e di riassunzione che scadono dalla data di entrata in vigore del decreto e fino al 31 luglio 2019. Ma le controversi comunali possono considerarsi definibili solo se il Comune adotta il regolamento, sicché fino al 31 marzo prossimo, a stretto rigore i termini per le impugnazioni delle sentenze, non sono sospesi, anche se si immagina che senza alcun chiarimento normativo questa materia genererà inevitabilmente (e paradossalmente) nuovo contenzioso.
La rottamazione delle cartelle numero 3, dimentica ancora una volta le ingiunzioni di pagamento, ma probabilmente, come per le precedenti rottamazioni, verrà prevista la possibilità per i Comuni di rottamare anche le proprie ingiunzioni di pagamento.
Infine, dubbi si registrano anche sulla definizione agevolata degli atti del procedimento di accertamento, perché qui la norma non ne limita l’applicazione ai soli atti notificati dall’agenzia delle Entrate, anche se la relazione illustrativa fa riferimento solo a tali atti. Se si considera che per la definizione delle controversie tributarie è stato fatto espresso riferimento all’agenzia delle Entrate, la mancata precisazione dovrebbe portare a ritenere che sono definibili anche gli accertamenti notificati dal Comune, ma naturalmente la certezza si avrà solo leggendo il testo definitivo.
di Pasquale Mirto, da Il Sole 24 Ore