Se è vero che la storia non si fa con i “se” e con i “ma”, considerati i fatti più recenti dell’evoluzione del conflitto russo-ucraino e le alleanze strategiche che si profilano all’orizzonte, nulla ci impedisce di guardare al futuro con piglio distopico e prevedere l’intervento della Russia in una serie di guerre di liberazione per l’autodeterminazione dei popoli fino ad intervenire, dopo il Donbass, nel processo di liberazione del Kurdistan.
Si tratta di fantascienza, ovviamente, anche perché uno scenario del genere ci porterebbe direttamente incontro all’ennesima catastrofe epocale giocata interamente sul territorio euroasiatico con il coinvolgimento di numerose nazioni, alcune delle quali con potenziale militare altamente distruttivo.
Ma andiamo per ordine e cerchiamo di comprendere cosa è successo di interessante nel panorama euroasiatico negli ultimi giorni.
Bisogna dire innanzitutto che il sostegno militare dato dalla Russia alle regioni indipendentiste del Donbass in Ucraina ha allertato tutti i paesi che si sentono quasi in un limbo, cioè quei paesi che si trovano lungo quella che un tempo era la Cortina di ferro e separava gli Stati del Patto di Varsavia dagli Stati della Nato.
L’ostacolo che impediva alla Svezia e alla Finlandia di entrare a far parte della NATO per difendere il confine che divide quest’ultima dalla Russia era costituito da una clausola imposta dalla Turchia, membro strategico della NATO nel panorama euroasiatico, e si giocava sulla pelle del popolo curdo, che preme da tempo per vedere riconosciuto come Stato autonomo e indipendente il territorio del Kurdistan, diviso tra Siria, Iraq, Iran e, soprattutto, Turchia.
Quell’ostacolo ora è stato ufficialmente rimosso perché il presidente turco Recep Tayyip Erdogan il 29 giugno 2022 ha ritirato il veto all’ingresso della Svezia e della Finlandia nella NATO e così adesso quei 1340 km (qualcosa in più rispetto alla lunghezza dell’Italia intera) che separano la Finlandia dalla Russia saranno presidiate dalle forze del patto della coalizione atlantista, di cui l’Italia fa parte in maniera sempre più convinta sotto la guida del governo Draghi.
E così si pone una definitiva pietra tombale sul processo di autodeterminazione del popolo curdo, sull’istanza di affermazione e di libertà di un popolo che ha visto combattere per la prima volta in maniera estremamente organizzata delle brigate partigiane composte da sole donne, le YPJ (Unità di Protezione delle Donne o Unità di Difesa delle Donne), accanto al PKK (Partito dei lavoratori curdo), avallando da parte della NATO l’operazione di repressione che la Turchia ha avviato già da diversi anni nei confronti di tutti coloro che tentano di dare vita allo Stato del Kurdistan.
È piuttosto singolare pensare all’ondata di condivisione e vicinanza che abbiamo mostrato nei confronti della Resistenza ucraina, abbondantemente corredata da un uso strumentale, retorico e ormai abusato del motivetto della nostra Bella ciao, ma dimenticare che nel maggio del 2020 a Smirne, in Turchia, durante il Ramadan dai minareti, invece dell’usuale richiamo rituale alla preghiera, risuonò potentemente proprio il nostro canto partigiano Bella ciao, già reso noto in quel paese grazie alle proteste della folk band Grup Yorum contro il regime di Erdogan.
I Grup Yorum oggi non esistono più, il regime di Erdogan prima gli ha impedito di fare concerti, poi ha incarcerato ingiustamente diversi componenti con capi d’accusa fasulli, estorti sotto tortura e poi, in seguito ad uno sciopero della fame per porre all’attenzione internazionale l’assurda vicenda e la repressione dei diritti civili fondamentali perpetrata dalla Turchia nei confronti degli oppositori, alcuni musicisti sono morti.
E proprio Bella ciao, prima di essere un tormentone mondiale perlopiù svuotato del suo senso originario di liberazione, era stato scelto proprio dalle guerrigliere curde delle YGJ che avevano lottato contro l’ISIS, in totale isolamento, fino alla conquista del Rojava, la regione curda presente nello stato della Siria.
La NATO oggi volta le spalle definitivamente al principio di autodeterminazione del popolo del Kurdistan, tradisce la battaglia delle YPJ innanzitutto in quanto donne, poi in quanto partigiane e in quanto persone che lottano per la libertà, ma, al tempo stesso la NATO accoglie la richiesta della Turchia di barattare con la Finlandia e la Svezia la loro protezione dalla Russia in cambio della consegna dei partigiani curdi presenti sui loro territori, che, ovviamente, finiranno per marcire in carcere come terroristi, come i musicisti dei Grup Yorum.
Sarebbe davvero uno smacco per l’Occidente lasciare che, per una ritorsione contro la NATO e la Turchia, la Russia decida di scendere verso la Georgia, dove ancora c’è qualche conto in sospeso per via della questione dell’Ossezia del sud, regione indipendente legata alla Russia, come il Donbass, e penetrare in Turchia per liberare finalmente il Kurdistan, con l’aiuto delle brigate del Rojava e, magari, chissà, anche della Siria, che ha riconosciuto l’indipendenza del Donbass…ma questa, come anticipato, è fantascienza e, del resto, che la Russia si faccia paladina del principio di autodeterminazione non è nemmeno la migliore delle ipotesi geopolitiche sulla strada della liberazione dei popoli oppressi.
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a cura di Michele Lucivero
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