Il cieco, consumatore… quasi sconosciuto

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Sembra che le persone cieche possano essere imprenditrici e risparmiatrici ma poco consumatrici. Lo si deduce dagli accorgimenti tecnici oggi diffusi sul mercato per far sì che un cieco non debba necessariamente essere supportato da un vedente, ma avere una vita autonoma anche coi pagamenti.

Recenti accordi tra Abi (Associazione Bancaria Italiana) e Unione italiana ciechi e ipovedenti (Uici) hanno sviluppato accorgimenti e modalità tecniche perché un cieco imprenditore, per esempio, possa usare i propri device in autonomia per farsi pagare con carta elettronica. Stessa cosa per il cieco risparmiatore che, nei servizi bancomat erogati da terminali Atm (Automated Teller Machine), può essere autosufficiente (1).

Questa però è solo parte del mercato. Anzi. E’ parte minimale, visto che i consumatori sono più degli imprenditori e dei risparmiatori. E se consideriamo che tra consigli, praticità ed incentivi i pagamenti tramite carta – anche per un caffè – sono incoraggiati, e che da pochissimo i commercianti sono anche obbligati a soddisfare le richieste di pagamento tramite carta, la quantità di queste transazioni è sempre maggiore, sia per vedenti che per ciechi.

Ma quando un consumatore cieco fa la spesa o paga un servizio con la carta, è marginalizzato. Fino a poco tempo fa sui Pos (point of sale) c’erano quasi esclusivamente tastiere con tasti sporgenti e un pallino sul numero 5 per tattilmente percepire gli altri tasti intorno. Il mercato si è espanso e i Pos sono anche su telefonini e macchinette senza tasti sporgenti, tutti senza percezioni tattili della superficie. Il consumatore cieco quindi, se non supportato da vedente di fiducia, deve affidarsi, quando e se questi pos hanno anche queste funzioni, alle sintesi vocali. A ramengo quindi la vita autonoma del cieco, nelle mani della presunta onestà del commerciante. Basterebbe che i device che svolgono funzione Pos abbiano anch’essi dei rilievi tattili per l’orientamento sulla superficie. Ma, non solo non c’è obbligo esplicito di legge, ma neanche protocolli d’intesa come quelli per ciechi imprenditori e risparmiatori. Eppure – ripetiamo – i ciechi consumatori sono tanti, ma proprio tanti di più.

E’ preoccupante che fino ad oggi il cieco consumatore sia marginalmente considerato e che enti come Abi e Uici si siano concentrati su una minoranza di ciechi. Ci vanno bene tutti i protocolli d’intesa, anche se sarebbe meglio chiamarli “manuali tecnici” visto che c’è poco da intendersi quando il diritto a non essere cittadino di serie B è scontato e chiaro, la legge è uguale per tutti. I ciechi, come qualunque persona con qualsivoglia disabilità, non sono tragedie viventi da aiutare, non sono solo la loro malattia (2), ma uguali tra uguali al pari di bambini, giovani, anziani e… donne.

La marginale considerazione del consumatore cieco è uno dei tanti esempi di come queste esistenze non sono previste da società ed economia basate sull’abilismo; con l’aggravante che in questo abilismo ha grande considerazione pietistica il disabile che svetta, che ce l’ha fatta (il cantante cieco, per esempio, o il campione degli sport per disabili). Non serve commiserazione e pietà, ma normale uguaglianza. E da casi come quello del consumatore cieco emerge tutta la discriminazione istituzionale e culturale vigente. Ma non ci piangiamo addosso, abili e disabili consapevoli. Non vogliamo pietà, favori, eccezioni. Lottiamo per i diritti, per rispettarli e per affermarli.

1 – Qui le varie guide

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Fonte: Il cieco consumatore…. quasi sconosciuto

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