Pfas e istanza di fallimento per 122 lavoratori, Miteni contrattacca punto per punto alle critiche ricevute

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Per tutto il 2017 gli scarichi della Miteniriporta un lancio dell’agenzia Dire – azienda di Trissino ritenuta la principale responsabile della contaminazione da Pfas diffusa in Veneto, hanno avuto “valori inferiori ai limiti stabiliti per le acque potabili”. Il contributo di Miteni al carico totale di Pfas nello scarico consortile, “secondo i dati degli enti, dal 2017 e’ stato dello 0,86%. Il 99,14% e’ immesso da altri e ovviamente continuera’”. 
I fanghi prodotti, infine, “non contengono Pfas”, lo certificano “analisi di istituti terzi”, e inoltre “dal 2016 nemmeno vanno in discarica ma a termodistruzione in appositi impianti all’estero”.  

A dirlo e’ la stessa Miteni, in un comunicato diffuso per smentire “alcune dichiarazioni fantasiose che stanno girando”, in seguito alla notizia dell’istanza di fallimento presentata dall’azienda. “I lavoratori Miteni sono 122, a cui va aggiunto l’indotto che puo’ essere valutato in circa 70 persone”, spiega l’azienda quantificando i lavoratori messi a rischio dal fallimento. Dal 2009, anno in cui l’attuale proprieta’ ha acquisito Miteni, “non ha guadagnato nulla, ha solo investito”, infatti “non sono mai stati percepiti dividendi”, e sono invece stati investiti oltre “15 milioni di euro”. Gli stipendi pagati ai lavoratori arrivano a 90 milioni, e altri 20 milioni sono andati alle ditte esterne che hanno svolto lavori in azienda. Da quando ha chiesto il concordato a meta’ maggio -prosegue la nota della Miteni- l’azienda ha chiesto che Arpav fosse presente durante i lavori di adeguamento imposti dalle diffide, in modo da verificare in tempo reale e accorciare i tempi, ma la richiesta e’ stata respinta. Ha poi documentato con dati ufficiali la propria quota irrilevante di Pfas negli scarichi, ha documentato la presenza di fonti di inquinamento da Pfas anche superiori a quelle del Veneto in altre aree del mondo che non hanno nulla a che vedere con la produzione ma solo con l’utilizzo, ha chiesto che rimanesse attiva la commissione regionale sui Pfas per verificare le nuove informazioni sull’utilizzo provenienti dall’organismo europeo Echa, ed effettuato le caratterizzazioni e gli studi che permetteranno di presentare il piano di bonifica nei tempi concordati nella conferenza dei servizi. Insomma, il blocco della produzione imposto dalle diffide che ha reso impossibile portare avanti il piano industriale determinando la decisione di presentare istanza di fallimento, si poteva evitare, conclude l’azienda.