Ora il faro sui titoli opachi, Il Sole 24 Ore: e non sono made in Italy…

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C’è meno stress e più test in questo esercizio sulla robustezza di 48 grandi banche europee condotto dall’Eba e reso pubblico ieri (2 novembre, ndr). Meno stress perché questa volta non ci sono promossi e bocciati e dunque si evita il rischio di guardare solo al “voto” finale, come fanno gli studenti pigri. Ma il fatto che lo scenario avverso comporti alla fine del 2020 una perdita media di capitale pari a un terzo (anche di più per molte grandi banche dell’Eurozona e britanniche, ma non italiane) è un segnale che deve essere valutato con attenzione.

C’è comunque più test perché il risultato sarà usato dalle autorità di vigilanza per la valutazione dei requisiti patrimoniali fissati banca per banca secondo la logica del cosiddetto “secondo pilastro” di Basilea (il primo sono i coefficienti patrimoniali, ovviamente uguali per tutti).

L’Eba si propone anche di mettere a disposizione del mercato un’eccezionale mole di informazioni su ciascuna banca, quindi di rafforzare la disciplina di mercato, che costituisce il terzo pilastro della vigilanza prudenziale.
Non c’è dubbio che da oggi sappiamo molto di più sulle condizioni delle grandi banche d’Europa, cioè di un sistema bancario che è ben lungi dall’aver superato la crisi. Basti pensare che secondo i dati della Financial stability review della Bce nel 2017 la redditività del capitale delle grandi banche dell’Eurozona è risultata del 6%, quindi inferiore al costo del capitale. In più, una banca su dieci ha ancora redditività negativa. Il che significa che una parte notevole degli azionisti (compresi gli Stati nazionali prima della Direttiva che ha chiuso le porte agli aiuti pubblici) hanno fatto uno sforzo eccezionale per rimediare alle debolezze patrimoniali accumulate prima della crisi, ma non hanno ancora ricevuto una congrua remunerazione o non l’hanno ricevuta affatto. E dovranno aspettare ancora perché, dice sempre la Bce, i costi continuano a crescere e si palesano difficoltà strutturali a ridurli nel futuro. Anche da questo punto di vista, il particolare grado di dettaglio delle informazioni di questo esercizio fornisce un quadro della situazione economica delle singole banche estremamente analitico e uguale per tutti, dunque utile per capire quali sono le banche ancora in mezzo al guado della crisi.
La risposta definitiva a questa domanda verrà quando gli stress test andranno a fondo anche sui titoli opachi nei bilanci dei grandi attori della finanza globale. Si tratta di titoli che non hanno un mercato attivo, la cui valutazione è affidata ai modelli interni delle banche: il loro valore di bilancio è quindi per il mercato una sorta di mistero glorioso, su cui è quasi impossibile sollevare il velo. Il guaio è che si tratta di cifre colossali: un recente paper della Banca d’Italia ne stima le dimensioni (comprendendo l’attivo e il passivo) in 6,8 trilioni di euro, solo per le banche vigilate dalla Bce. Il paper comprende infatti non solo i titoli cosiddetti di “livello-3” (per i quali si potrebbe applicare la definizione dell’Unione Sovietica data da Churchill: un indovinello avvolto in un mistero, dentro un enigma) ma anche quelli di “livello-2” perché la discrezionalità lasciata alle banche nella valutazione è tale da rendere il confine fra le due categorie molto labile. Per di più, dice sempre la ricerca, queste attività sono concentrate in un numero ristretto di banche: solo 15, notoriamente le grandi banche di investimento principalmente francesi e tedesche che detengono il 75% dei titoli in questione.
Mario Draghi ha promesso che dal prossimo stress test si inizierà a esplorare anche questa terra incognita dei bilanci bancari, come da queste colonne si chiede da anni. La Bce si è finora concentrata sul rischio di credito come forse era inevitabile vista la natura della crisi, ma questo ha indubbiamente creato un punto di svantaggio per le nostre banche e in genere per quelle focalizzate sulla concessione di prestiti all’economia, che è poi quella che contribuisce alla crescita e agli investimenti. Inoltre, questa scelta ricorda la vecchia battuta dell’ubriaco che cercava le chiavi di casa sotto il lampione perché solo lì c’era un po’ di luce.
Bisogna invece partire dal presupposto che i titoli opachi presentano molte caratteristiche simili alle sofferenze sui crediti: sono estremamente eterogenei, sono opachi e sono illiquidi in quanto privi di un mercato secondario efficiente. Il loro valore totale è però 12 volte quello delle sofferenze che per troppo tempo sono state considerate l’unico problema del sistema bancario europeo, forse perché toccavano i Paesi periferici. I crediti deteriorati non sono certo una pagliuzza, ma questi titoli opachi assomigliano molto a una trave.

di Marco Onado, da Il Sole 24 Ore